Cyanotic Uxor

Tamburellava nervosamente con le lunghe unghie sul bordo del bicchiere, ancora per buona parte pieno di quel delizioso distillato, soprappensiero. Dava le spalle alla grande finestra dove il sole non era più così alto, e vedeva la propria ombra allungarsi davanti e sè sul tavolo.
Suo marito, e soprattutto la sua terribile presenza, era lontano. Già da tre giorni poteva godere di una mai troppo desiderata libertà -anche se breve- nel proprio letto, nella propria dimora e perfino, come non riusciva a nascondersi, nella propria vita. Il matrimonio fino a quel momento non era stato quella tragedia che aveva temuto sin da primi istanti, ma nemmeno un vero idillio: dietro i modi comunque cortesi, suo marito celava a malapena qualcosa (cosa? non sapeva spiegarselo) di sinistro; il suo passato era poco chiaro, lui non ne parlava praticamente mai; e il suo tremendo aspetto fisico non giocava a suo favore.
Più inquietante ancora -smise di tormentare il povero bicchiere e si voltò alla luce del tardo pomeriggio- la raccomandazione di non entrare in quella stanza che sapeva. Cosa c’era la dentro? (Nulla che tu debba sapere). Ma. (Niente ma. Mi hai sentito? Non entrare). (Quella volta l’aveva spaventata sul serio). La proibizione all’ingresso della stanza le era stata ricordata al momento della partenza di lui, e all’improvviso sembrava esser diventata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso della sua ansia repressa. Era lacerata da tensioni contrastanti, scoprire il contenuto della stanza e subire la sua ira o lasciar perdere il rischio e tenersi la curiosità. Col dubbio poteva probabilmente convivere, con la rabbia di quell’uomo… non poteva giurarci. Lui avrebbe anche potuto arrivare a ripudiarla, e così sarebbe finita male pure per la sua famiglia, che lasciandola andare in sposa a un uomo così facoltoso aveva risolto parecchi problemi.
Ma guardando il panorama che lentamente si arrossava, si rese conto che più affastellava ragioni a favore della cautela più il suo desiderio di sapere cresceva. Come da una specie di coscienza nera si sentiva trascinata a penetrare il segreto. Chiuse gli occhi, fece un profondo respiro e lasciò che il castello della sua prudenza crollasse. Un brivido la scosse. Con uno scatto si voltò, afferrò le chiavi che giacevano sul tavolo e con i nervi a fior di pelle si diresse verso la porta proibita.

Opossum

Ricreazione (parte 1)

E’ un colpo perfetto, cazzo !
Scandisce bene il cazzo, la parola intendo, fa sempre così per dare enfasi.
Freddy, il mio socio per quanto riguarda la Ricreazione.
Lo chiamiamo così a causa dell’unghia del suo mignolo destro, belle lunga. La usa per tutto, igiene dell’orecchio, igiene del naso, dosaggio e una volta l’ho visto svitare una vite. Giuro.
Non so in quale modo l’unghia di un mignolo debba in qualche modo ricordare Freddy Krueger (si è questa l’analogia) ma sapete, quella dei sopranomi non è una scienza esatta.
Ritornando alla sua unghia; lui ci tiene, si può dire che le vuole persino bene. È sempre pulita anche dopo essere stata in posti per niente puliti, non mi sorprenderebbe sapere che ogni tanto gli da anche una bella passata di smalto.

Puoi riassumermi il tutto ? Gli chiedo.

Semplice. Il vecchio il sabato sera trasporta da solo il guadagno che non lascia in negozio. Il sabato è maggiore, ha più soldi addosso, visto che non si fida a lasciarli incustoditi tutta la domenica. In pratica, dicevo, non si fida nemmeno di farsi accompagnare o di affidare gli spicci a qualcuno quindi fa tutto lui. Sapete come sono gli ebrei.

E’ ebreo ? Chiede Miranda.
Per precisare Miranda è un uomo, solo che è uguale alla rossa di Sex and the City, eccetto per il petto. Magro, gracile, carnagione chiara, capelli rossi a caschetto e un minuscolo nasino a punta. Ha anche la voce un po’ così e tanto per dire se quella volta non gli toccavo le palle c’avrei ancora dei dubbi. Si può dire che questa volta la scienza dei soprannomi è stata esatta.

È un orafo! Certo che è ebreo. Risponde stizzito Freddy come se avesse detto la più ovvia delle ovvietà.
Ma se è ebreo perché lavora di sabato ?
Forse perché non è un buon ebreo. Rincaro io.
Chi se ne fotte di cosa è ! E’ comunque è un vecchio ricurvo, calvo, con il nasone e gli occhiali. Come lo chiamate voi uno del genere ?
Un orafo ebreo senza dubbio, vero Miranda ?
Si, forse è così.
Oltre alla sua stupidità il fatto che abbia accettato di buon grado quel sopranome mi fa venire un altro spaventoso dubbio.
Continua Freddy.
Ok, dicevo: prima che il vecchio salga in macchina dobbiamo prenderlo, tiene il contante in una borsa di pelle, la tiene stretta sotto braccio come se fosse preziosa. Di sicuro sono lì.
Sei sicuro che ci siano soldi lì e non delle carte da orafi ebrei che lavorano il sabato ?
Che altro potrebbe tenere con tanta cura sotto braccio ? Sono mesi che l’osservo.
Ok ammesso che ci siano dei soldi, come procediamo ?
Siamo in tre. La cosa più importante è che tutti e tre dobbiamo andargli incontro minacciosi e A VOLTO COPERTO.
Genio !
Cosa ?
Niente, continua.
Anche se ci farebbe comodo un qualche tipo di arma non ne abbiamo, magari ne recuperiamo qualcuna ma mi ripeto: siamo in tre.
Tutto facile insomma.
Si.
Per me si può fare. Miranda ?
Ci sto.
Come divideremo ? Chiedo.
In parti uguali. Risponde Freddy.
Si socio ma tu hai avuto l’idea. Meriti di più.
Dici ?
Si.
Vi crea qualche problema ?
No.
No.
Perfetto.

Domani sera sarà Ricreazione, già lo so.

Slon

Io non sono qui

(Caleidoscopio)

La vecchia fiat scivola silenziosa sull’asfalto bagnato, nuota spedita immersa nel buio, riemergendo ciclicamente a prendere aria nelle pozze di luce dei pochi lampioni sparsi.

