Procurarsi una chiavata

Non potete immaginare quanto è grande il mio sconforto ogni volta che Israele falcia un tot di Palestinesi.
Specialmente negli ultimi tempi, da quando i social network hanno convinto che tutti sono in grado di avere un opinione.
Tralasciando la mole di foto e testi lacrimevoli prestampati, quello che mi disturba sono quelli che scrivono di pugno il loro pensiero, riducendo una questione complessa in due righi, come dire: ehi stronzi guardate come la mia arguta opinione chiarisce la semplicità della situazione in barba a tutti quelli che scrivono saggi dal 1948.
A leggerli bene non siamo molto lontani dai testi prestampati; la corrente che va per la maggiore è quella di un Israele incoerente, ovvero per farla breve: il popolo ebraico dopo tutto quello che ha passato (qui cito testualmente) non ha certo il diritto di fare il Rambo sionista in sella a un Merkava.
Se ci pensate il discorso fila: Israele deve distribuire fiori nei fucili ma che ne so, tipo gli Islandesi potrebbero compiere tranquillamente sei o sette massacri senza risultare incoerenti o ipocriti.
Delle basi inattaccabili, se domani gli Islandesi lanciassero dei razzi su un equivalente islandese della Striscia di Gaza risulterebbero degli arroganti guerrafondai islandesi ma, bisogna ribadirlo, per niente ipocriti.

Se chi si lamenta dell’ipocrisia di Israele è una culocompatto fatto bene, immancabile arriverà lo studente universitario che forte del suo statuto sociale sfoggerà la sua kultura storika, in cerca di una chiavata.
Quello che va per la maggiore è un confronto con un altro massacro che, pensa un po’, ha gli stessi numero dell’Olocausto ma nessuno ci ha fatto un film.
In media gli Armeni la spuntano sempre, ci sarebbe anche Pol Pot ma nell’immaginario della culocompatto gli asiatici sono infiniti come gli Zerg e non ci vede nulla di tragico se ce n’è un milione in meno.
La tesi dello studente in cerca di fessa è che ci siano massacri di serie B e massacri di serie A, che non tutti vengono trattati allo stesso modo e chiude il suo pensiero con tre punti di sospensione…come se avesse scritto qualcosa di talmente grande da lasciarlo per sempre in sospeso nella memoria dell’Internet, imperturbabile, patrimonio per le generazioni future. Per giunta si comporta come se il frutto della sua mente fosse qualcosa di pericoloso e il Sionismo Internazionale potesse intercettarlo e punirlo grazie all’equivalente kosher di Echelon.

Ora a questo punto dei Palestinesi non fotte più un cazzo a nessuno.
La culocompatto annuirà e concorderà, l’altro rincarerà la dose con uno scomodo video da Youtube corredato da scomode immagini e scomodi testi in Comic Sans. Musica: Valzer Triste.
Seguirà un Mio Dio! .__. e un ne parleremo meglio domani…magari…

Questo distorto uso della storia per procurarsi una chiavata mi disgusta ma devo ammetterlo: non è cosa da tutti rimediare chiavate grazie ad Israele e la Palestina.