Un finestrino è leggermente abbassato, gli odori abbracciati della pioggia e della periferia entrano timidi, accoccolandosi quasi con soggezione vicino a quelli già presenti di sigarette, noia e stronzate.

Nello stretto abitacolo ci sono quattro divinità minori, quattro rappresentazioni afflosciate di convenzioni astratte, completamente concentrate nei loro ruoli.

“Ascoltatemi! Ascoltatemi, e amatemi” dice la Paura.
“Stiamo perdendo tempo. Dovremmo vivere più intensamente” dice l’Entropia.
“Non capisco più nulla” dice l’Emotività.
“Basta che guidi” dice la Forza.

Sì, ma verso dove? Verso cosa ci spingiamo, quando siamo convinti di non andare da nessuna parte?

Gli odori si sfaldano, non riesco più a mettere a fuoco i visi. Cosa succede?
Ah, ora capisco. E’ solo un vecchio ricordo. Non sono realmente qui.

Una piccola pista di atterraggio, di notte. Un piccolo aereo con i motori accesi, in procinto di partire.
Una testa si appoggia dolcemente nell’incavo di un collo, come una Martin committee si appoggerebbe su un contrabbasso caldo e lento. Ballano assieme per il tempo di un assolo, poi la tromba tace.
Il tuo odore mi entra dentro con disinvoltura, mi annulla come fosse oppio.
(Dove vai?)
(Non essere triste)

E poi non c’è più l’aereo, non c’è più il cielo, non c’è più jazz, c’è un soffitto troppo basso, talmente basso che potrei baciarlo.
Non riesco a dormire. Sento il sangue che pompa. Il cuore mi batte così forte da farmi paura, un treno folle che raggiunge la sua velocità massima e poi la supera, deragliando dai suoi binari e precipitando in un canyon.
Non c’è più aria, non capisco dove sia finita. Le mani scattano da sole, scalciano il buio, tentano di afferrare qualcosa che non esiste, il caldo e il freddo si tolgono le loro maschere e non si fanno più riconoscere mentre mi baciano, brividi vestiti da bambini mi tirano le pieghe della pelle, urlano gioca con noi! E’ la festa del Rimpianto! Gioca con noi, inutile stronzo!
Le ombre sui muri mi fissano, mi compatiscono, esalano il fumo dei loro sigari e scuotono la testa.
Ho una paura fottuta. Tutto è ostile, il mio corpo per primo. Non ho nemmeno la scusa di aver preso un trip andato a male. L’esperienza mi guarda e alza le spalle. Le lacrime escono copiose ma discrete, me ne accorgo solo quando le sento infrangersi sugli avambracci.
Ho paura di MORIRE, cristo. E’ questo il rumore della morte? Ma và?
Non so perchè, ma me l’ero sempre immaginata con dei violini in sottofondo. Invece sento solo il rimbombo del mio cuore e l’eco distorto del mio respiro.
Cosa cazzo mi succede? Perchè mi sento così?
Dove sono? Non capisco. E’ un altro ricordo. Non sto morendo. Non sono realmente qui.

Sono disteso nell’erba. E’ domenica pomeriggio e c’è un sole fotonico che fa lo splendido, circondato da una platea di cento cieli limpidissimi che applaudono. Un cane mi annusa la faccia, sento la sua lingua ninja guizzarmi sulla guancia, mi ritiro d’istinto ma sorrido, è gradevole. Poi il cane si tuffa un po’ più in là, a rotolare, ad annusare, a fare tutte le sue bellissime stronzate da cane.
C’è qualcuno, dietro di me. Sta cantando, una vecchia canzone di Mina, forse.
Non so il titolo, non riconosco le parole. Ma nella voce percepisco una leggerezza e una gioia che mi lasciano senza fiato. E’ la tonalità di un angelo che canta il suo amore verso dio. E’ il crescendo di un bambino che canta la sigla del suo cartone preferito.
E’ la voce bellissima di qualcuno che ama la vita più di ogni altra cosa, senza chiedersi nulla.
Poi smette, dolcemente, non di colpo, sento le ultime note spegnersi piano dentro di me.
Vorrei dirle di continuare.
Vorrei voltarmi per vedere che viso ha un’anima così intensa. Non ci riesco.
Perchè no? E’ un altro ricordo? Sono qui o no?

No.
Sono nella mia stanza, seduto in un angolo in penombra.
La pilot V5 nera rotola nervosa sul foglio del bloc notes, la sigaretta è quasi spenta nella lattina di birra tagliata a metà che mi fa da posacenere. Sono esausto ma calmo.
Sono curioso di vedere che succede ora. Sono Qui. Ci sono un sacco di nuovi e buoni odori.

So dove sto andando.
Il cuore è veloce ma non vuole più uscirmi dal naso.
E quella voce mi canta sempre dentro ora, e non smette mai.

E’ quasi l’alba. Mi resta qualche ora prima di giocare a nascondino con il mondo.
E’ abbastanza.

Per dormire diecimila anni.
Per sognare diecimila vite.

Chissà se al mio risveglio ti troverò distesa affianco a me.

(Accompagnamento: Faunts – meno mony falls| Subheim – dusk)

Kiree

Quel tipo di sicurezza (parte 3)

Mi squadra preoccupato. Non sono certo io che lo preoccupo ulteriormente ma si sta chiedendo, la domanda gli pulsa violentemente sulla vena al lato destro della fronte, chi è questo e può in qualche modo peggiorare la situazione con la vacca ?
Che vuoi ? Brusco, scozzese e cafone.
Salve, sono delle Direzione. Tiro fuori dalla tasca un biglietto da visita di carta dura, glielo mostro per una frazione di secondo, il suo cervello non può fare alcuna associazione in così poco tempo ed accetta di buon grado che sono l’uomo della Direzione. In realtà quello è il biglietto da visita del Salieri, un ristorante per niente male sulla Garand. Funziona da dio comunque, specialmente con i coglioni. Mi sento come il Dottore quando usa la carta psichica.
E che vuole ? Ora mi da del lei.
C’è qualche problema ?
No.
Ho sentito delle urla, come un litigio.
Avrà sentito male.
Ha tre bei graffi sulla guancia sinistra, regalo delle unghie di Rut. O Ruth con la H ? I nomi non sono proprio il mio forte.
Sarà così forse, posso fare qualcosa per lei ? Per scusarmi della mia visita improvvisa e, lo so, disturbante ?
No grazie.
La prego mi venga incontro, scendiamo al bar e le offro da bere, abbiamo degli eccellenti liquori.
Nel suo sguardo leggo un misto di felicità e paura. Si volta indietro e guarda nella stanza e lì lo noto! Si intravede un piede enorme, nudo e livido. Il resto del corpo è coperto alla mia visuale dal muro che dio lo benedica, ma quel poco mi fa già provare disprezzo per la vacca. Sarà spaparanzata in poltrona ad aspettare il marito per il secondo round.
Mentre osservo con disgusto i secondi passano lenti, nemmeno mi accorgo dell’amichetto scozzese che schizza fuori e dio lo abbia in gloria chiude la porta salvando i miei occhi da quel piede.
Ha messo anche il cappotto.

Il tipo non è difficile da analizzare. È un povero coglione che le prende dalla moglie, fa un lavoro di merda e in qualche maniera deve sfogare. Può scegliere di ubriacarsi con uno sconosciuto o di picchiare una prostituta.
Per sua sfortuna ha scelto il passatempo sbagliato stasera. Ma una cosa gliela concedo, regge bene l’alcol lo scozzese. Siamo già a cinque giri e non accusa il colpo.
Sorride e fa battuta, risulta quasi simpatico e comincio a provare compassione per lui.
Ah, si chiama Edward.

Mia moglie, zoccola, ci vorrebbe tre cazzo di sub per ritrovarle la figa in quel mare di lardo. Dice a denti stretti. E’ una tortura anche in vacanza. Continua. Non vuole uscire dalla camera e pretende che io resti con lei, zoccola lardosa. Sono uscito tre volte, due per comprare le sigarette qui al tabaccaio dell’albergo e una per fare un giro a piedi, per prendere un po’ d’aria. Appena torno in camera mi controlla le tasche, mi perquisisce come se fossi in un cazzo di aeroporto. Dice che vado a puttane, e certo che ci vado! Voglio scopare qualcosa di umano ogni tanto.
China la testa e scola il bicchiere con gran talento.

Ti capisco amico mio, anche mia moglie scassa il cazzo e sai cosa mi aiuta ? Una serata come questa, passata con uno sconosciuto a bere ed a parlare.
Hai ragione, si sta davvero bene.
Già anche perché ti stai ubriacando gratis. Non lo dico ma lo penso.
Ma amico caro, almeno un giro permettimi di pagarlo. Che carino.
Certo ma concedimi prima un secondo al bagno.
Vai.
Non scappare.

Vado verso il bagno del ristorante.
Ai bagni del ristorante del Who, all’entrata per essere precisi, c’è questo bancone dove si vendono cose carine per l’igiene. Se ne occupa Gina.

Gina cara!
Che ci fai qui ?
Lavoro.
Chi è la vittima ?
Lo scozzese.
Viscido e schifoso. Cosa ha fatto ?
Ha picchiato una delle mie ragazze.
Pensa un po’, hai già qualcosa in mente ?
Certamente, ha per caso del rossetto ?
Certamente. Imita il mio modo di dire certamente, lo dico con l’accento francese perché è elegante.
Mettine un po’ più del solito ma prima dammi una penna.

Tiro fuori dalla tasca il biglietto da visita di Salieri mentre lei abbonda col rosso sulle labbra, scrivo: “Qui alle 23”.
Ora cara Gina, stampa un gran bel bacio su questo biglietto.

Torno dal caro Edward, beviamo e ridiamo per altri tre giri, si fa tardi, comincia ad avere paura, ricorda la vacca che lo aspetta in camera. Si alza barcollante, anche gli scozzesi hanno un limite.
Mi stringe la mano, lo saluto in maniera più calorosa, lo abbraccio e gli metto il biglietto da visita di Salieri in tasca. Non si accorge di nulla.

Se ne va, sale le scale e sparisce, mi son assicurato che gente del genere non torni più nella nostra grande città.

Peccato non poter essere lì quando la vacca troverà quel biglietto.

Slon

(Jihad)

Portate pazienza.

L’unica mia giustificazione, è che in media mi innamoro una volta ogni dieci anni, quindi non è che passo la vita a lagnarmi.
L’unica vostra sfiga, è che mi avete beccato giusto in questo momento. Voi tranquilli e sopportate, che al momento giusto tornerò a raccontare cazzate divertenti e sogni con lune parlanti, puttane volanti in fiamme e ragni domestici giganti abbandonati sul ciglio di un’autostrada d’estate.

(Che strano poi, dire così. Come se ci fosse effettivamente qualcuno che mi segue e addirittura aspetta cosa scrivo. Ogni cosa che creo nasce con me e morirebbe con me, se non fosse per qualche ficcanaso che dà una sbirciata veloce e mi dice “oh figo, pompala su che merita”. Io li ringrazio sti ficcanaso, se non fosse per loro queste parole disordinate resterebbero in un qualche bloc notes di qualche agriturismo, che poi dimenticherei su un davanzale dopo un tramonto, pronto a marcire sotto la prima pioggia. Grazie, ficcanaso.)

Dicevamo, l’amore.

Io non è che sia sto gran esperto, sicuramente non abbastanza da intrattenere generazioni di ragazzini rincoglioniti con le mie fregnacce. Però insomma, qualche esperienza l’ho avuta, e qualcosa ho imparato, sui sentimenti.

Ho imparato che sono pericolosi.

L’amore è un po’ come la guerra: può sembrare affascinante in un videogioco o in un libro di fabio volo, ma quando lo provi sulla tua pelle è tutta un’altra storia.
Magari sì, all’inizio c’è questa sensazione di euforia e soddisfazione, mentre scarichi un caricatore nell’esofago di un nazista, o mentre a letto fissi negli occhi la tua donna venire e ricongiungersi alle Stelle, per poi guardare le ombre ballare sul suo viso dormiente e sereno.

E’ bello. Ti fa sentire vivo.

Ma presto o tardi, succede sempre qualcosa. Il tuo cuore si crepa. Che sia per un 7.62 vagante, o per un rifiuto ben mirato, il tuo cuore si c-r-e-p-a.

Anche questo ti fa sentire vivo. Ma NON E’ bello.

E’ per questo motivo che non vado mai in cerca dal principio di relazioni fisse. E’ per questo motivo che, quando mi imbarco per caso in una relazione che immagino possa crescere a livello di sensazioni, mi infilo in un cazzo di completo di prada. In kevlar.