Slon

I porno dove non si scopa sono una forma d’arte poco capita

Interno giorno; appartamento. L’attrice è la classica bonazza da film porno americano. Lunghi capelli fluenti, tette quinta misura, siliconate. Siliconate male. Ma non importa. E’ nuda e siede sul letto sola, un vibratore acceso in una mano. Lo sguardo fisso avanti a sè, un’espressione smarrita dipinta sul volto.
Si apre l’ingresso, entra lui. Vestito come potrebbe essere vestito uno che fa un importante lavoro dirigenziale in un qualche ufficio tipo megacompagnia di assicurazioni: doppiopetto grigio, scarpe nere lucide, camicia chiara a righine sottili. Il tutto nasconde una muscolatura virile e lascia indovinare la presenza di un pene. Un pene che si intusce smisurato. Un pene che fa provincia.
Non ha l’aria di uno che vuole consumare. Cioè, magari una bistecca sì, ma il sesso no.
Porn groove in sottofondo.
I due si fissano.
Passano i minuti. L’espressione di lei è sempre più confusa e triste; le spalle di lui si abbassano con un movimento imprecettibile ma inarrestabile, fino a che si lascia crollare esausto sulla sedia vicino all’ingresso. La ventiquattrore gli scivola di mano.
Gli sguardi si abbassano sul pavimento. Il vibratore è ancora acceso. Lo spettatore non sa leggere nel pensiero, non può vedere come lei si interroga sul neoplatonismo e lui sui recenti sviluppi nella criogenia applicata. Anche perchè i due non ci stanno affatto pensando.
– Ti va di…?
– No
[pronunciatori intercambiabili].
La telecamera indugia a riprendere gli ultimi frammenti di frasi rimasti in aria, poi si schianta per terra e si rompe. Nero. Si sentono per alcuni istanti gemiti che sembrano provenire da un orgasmo, invece è un match femminile dell’Australian Open.

Titoli di coda.

 

 

 

 

 

– Oh, il film faceva cagare, ma hai visto lei che tette?

Opossum

(J&B) Season finale – parte 1

Ho provato diverse volte a fare un rewind ma niente di chiaro.
I ricordi cominciano dall’ospedale. Prima di quell’esperienza non sapevo che infermieri e le guardie in accoppiata sprigionassero un tale carica di umorismo.
Giuro che avrei riso anche io se il soggetto delle battute non fossi stato, appunto, io.

Il perché mi trovavo lì e il perché non vedevo un cazzo mi è stato ampiamente spiegato in diverse sedute tra me e il mio avvocato, durante il processo con rito abbreviato e diverse visite mediche.
Per farla breve: il colpo andava bene, avevamo sei sacche piene di belle cose e ci stavamo dirigendo alla breccia nella rete ma non ci arrivammo. A una delle due guardie giurate, quella obesa, venne da pisciare e sfortuna volle che noi impavidi tre transitassimo in corrispondenza del suo cono visivo.
Anni di Commandos mi hanno insegnato che i nazisti sono attratti dalle sigarette e che ad una certa distanza il cono di colore verde schiarisce fino a sparire e loro non ti vedono più, i nazisti hanno anche una vista limitata. Oltre ad avere i paraocchi. Ed essere attratti dalle sigarette.
Le guardie giurate no.
Se nella guerra Hitler avesse schierato frotte di guardie giurate ora starebbe ancora a Berlino a sorseggiare sangue di vergine dal Santo Graal.
In pratica il tizio mollò il batacchio, estrasse l’arma di ordinanza e come un novello Bruce Willis obeso e a cazzo da fuori scaricò il caricatore verso di noi. Mira di merda, solo due colpi andarono a bersaglio, uno beccò il povero Drobo al collo, addio Drobo, un altro si schiaffò in una colonna di cemento armato alla mia destra, le schegge di rimbalzo si spalmarono sulla mi faccia.
Dell’altro nessuno ha saputo più nulla, sarà tornato oltre la cortina di ferro.
E questo è tutto; sono seguiti mesi di riabilitazione per l’occhio destro, mesi di faccia a faccia con l’avvocato e tre giorni di dibattito sui media nazionali riguardo all’eccessivo uso della forza da parte del ciccione. Poi è successo qualcosa di più interessante.
Intanto il giudice mi ha spedito in un centro di disintossicazione. Valli a capire.