La regola base è sempre quella: NON dare importanza a certi tipi di sentimenti. Questo non vuol dire assolutamente mancare di rispetto all’altra persona, o sminuire il rapporto, anzi. Certo, a volte può capitare di non riuscire ad essere sulla stessa lunghezza d’onda dell’altro, ma ho visto errori ben peggiori in un rapporto.

Questa tecnica poi, oltre a difendere la tua sensibilità (e la mia sensibilità è tipo un neonato cianotico in mezzo al mardi gras di New Orleans) ha anche il vantaggio di mettere in chiaro certe cose con l’altra persona. Ti fa capire quanto profondo è il loro sentimento. Se ti abbandonano alla prima difficoltà, ai primi paletti…beh forse vuol dire che non avete davvero ragione di stare insieme. O no? Il fatto delle tipe che mollano alla prima stronzata succede spesso, lo sapete. Mi son sempre evitato molte rogne così.

Quasi sempre.

Stavolta no. I dettagli non sono importanti. Ormai sono qui.

Ora, mi trovo fottutamente e completamente perso nel medio oriente delle emozioni.

Da un fronte lui, l’innominabile SENTIMENTO.
Cieco, totale, bellissimo, fragile e imponente allo stesso tempo.
Ama con una ferocia spaventosa, e non vuole sentire ragioni. Se ti avvicini anche solo per chiedere che ora è, ti prende a cazzotti nello stomaco. Tipetto vivace, l’amore. Vivace quanto stronzo.
Un bell’avversario.

Dall’altro invece, lei. La maestosa INTELLIGENZA.
Cinica, scaltra, esperta. Analizza tutto, e non si fa sfuggire nulla. Prevede ogni mossa dell’avversario, è bravissima a schivare i colpi del nemico, ma quando viene centrata fa un sacco di fatica a rialzarsi. A differenza del Sentimento, lei ci tiene a te, e farebbe di tutto pur di non farti star male.
Compreso barare, odiare, dimenticare, se non c’è altra soluzione.
Anche con lei, non c’è tanto da scherzare.

Queste due potenze, umane e cosmiche allo stesso tempo, si scontrano in me ogni secondo della giornata, in una sanguinosa jihad dell’anima che non lascia spazio a nient’altro.

Nessuno vince, mai. Nessuno vince perchè io intervengo. Non posso permetterlo. Non posso, e non voglio, rinunciare a nessuna delle due cose, così come non voglio che una domini sull’altra.
Il mio ruolo in tutto questo, olte a quello di campo di battaglia martoriato, è quello di mediatore politico e forza armata di pace.
Sono la NATO delle mie stesse emozioni.
Il punto è che sto finendo i fondi e l’appoggio internazionale. Questa lotta mi consuma, mi strazia, mi lascia spossato e infermo, con appena le forze di addormentarmi e sognare, sognare la stessa guerra che continua in chiave onirica.

Vorrei tanto che si trovasse un accordo. Vorrei tanto che il Sentimento e l’Intelligenza arrivassero a comprendersi davvero, per poi convivere pacificamente nella nazione della mia anima. Ci sono abbastanza risorse naturali per tutti e due, in fondo. Lo stesso cielo scalderebbe allo stesso modo i loro figli. Potrebbero crescere insieme, completi, semidei innocenti e consapevoli.

Non so come finirà. Non ne vedo la fine. Tutto è Guerra.

Appendete una stronza bandiera al balcone, fumatevi qualche canna pensando a me, e domani dimenticatevi della mia esistenza.

Kiree

Quel tipo di sicurezza (parte 2)

Al guardaroba, c’è questa ragazza carina, bassa e scura ad occuparsene, non ricordo il suo nome.
Cara, dimmi, quel signore aveva delle chiavi di un’auto o di un albergo con se ?
No chiavi di auto no, solo quelle di un albergo.
Brava ragazza. Dimmi, quale albergo ?
Beh non c’era scritto, c’era solo il numero della stanza: 268.
Grazie, dettagli su quelle chiavi che mi possano essere utili ?
No. Però guarda, non aveva le chiavi di un auto, quando è uscito non ha chiamato o aspettato un taxi ma si è allontanato spedito come se avesse una direzione in mente e con questo freddo non doveva andare lontano. L’unico albergo qui intorno è il Who. Controllerei prima là.
Brava, brava, brava ragazza.
Grazie.
Dimmi, come ti chiami ?
Ana.
Messico ?
Si.
Sei sprecata in un guardaroba.
Spero di non restarci per sempre.
Farò in modo che non accada, consiglierò il tuo nome a qualcuno. Hai l’occhio per i dettagli e questo è un bene.

Esco in strada e mi avvio verso il Who, a piedi. Fa freddo, in strada c’è poca gente.
È quel periodo dell’anno non adatto per i turisti, i prezzi calano e i morti di fame sono gli unici che vengono. Non c’è nessuno di carino ed interessante per strada, passano in fretta solo un paio di tizi del tutto normali e dimenticabili.
Il Who è una roba medio bassa, abbastanza economica. È il genere di posto dove potete trovare i studenti di cui parlavo prima.
Il portiere lo conosco ma perdio non ricordo il nome, dovrò improvvisare con epiteti gentili.
Sera !
Qual buon vento ?
Saputo ?
Cosa ?
Al Within Temptation, successo mezzo casino e ora cerco questo tizio.
Per caso è uno scozzese del cazzo ?
Si, appartiene a quella razza lì. Per caso dorme qui ?
Magari dormisse, non fa altro che sbraitare con quella vacca della moglie che per inciso e grazie a Dio l’ho vista solo quando è arrivata. Non è mai uscita da quella stanza.
Per quale ragione questa gente viene qui da noi ?
Chiedilo a loro.
Posso fargli visita ?
Si, resta calmo abbiamo solo tre stanze occupate in questo periodo e quelle cornamuse disturbano già abbastanza.
Non preoccuparti…(il nome, il nome, il nome forse iniziava con la F). Non preoccuparti (e basta).

Arrivo alla 268. il parquet a terra è davvero lucido, quasi ti puoi specchiere. Che bella la stagione morta, pochi piedi lo calpestano, non è un bene per i guadagni ma anche nelle cose pessime può esserci del bello.
Sto per bussare ma da dietro la porta comincia un isterico concerto di urla femminili, la vacca ha una gran voce per dio! Potrebbe frantumare un vetro antiproiettile e l’impiegato che ci lavora dietro. Stanno litigando, non capisco una sola parola ma è divertente. A quanto pare il signor Mcscozzesedistograncazzo le sta prendendo, ha un filo di voce implorante. Mi senti buono e faccio toc toc, le urla cessano.

Un patetico [scozzese] grassottello sulla sessantina apre la porta.

Slon

Dellamore?

Tu mi consumi.

Quando della passione saranno rimasti tizzoni e il tempo sarà sazio del mio sentimento, ti prego, raccogli le mie ceneri

Portale in punta di piedi nel punto più alto e delicato della notte, dove il buio non è inquinato di luce ed è sfolgorante, dove il silenzio è l’unica lingua cantata e compresa, dove il sogno si libera dagli stracci troppo stretti della realtà, e cammina nudo e divino sul lungomare dei sensi

Una volta lì, libera i miei frammenti, lascia che il vento li disperda lontano, lascia che una parodia di gravità li faccia salire piano, lasciali posare sulla superficie dell’acqua sopra le nuvole

Lascia che oltrepassino il velo, falli piovere disordinati sul mondo delle cose

Osservali mentre diventano ricordi inaspettati, sorrisi ingiustificati

Ascoltali mentre piegano l’erba con il loro odore

Kiree

Dell’inganno del tempo

In Europa c’è l’Inghilterra. In Inghilterra c’è Londra. A Londra c’è una “piccola” località (pari ad un trentatreesimo di Londra, ed estesa poco meno del doppio della mia non certo immensa Manerba) che si chiama Greenwich.
Greenwich è famosa perchè ci passa il meridiano zero, ed è l’origine del Tempo Terrestre. Greenwich è al centro di uno spicchio di Terra che si estende uniformemente al suo est e al suo ovest per sette gradi e mezzo in ciascuna direzione. Gradi, non chilometri: più si scende verso l’equatore più lo spicchio si allarga. I metri cambiano, ma i gradi no.
Questo spicchio di pianeta contiene il GMT, il tempo di Greenwich, il Tempo Zero; sull’equatore cade in mare, da qualche parte ad ovest di São Tomè: è qui che (nominalmente) la GMT ha la massima estensione destra-sinistra. La minima estensione è invece ai poli: 0 metri. Qui lo spicchio di GMT e il suo meridiano centrale nascono e muoiono. Se nascano a nord e muoiano a sud o viceversa, decidetelo voi.
Al di là di questo spazio di quindici gradi cominciano il passato e il futuro.

Il meridiano zero ha un dopplegänger. Un gemello cattivo che nasce e muore negli stessi luoghi, ma che passa esattamente sull’altra faccia del mondo. Il meridiano centoottanta taglia a metà lo spicchio del ventiquattresimo fuso orario, distribuendo il futuro alla sua destra e il passato alla sua sinistra: dodici ore avanti o dodici ore indietro rispetto all’ora della perfida Albione. Il centoottantesimo meridiano è la Linea del Cambiamento di Data. A Greenwich il tempo nasce. Sul suo gemello muore.

A onor del vero, la LCD e il 180° meridiano non coincidono perfettamente. Come per tutti i fusi orari le geografie politiche e fisiche hanno fatto sentire il loro peso. Se una notte d’autunno un viaggiatore scendesse dal Polo Nord lungo l’antipodo del meridiano zero, camminando su profonde lastre di ghiaccio, calpesterebbe a un dato momento un brandello di terra della grande madre Russia. Si tratterebbe di un’isola, Wrangel, scoperta ufficialmente da statunitensi nel 1867 e raggiunta per la prima volta nel 1881 (in una spedizione di cui faceva parte il naturalista John Muir, videoludicamente eternato in Sam & Max hit the road). Wrangel è abitata da orsi, lemmings e uccelli; su di essa c’è una città, Ušakovskoe, la cui popolazione è però composta unicamente dagli animali di cui sopra. Pare che nessun pazzo voglia viverci, dopotutto. Nonostante ciò, la Linea la scansa piegando verso est, -che sarebbe poi l’estremo occidente del pianeta, a ben vedere- fino ad un punto in cui evita anche la terra dei čukči, quella che anni di Risiko ci hanno più o meno erroneamente educato a chiamare Kamchatka. Tutti amiamo la Kamchatka, e non vorremmo mai che vivesse un intero giorno indietro rispetto agli altri figli di Stalin.
Il viaggiatore d’autunno passerebbe quindi nello stretto di Bering, in mezzo a un arcipelago che -se me lo consentite- mi piacerebbe chiamare oligopelago. Sono infatti due sole isolette, le Diomede, che sono separate da distanze siderali ben superiori a quelle rappresentate dai soli tre chilometri di Pacifico in mezzo a loro. La Diomede più grande fu sovietica, ed ora è russa, ed era un luogo di confino per militari. Come la Siberia. Oggi è dichiarata disabitata (ma Giorgio Fornoni c’è stato e dice che ci sono ancora dei disperati). La Diomede più piccola è statunitense, appartiene all’Alaska, e ci abitano un centinaio e mezzo di anime. L’arcipelago è stato quindi il punto di maggior vicinanza tra le due superpotenze ai tempi della guerra fredda, con le due isole tanto vicine da potersi vedere. La LCD passa in mezzo a loro e se il nostro ipotetico viaggiatore si gettasse dalla piccola Inaliq per farsi una nuotata fino alla grande Imaqliq scoprirebbe di essere arrivato 21 ore prima di partire. Certo, se non fosse morto assiderato nel frattempo.