Appena arrivato venne un tizio, disse che era stato a casa mia per prendere la mia roba solo che aveva trovato la porta sfondata e non c’era niente. Solo stracci ed un vecchio portatile spaccato a metà. Aveva bussato dalla vicina per chiedere delucidazioni ma lei aveva risposto che non ne sapeva nulla e se mica lui si intendesse di scaldabagni.
Gentile ragazzo, lo ringraziai.
Non è facile descrivere tre mesi in poche righe.
Qui siamo in diciotto, in maggioranza tossici o presunti tali, tutti uomini eccetto una: Monicha con la akka.
Non è per niente scopabile e talmente magra che ha ormai raggiunto un livello successivo, è rinsecchita come se si stesse risucchiando in se stessa, credo che abbia un buco nero in corpo e uno di questi giorni sfaserà e risucchierà prima lei e poi tutto il mondo e l’universo. Roba da far rabbrividire la fottuta lega Dalek/Cyberman.

Per sopperire alla mancanza de cicchetti di J&B quotidiano mi son fatto tre amici, insieme si fuma e si parlicchia e dopo si fuma di nuovo. Sigarette ne abbiamo quante ne vogliamo ma qui dentro non entra nemmeno un Mon Chéri.
Il primo, Salvador, ha lunghi capelli biondo scuro ricci, gli arrivano quasi al culo, è magrissimo ma non ai livelli di Monicha, ha degli occhi scuri corredati con enormi occhiaie anche quando si spara dodici ore di sonno filate e infine si è dato da solo il suo nome per darsi un tono. Uno così può starti solo simpatico.
Abbiamo una cosa in comune, giocava a WoW faceva il DPS, Mage Fire. Di lavoro suonava il basso, nessuna roba di alto livello, il suo gruppo si esibiva in locali a tema e dopo una serie di cover dei Deep Purple smontavano tutto.
Questa è la mi idea di vita, dice Salvador, star dietro alla prima linea. Che sia un Tank o un lead vocalist.
Lui qui c’è di sua spontanea volontà, aveva provato di tutto e ormai non era lucido dal 2002. La goccia è stata quando ha fatto da padrino al figlio di suo fratello ed è svenuto durante la cerimonia in chiesa sbattendo la testa sul coso di marmo dove c’è l’acqua santa, scheggiandolo e contaminandolo col suo impuro sangue dedito al vizio. Fortuna che non aveva il bimbo imbraccio.

L’altro si fa chiamare solo per cognome: De Floris.
Lo farei anche io se avessi un cognome così bello. Avrà cinque anni in più di Salvador quindi si assesta sulla quarantina spinta. Ha un aspetto antipatico, anzi odioso. Calvo con le tempie coperte da uno scurissimo capello nero, un unico grosso e lungo sopracciglio e sempre un ghigno incazzato. Dal collo in giù è perfettamente e noiosamente normale per uno della sua età.
Fuori doveva essere un dirigente o cose simili, non ha mai dato dettagli. Comunque ora è completamente partito di cranio, è sempre accelerato sia nel parlare che nel fare qualcosa, è in grado di ciucciarsi una sigaretta in due minuti cronometrati.
Ma alla fine è un bravo cristiano, offre sempre sigarette a destra e sinistra, la frase che pronuncia di più è: “Tié, fuma!”.

Il terzo, o meglio la terza, è la Monicha con la akka di sopra.

Slon

Un macchiato, grazie.