Dopo Diomede la LCD torna sui suoi passi per evitare St. Lawrence e addirittura sorpassa il centoottantesimo per schivare le Aleutine più occidentali, poi torna sul meridiano. L’acqua si scalda, il viaggiatore lascia le Hawaii alla sua sinistra, le Marshall alla sua destra e procede verso l’Oceania. Che è un continente fatto d’acqua marina e poco altro, dove la terra e la roccia risaltano come punti neri sulla superficie del viso del Pacifico australe. Qui tra le isole c’è solo il nulla liquido e salato, e per la Linea si approssima il problema Kiribati.
Kiribati (che si pronuncia Kiribas, se proprio volete) è, geograficamente, la nazione più surreale del mondo. Composta da 35 atolli e un’isola divisi in tre arcipelaghi, ha meno abitanti (gilbertesi) di un qualsiasi grosso comune italiano e una superficie totale pari a un quattrocentesimo di quella italiana (ed appena 12 volte superiore a quella di San Marino). Ciononostante è dispersa su un’area talmente vasta che le isole più occidentali distano quasi 3500 chilometri da quelle più orientali. E’ circa il doppio dello sviluppo latitudinale dell’Italia (Sicilia compresa). Se, tenendo gli occhi chiusi, provate a puntare uno spillo su una cartina di Kiribati, avete ben poca speranza di non pungere acqua. Anche perchè, essendo tutte atolli tranne una, un’isola gilbertese è praticamente sempre una pozza d’acqua salata con un po’ di sabbia attorno.
Kiribati “contiene” il punto d’incontro dell’equatore e del meridiano 180. Parte delle isole è quindi nell’emisfero nord, parte nell’emisfero sud. Altrettanto, le stesse isole sono in parte nell’occidente e in parte nell’oriente. La LCD taglierebbe Kiribati in due, e per molto tempo l’ha effettivamente fatto. Ma se russi e statunitensi possono spostare la Linea, i gilbertesi pure, per quanto piccoli (così piccoli che ad esempio a nessuno importa se sono fra i (pochi) governi che riconoscono Taiwan e non la Cina), possono farlo a piacer loro. L’hanno quindi fatto. Il nostro viaggiator d’autunno -che durante l’attraversamento di Kiribas diventa primavera, sapete come funziona- passa quindi su acqua gilbertese ed approda su uno degli undici atolli delle Sporadi equatoriali, l’isola Caroline.
L’isola Caroline è un posto strano. Se la Linea fosse un muro, guardando a est si vedrebbe questo muro, che separa oggi da ieri (e lo si vedrebbe, stante la strana forma della linea in questi luoghi, anche guardando verso sud e verso nord). Caroline è l’estremo lembo del Tempo futuro sulla terra. Il centoottantesimo meridiano è incalcolabilmente lontano nel suo occidente, tredici volte la distanza che la separa dalla Linea e dal giorno prima. L’oriente di Caroline non contiene solo acqua (e, a distanze quasi siderali, le isole Marchesi e poi il Perù) ma anche e soprattutto il nuovo giorno che arriva. Una visione abbacinante. Il fuso orario qua è -per un bislacco gioco cronometrico- di 14 ore avanti sull’ormai dimenticato Greenwich. Howard e Baker, due minuscoli atolli statunitensi molto più a nord e molto più a ovest che sono gli unici punti al mondo con un fuso di -12 (e quindi più sepolti nel passato), hanno ventisei ore di ritardo su Caroline e le altre Sporadi. Quando per Caroline la domenica è finita, per Howard deve ancora cominciare. Tale è la bizzarra magia di Kiribati.

Dopo le Sporadi la Linea torna verso ovest (che in realtà sarebbe l’est), poi riprende a scendere. La remota Polinesia sfila qua e là: Tuvalu, Tonga e Samoa, e isolette francesi che forse oltralpe hanno anche dimenticato di possedere. Passando a rispettosa distanza dalla Nuova Zelanda, la Linea e il viaggiatore di mezza stagione si ricongiungono all’antimeridiano di Greenwich a sud dell’isola Chatam per non più lasciarlo. Ormai è tornato a far freddo. La Linea si addentra nel mare Antartico, “sfiora” l’isola Scott e penetra nel mare di Ross.
Infine il viaggiatore sbarca sull’Antartide, dove finalmente la Linea poggia su terra solida. Potrebbe divertirsi a camminare lasciando impronte nella neve a destra e sinistra del meridiano, orme impresse simultaneamente in due giorni diversi. Se ne avesse le forze potrebbe farlo per circa 800 chilometri, fino a quel particolare punto in cui la Linea si interrompe e i due gemelli Zero e Centoottanta si incontrano per morire, e nascere, e trasformarsi.

E’ il Polo Sud. E qui il tempo scompare. Perchè ai ghiacci nulla importa.

Opossum

Dell'inganno del tempo

Dell’inganno del tempo – by Cammello (cammelloput.tumblr.com)

Non possiamo aiutarvi

Storiella, dai.

Me ne stavo con un’amica, un po’ di sere fa. Belli comodi intimi, l’atmosfera c’è, si sta bene.
Questa ragazza vuole usare il preservativo. Io li odio, quei cosi. Cerco di spiegarle che sono un maestro nell’arte del coito interrotto, nel sesso come nella vita: in qualsiasi situazione o sensazione, so che c’è sempre la fregatura, da qualche parte. Sono bravo io, a evitare le fregature.
Non è che la convinco molto. Usiamo il preservativo.
Fatto sta che, non so se per sfiga cosmica o per bassa qualità del prodotto, il giocattolo si rompe. Nel momento clou.

Diciamo che all’amica mia sta cosa non fa molto piacere. Beh neanch’io non è che stappi spumanti, a dire il vero. Cerco di tranquillizzarla come posso: domani mattina appena ci svegliamo ci fiondiamo al pronto soccorso, e ci facciamo dare la pillola del giorno dopo. Cinque minuti, vedrai.

Cinque minuti.

La mattina dopo si piglia e si va. Il prontocura sta pure vicino a casa. Meglio di così!
Dopo qualche scala e corridoio, ci ritroviamo in accettazione. Al bancone c’è una donna.
Non sembra una stronza, non sembra nemmeno gentile. A dire il vero non sembra neanche viva. Ah ok, sì, parla. Però ha uno strano timbro metallico nella voce, lo sguardo perso nel vuoto verso il basso. Sarà mica un nexus 6 difettoso? Sono le note di Vangelis, quelle che sento arrivare dal fondo del corridoio?
Decido di lasciar perdere, spiego la situazione.
“Mi dispiace, ma il nostro dottore specializzato in questo riceve solo il giovedì”
Oggi non è giovedì, inutile dirlo.
“Capisco signorina, ma a noi non serve la pillola del giovedì. A noi serve la pillola del giorno dopo”
“Non possiamo aiutarvi. Provate all’ospedale qui di fianco.”

Eh. Proviamo.
L’ospedale accanto è bello imponente. Piastrellone e scalinate eleganti, sembra la hall di un teatro.
C’è una minuscola guardiola con scritto informazioni. Dentro non c’è nessuno. Aspettiamo un quarto d’ora, finchè nel tugurio si materializzano due vecchiette. Sembrano due siamesi uscite da un bocciodromo di periferia. Stanno vicinevicine quasi attaccate, prima di parlare si interrogano a vicenda con lo sguardo, forse per decidere il ritmo e non parlare contemporaneamente.
Mi guardo attorno, forse c’è Cronenberg che sta girando qualcosa. Non c’è.
Spiego la situazione, fanno una faccia esterrefatta, come se non sapessero di cosa parlo.
Cristo, non sto chiedendo un vaccino contro il veleno del ragno Kim Dum delle isole Galapagos. Vogliamo solo una cazzo di pillolina bianca.
“Non siamo attrezzati per questo”. 5 piani di ospedale, ma non sono attrezzati a prescrivere un confetto.
“Non possiamo aiutarvi. Provate in quest’altro ospedale, il blabla. Lì hanno un reparto di ginecologia”.