C’è qualcosa che non va in questo zucchero, lo capisco subito al tatto, prima ancora di aprire la bustina.
Ne strappo un angolo e rovescio il contenuto dentro la tazzina di caffè bollente, e sì, diamine, guarda quei granelli come sono grossi, non dovrebbero essere così grossi, e quel bianco poi, mai visto un bianco così, ma che razza di schifo è?
C’è sicuramente qualcosa che non va, in questo zucchero.
Il fatto che sia magari causa degli acidi che indubbiamente stanno salendo, non mi passa nemmeno per la testa.
Mi guardo intorno, scruto il bancone del bar in cerca di una distrazione qualsiasi, prima che l’idea di una bustina di zucchero radioattivo assassino mi si pianti troppo a fondo nella mente.
Trovo un volantino di un’agenzia immobiliare, lo leggo mentre mescolo lentamente con il cucchiaino.
Foto minuscole di anonime case minuscole, scritte enormi: “Invidiabile porzione di villetta, 260.000 euro”
Caccio una smorfia. Non c’è qualcosa di sbagliato, in questo annuncio? L’invidia non è forse un sentimento di merda, un peccato capitale, insomma qualcosa di viscido da evitare, possibilmente? Non è sbagliato, infilare questa parola in una pubblicità?
Ehy amico, compra questa porzione di villetta, non importano le sue caratteristiche, ti basti sapere che la gente ti invidierà quando l’avrai!
Sì, è decisamente sbagliato, ma in fondo, cosa c’è che non sia sbagliato in questo mondo?
Prendete me, ad esempio. Io ammazzo la gente come lavoro. E quando non lavoro faccio anche di peggio, quindi non dovrei nemmeno permettermi di fare considerazioni morali.
E’ solo che, sapete..io sono un tipo allegro. Mi viene sempre da ridere, a pensare alla gente troppo seria, troppo normale. Cazzo fai il normale, ma ti guardi attorno, non vedi che vivi in un mondo assurdo, storto, fin dal suo fango primordiale? Mi scappa un sorriso, quasi mi inciucco col caffè.

La vibrazione del telefonino mi strappa di colpo da queste riflessioni inutili: rispondo, è Neno.
Sono partiti adesso, dice Neno. Il manzo più due gorilla. C’è poco traffico, arriveranno a breve, mi tengo un po’ dietro.
L’essenziale, non una parola di più. Mi piace Neno, ha i coglioni. Se non avessi visto e fatto di peggio, in contesti diversi, credo che le storie sulla sua adolescenza in Bosnia mi metterebbero addosso una certa inquietudine.

Lancio una moneta sul bancone ed esco dal bar. Attraverso la strada, perdo una manciata di secondi ad osservare la luce dei lampioni, resa violacea dall’LSD, figata. Entro nel palazzo, nessuno in giro, bene. Due rampe di scale e sono davanti alla porta che mi interessa. Troppa luce per i miei gusti.