Ah beh, allora. Prendiamo l’autobus e ci fiondiamo dall’altra parte della città.

Subito in accettazione, di corsa. Stavolta la tipa al banco sembra davvero una stronza. Spieghiamo tutto.
“A cosa vi serve la pillola?”
Le colleziono, guarda. C’ho un album intero a casa. Ne ho anche una autografata dal dottor House.
Meglio di no dai. Ingoio il mio sarcasmo, e spiego tutto, stavolta nel dettaglio. La tipa sembra schifata. Chissà da quanto non prende un cazzo, questa.
“Lo sa vero, che dovete usare altri metodi?”
Visualizzo distintamente la mia pazienza mettersi sciarpa e soprabito, pronta ad andare al bistrot a bere un caffè amaro.
La prendo per la collottola e la faccio sedere di nuovo. La imploro in lacrime di restare.
“Sì signora. Ha ragione signora. Ora, potrebbe aiutarci? Per favore”
“Primo piano, reparto D”.

Ringrazio qualche santo a caso. Andiamo.
Driiin, campanello. Aspettiamo. Esce un’infermiera.
Una tipetta bassa e bionda, sui 40 anni. La sua faccia è una tazza bollente di astio vivace, con qualche goccia ben dosata di supponenza gratuita. Spieghiamo tutto. Ancora.
“Aspettate qui.”
Aspettiamo. Alla mia amica sta ragionevolmente salendo un po’ di ansia. Cerco di calmarla, anche se non sono tanto bravo in queste cose. Dopo un po’ l’infermiera torna.
Si siede sullo sgabello di plastica, di fianco alla mia amica. Le prende le mani. A me, non mi caga nemmeno. Sembra una scena da telenovela della bassa Brianza.
Anzi no, perchè nonostante quello che sta per dire, l’infermiera ha un sorrisetto cattivo e compiaciuto. Ora sembra di più twin peaks.
“Mi dispiace, ma il medico di turno in questo momento è obiettore.”
Buon per lui. Ma a noi serve la pillola, mica una confessione.
“Essendo obiettore, non le può prescrivere il farmaco.”
NON PUO’? Perchè io ci vedo invece un NON VUOLE?
Prendo la parola, cerco di capire il senso.
“Mi sta dicendo che un medico specializzato, in servizio, sottostante al giuramento di Ippocrate, si sta rifiutando di aiutare una ragazza in lacrime a causa di credenze puramente personali?
“Mi dispiace. E’ un problema COMPLESSO e FILOSOFICO.”
“Ma dove cazzo siamo, in un OSPEDALE o in un TEATRO GRECO?”
“Non possiamo aiutarvi.”
E’ troppo. Ora sì che inizia a salirmi lo schifo, nonostante il mio ottimismo. Comincio a immaginarmi katane insanguinate e servizi su studio aperto. Per l’ultima volta riesco a calmarmi, e cerco di elemosinare altre informazioni.
“Ci sarebbe un consultorio, dalle parti di blabla…”
Dove, strega puttana. DOVE.
“Non saprei esattamente…”
Certo, che non lo sai. Certo, che non hai un indirizzo da qualche parte, o almeno un pc collegato a internet per controllare. Certo.
Ce ne andiamo.
Altro autobus, altra zona. Chiediamo informazioni per strada, troviamo il posto.
Un posto piccolo e tranquillo. Niente accettazione, qui. Niente scalinate, niente teatri, niente campanelli da suonare e aspettare.
Un ufficio con un po’ di ragazze giovani che parlottano. La porta è aperta, ma bussiamo lo stesso.
“Permesso..”
Spieghiamo tutto, e stavolta una tizia sorridente e gentilissima ci ascolta in silenzio, annuendo.
Ci porta da parte, fa le domande di rito, ci prescrive la pillola. Una cosa di dodici secondi in tutto.
Vorrei abbracciarla, quasi lo faccio. Spero si sia accontentata del mio sguardo colmo di speranza verso la specie umana.
Da qui in poi è facile. Ultimo autobus verso la farmacia, un pranzo veloce, la mia amica ora è tranquilla. Io pure.
Penso alle divinità del mio pantheon personale, penso a Pachamama, penso al Karma.
Penso che se cerchi bene, puoi ancora evitare di odiare tutti.
Brindo con la mia amica, io con una birra, lei con il bicchiere d’acqua con cui ha ingoiato la pillola.
Stiamo tranquilli.

Non sono ancora padre.
Fino a qui tutto bene.

Kiree

Alla fine fu il Verbo

Bibbie. Plurale.
Fiorenzo aggrotta le ciglia, quelle del viso e quelle della mente. Cerca di mettere insieme tutto quello che sa sulla bibbia. Ok, è il libro famoso dei cristiani, con tutte le loro storie magiche e le profezie e ciccì coccò, quello lo sanno tutti.
Poi?
Ricorda una scena di un vecchio film, americano probabilmente. In questa scena un uomo entrava in una camera d’albergo, e la prima cosa che faceva era aprire un cassetto per verificare se conteneva un libro sacro. C’era.
Bene: negli alberghi, almeno quelli americani, ogni stanza ha una bibbia pronta all’uso.
Poi?
Poi, basta. Non riesce a ricordarsi nient’altro riguardante la bibbia.
Il notaio parla veloce veloce, non si ferma un secondo. Fiorenzo si sforza di seguirlo, di prendere al volo tutte quelle strane parole, ma niente da fare. Non ci si è mai ritrovato per niente, con il linguaggio burocratico. Gli viene in mente la parola USUCAPIONE. Saranno vent’anni, dai tempi della scuola, che ogni tot mesi ciclicamente si fa spiegare che vuol dire, dimenticandolo dieci minuti dopo. Certe cose non sono fatte per noi, poco da ragionarci sopra.
“Mi sta ascoltando?”
Fiorenzo non sente la domanda, ma nota subito il silenzio, il guado nel fiume di parole incomprensibili. Lo sguardo interrogativo del suo interlocutore gli suggerisce il resto.
“Sì..sì signore.. Ecco..però.. non sono sicuro di capire tutto bene-bene. Non è che mi potrebbe dire..”
“Per farla breve, sig. Lanzane, le stavo solo illustrando i lati tecnici della faccenda. Suo zio, pace all’anima sua, ha espressamente richiesto che il materiale fosse destinato a lei, ma non ha lasciato disposizioni riguardo alle modalità di conservazione. Ora, il lotto si trova in un magazzino di nostra proprietà, ma se non è disposto a ritirarlo immediatamente, saremo costretti a farle pagare una tariffa da concordare. Di questo le stavo..”
“Di quanto…materiale stiamo parlando, esattamente?”
“In base all’ultimo inventario, il lotto è composto da numero ottantamila copie, in versione tascabile sigillata. E’ passato del tempo da questo ultimo inventario, quindi è possibile che ora siano un po’ meno. In ogni caso, se ora volesse..”