Alzo il paraluce di vetro e svito la lampadina del pianerottolo. Meglio. Giro l’angolo e salgo fino a metà della rampa successiva. Mi siedo sui gradini gelidi. Sono calmo. Quasi contento, cazzo. Controllo il ferro, caricatore e silenziatore, poi sento il portone d’entrata aprirsi: tre paia di scarpe rumorose sporcano il silenzio, avvicinandosi a me. Il primo paio è un po’ avanti rispetto agli altri, quando arriva sul pianerottolo lo sento rallentare, il buio non gli piace. Gira l’angolo e me lo trovo davanti, scorgo solo i contorni definiti dalla poca luce che arriva dal piano di sotto. Al terzo gradino si blocca. E’ sveglio, ha capito che c’è qualcuno di fronte a lui, tranquillamente accoccolato in una sedia a dondolo di ombre. Forse vede perfino il piccolo cerchio nero che trema leggermente, e capisce. Forse fa in tempo a generare l’impulso elettrico che porterà la sua mano sotto la giacca, ma prima che succeda, sparo.
Pffff.
Il proiettile lo colpisce appena sopra l’occhio destro. La vita lo abbandona con discrezione, senza lamenti, senza rumori. Il sangue invece è più vivace, schizza tutto contento sul muro dietro di lui, non aspetta nemmeno che il corpo finisca di accasciarsi come si deve per formare una piccola pozza rossa sulle piastrelle.
Il Manzo e Secondopaio si fermano, sono davanti alla porta dell’appartamento. Aspettano che Primopaio torni dal buio, rassicurandoli che è tutto a posto, si è solo bruciata la lampadina.
Invece dal buio arrivo io, con un altro tipo di rassicurazioni. Spalancano gli occhi.
Pffff.
Piazzo subito un confetto in gola al Manzo, così, tanto per farlo star tranquillo, tornerò da lui più tardi, con calma.
Lui fa un passo indietro, l’espressione esterrefatta, il tipico gorgoglio di chi ha la gola squarciata, cade aggrappandosi a una pianta finta, trascinandola con sé.
Mezzo secondo dopo ho già Secondopaio nel mirino, ma qui succede qualcosa, un poltergeist giocherellone mi prende la gamba destra e la tira di forza in avanti, la prospettiva sciiiivola, il pavimento mi sculaccia, il ferro mi cade di mano, mi ritrovo a fissare il buio e il probabile soffito dietro di lui.
Beh? Cosa cazzo succede?
Dai, non è possibile. Sono per terra. Sono scivolato sulla pozza di sangue uscita dalla testa di Primopaio? E’ andata così?
Scoppio a ridere, non ne posso fare a meno, è troppo ridicolo, dai. Rido veramente di gusto, smetto giusto un attimo quando il dolore inizia a scavare il suo tunnel personale dentro la mia carne, poi ricomincio a sghignazzare.
Secondopaio mi ha sparato, alla spalla, ha avuto tutto il tempo di mirare con calma. Anche lui è sveglio, vuole prendermi vivo, vuole portarmi da chi sa lui per giustificarsi del manzo senza gola. L’unica cosa che mi stupisce ora è il perchè non stia ridendo anche lui.
Si china su di me, forse vorrebbe tramortirmi, ma è nervoso, chi non lo sarebbe avendo tra le mani uno stronzo killer pieno di sangue con gli occhi spiritati che raglia come un asino?
Vedo le vene gonfiarsi sul suo collo, dio quanto è brutto, hahahah, non capisce, ha cambiato idea, forse ha paura che mi trasformi in un drago a tre teste, ora mi spara per sicurezza, sai mai, ciao ciao mondo storto, io mi son divertito, grazie di tutto.