Ottantamila bibbie.
Fa effetto dirlo. Fa più effetto ancora vederle. Ci ha messo una mattinata, Fiorenzo, a fare i due viaggi col ducato del vicino per portarsele a casa. Ci ha messo tutto il pomeriggio, per stiparle in giro per l’appartamento. Il suo squallido bilocale di periferia non sembra più lo stesso, con tutte queste pile alte fino al soffitto di piccoli libretti neri. Chissà che ci faceva, suo zio, con tutte queste verità millenarie. Da quello che ricorda di lui, e sono più che altro ricordi basati su pettegolezzi di famiglia, suo zio era un ricettatore di mezza tacca, sicuramente non un uomo di fede. Povero zio, schiantato da un infarto al volante della sua passat, mentre pagava all’omino del casello il prezzo della tratta Colleferro – Cassino.
Ne succedono, di cose.

I giorni passano, le bibbie restano. Fiorenzo prova un po’ di tutto: contatta diocesi in giro per l’Italia, mette annunci ovunque, su internet, sui giornali, perfino su quello gratuito di paese in cui trovi solo gente che regala sedie rotte perchè non ha voglia di portarle in discarica, o annunci bizzarri di signorine dai nomi esotici in cerca di amici premurosi. Fiorenzo da piccolo leggeva quegli annunci e si chiedeva perchè ci fossero così tante ragazze sole, costrette ad elemosinare affetto su quei giornalacci. Una volta chiamò pure. Dopo un iniziale imbarazzo da parte di tutti e due, la ragazza, Paloma si chiamava, spiegò con voce suadente, accompagnata da una punta di divertimento, come stavano realmente le cose. Fiorenzo ci rimase un po’ male. Pochi anni prima aveva scoperto l’inesistenza di Babbo Natale e delle tartarughe ninja; ora doveva fare i conti con il fatto che una serata di coccole davanti al caminetto in realtà significava rapporto completo in appartamento discreto, niente baci e niente anale, preservativo obbligatorio e centomila lire all’ora, contanti anticipati. Nientebello, ecco.
All’inizio per il suo star male se la prese con Paloma, ma poi si rese conto che lei mica gli aveva fatto nulla..anzi era stata gentile, gli aveva pure offerto uno sconto. No, la colpa era del Mondo, del Mondo che ti spinge a credere ai sogni falsi, e che ti fa sentire in colpa se credi a quelli veri.

Ma basta divagare su sogni e prostituzione, dove eravamo rimasti?
Ah sì, alle bibbie.
Insomma, ste bibbie non le vuole un cazzo di nessuno. Fiorenzo inizia ad abituarsi ad averle attorno. Fanno divertire i suoi amici, quando vengono a trovarlo. Se le lanciano dietro da ubriachi e leggono parti a caso mettendo in mezzo bestemmie e parolacce, ridendo come porci. A Fiorenzo non fanno tanto ridere le parolacce in sè, ma è contento che i suoi amici si divertano, e li lascia fare.

Ogni tanto prende una bibbia e ne legge un pezzo a caso, mai dalla stessa copia, tante ce ne sono in giro. Molte parti non le capisce, sembra che tutti siano sempre arrabbiati con tutti. E poi parlano troppo di Dio. Va bene che è il protagonista, ma a Fiorenzo sto Dio sembra un po’ troppo furbetto. Vuole che tutti facciano come dice lui, lui però non c’è mai. Qualcosa stona. Non ha mai visto nessun film dove il protagonista non ci fosse, e sì che di film ne ha visti tanti. Ha visto anche tutti quelli di Totò. Il suo preferito è quello dove lui diventa investigatore e va a caccia di Barbablù. Quante risate si è fatto! Totò gli sta molto più simpatico di Dio, ecco.

Il mio diletto ha messo la mano nello spiraglio | e un fremito mi ha sconvolta. | Mi sono alzata per aprire al mio diletto | e le mie mani stillavano mirra, | fluiva mirra dalle mie dita | sulla maniglia del chiavistello. || Ho aperto allora al mio diletto, | ma il mio diletto già se n’era andato, era scomparso. | Io venni meno, per la sua scomparsa. | L’ho cercato, ma non l’ho trovato, | l’ho chiamato, ma non m’ha risposto. | Mi han trovato le guardie che perlustrano la città; | mi han percosso, mi hanno ferito, | mi han tolto il mantello | le guardie delle mura. | Io vi scongiuro, figlie di Gerusalemme, | se trovate il mio diletto, | che cosa gli racconterete? | Che sono malata d’amore!

Cosa vuol dire? Non ne ha idea, ma gli piace il suono delle parole. Anche lui, forse, vorrebbe girare per le strade, malato d’amore! Invece no, solo guardie, guardie dappertutto, che lo prendono sempre in giro perchè pensano sia scemo.

I giorni passano, le bibbie restano, le case no. Fiorenzo ha perso il posto nella fabbrica di cucine in cui lavorava da quasi otto anni. La crisi, gli dicono. Lui non capisce troppo bene cos’è sta crisi, ma sa che da ormai tre mesi non riesce a pagare l’affitto, e dovrà spostarsi, ancora non sa dove.
Parenti, gliene resta nessuno. Amici, spariti, forse anche loro cacciati di casa dalla Crisi.

Solo bibbie. Pile di bibbie alte fino al soffitto, poche belle frasi nascoste dentro capitoli e capitoli di cattiverie.

Questo è tutto ciò che resta della sua vita.

Forse è ora di andare in America, e aprire un albergo.

Kiree