Aspetto lo sparo.
Lo sparo arriva.
Poi arriva il sangue, denso e caldo, uno schizzo mi si infila diretto nell’occhio e devo chiuderlo, aaww che schifo.
Quando capisco cos’è successo, mi viene quasi da mettere il broncio, ho voglia di urlare: UFFA! da quanto la dinamica è scontata, ma poi no, ricomincio a ridere, so apprezzare un aiuto quando arriva.

Neno entra nel mio campo visivo, la pistola fumante in mano, l’espressione preoccupata ma attenta, vedo i suoi occhi guizzare velocissimi tra me e i tre sacchi di carne morta. Lo sento mormorare giusto un “tu sei scemo”, poi mi carica in spalla, il mondo inizia a dondolare in ogni direzione mentre scendiamo le scale, ora inizio a sentire davvero il dolore, chiudo gli occhi, e restano solo i rumori, le prime porte che iniziano ad aprirsi sopra di noi, il respiro roco di Neno, la mia risata sguaiata, quasi da cartone animato, e poi

e poi

perdo i sensi.

Kire

Ero un pezzo grosso (ldcds ospita)

Chiariamo subito una cosa: io non sono certo uno stronzo qualsiasi. Ne ho sentite un fracco di storie, pretese e balle fantasiose sull’uguaglianza. Tutte cazzate. Non usciamo tutti dallo stesso dannato buco, se non in senso lato, perdiana!
Mentre la corrente gorgoglia gelida e trasporta il mio corpo verso un ineluttabile destino, questa convinzione si fa sempre più chiara ed innegabile. Io me lo ricordo quando sono stato scodellato, a me non la fate mica. Non ho le noccioline in testa, io. Accadde in una stanza di uno di quegli hotel di lusso, uno di quelli che il popolino guarda da fuori con superstizione, ben sapendo che non ci metterà mai piede se non per pulire il pavimento. Quanti di voi sono venuti al mondo in albergo? Ben pochi, forse nessuno: ci doveva essere un futuro per me, io avrei dovuto brillare.
Chi mi ha concepito era un fottuto pezzo grosso, e di conseguenza io sono un pezzo grosso, miei cari. Uno deve essere auto-consapevole, o finisce che ti mancano di rispetto. Chi mi ha messo al mondo lo ha fatto a costo di uno sforzo notevole. Era una sera di primavera, tiepida, di quelle che straziano i poveracci con troppi ricordi infelici aggrappati al cuore. Rammento una conversazione piacevole su di un terrazzo, una voce femminile calda e sensuale, e un cocktail dolce e forte, forse con troppo ghiaccio. Poi d’un tratto mi feci sotto di prepotenza e spinsi per venire al mondo, perche io mi sono sempre fatto rispettare signori miei, fin da subito: non aspetto i comodi di nessuno, io.
Ricordo un sforzo quasi inumano, un corpo che si contorceva intorno al mio per spremermi fuori: non sono certo un peso piuma, ho una bella struttura. Ricordo sofferenza, sudore e che il diavolo mi porti se non c’era pure sangue. Non ci furono grida, ma gemiti sì: non è da tutti serrare la sofferenza tra i denti e morderla perché stia zitta. Io discendo da qualcuno in grado di farlo. Non so quanto sia durato il tutto, ma d’altro canto quando vieni al mondo non hai mica un cazzo di orologio al polso, no?
Non ridete: tranne quello, ho perfettamente inciso tutto nella memoria, dannazione a voi. Ve l’ho detto che non sono uno qualsiasi. Quando venni adagiato in un bacile bianco ad un palmo dall’acqua, ci fu un suono di soffocato sollievo, un grugnito smozzicato, un sospiro inghiottito. Poi due occhi increduli si soffermarono dall’alto a guardarmi con sorpresa. Si sgranarono alla mia vista ed il sollievo e l’orgoglio erano palpabili: li avresti potuti stringere tra le dita e schiacciarli sadicamente. In quello sguardo però non vidi amore, nossignore. Era forse disgusto?
Cosa poi io abbia sbagliato non ve lo so dire: la mia parte credo di averla fatta tutta: non mi si chiedeva che di venire al mondo, e il diavolo mi porti se non l’ho fatto mettendocela tutta. Ero da solo. Nessuno venne al mondo con me, e visto com’è andata non posso che esserne felice.
Immaginate ora il mio sconcerto quando mi resi conto che stavo iniziando a scivolare verso il basso. Ve l’ho detto che ero adagiato vicino a dell’acqua, no? Poco a poco, il gelido flusso iniziò ad inghiottirmi. Cercai disperatamente un appiglio strappando pezzi di me stesso nella discesa, ma guardatemi bene: come avrei mai potuto farcela?
Gettai uno sguardo speranzoso agli occhi che mi fissavano dall’alto, ma in quelli vidi riflesso ineluttabile il mio destino. Persi la speranza quando fui coperto per tutta la lunghezza con un lenzuolo bianco, gettato in basso, come a nascondermi. Compresi che nessuna mano si sarebbe allungata a salvarmi: quelli erano occhi da spettatore, non da salvatore. Quello sguardo mi seguì fino alla fine, quando venni inghiottito del tutto e scivolai verso un fondale che si apriva a sua volta su chissà quali abissi. Poi ci fu un boato, il mondo si capovolse un milione di volte, e persi i sensi.
Mi svegliai galleggiando placidamente, al suono di uno sciabordio che echeggiava all’infinito nel buio senza fine che mi inghiottiva. Assieme a me, decine di miei simili, tutti con la stessa orrenda storia alle spalle. Silenziosi come anime sullo Stige, navigammo verso un qualche inferno che in mancanza di luce poteva essere anche un paradiso. Quale che fosse il luogo in cui eravamo finiti, non mi volli mescolare ai miei compagni di viaggio ed il perché ben lo sapete. Perché signori, io ormai l’ho capito: uno sciacquone mi ha sparato in una fogna, ed è quello il destino di un pezzo di merda quale io sono. Ma mi resta la consapevolezza di non essere uno stronzo qualunque.

Maicol