Quel tipo di sicurezza (parte 1)

Basiamo tutto sulla vita notturna qui, abbiamo un target di turisti prestabilito che, credetemi, anche se non è la famigliola da sit-com non è nemmeno John Doe e la sua puttana.
Non c’è niente di squallido nelle nostre attrazioni, con la cura dei dettagli anche una città la cui economia è basata sui vizi e sul cosiddetto peccato cresce felice. Ed quello che facciamo da sempre, cresciamo felici.

Le chiamate notturne sono il mio lavoro, fortuna che ho una moglie intelligente che non si scomoda nemmeno a chiedermi dove vado a quest’ora, anzi non si alza proprio visto che il mattino dopo ha la sveglia presto. Sono nel reparto sicurezza di cinque locali, faccio bene il mio lavoro, il nome è richiesto e detto tra noi mi faccio pagare fin troppo bene, più di quanto il mio lavoro meriterebbe.
Stasera è arrivata una chiamata dal Within Temptation, un localino niente male indirizzato per i gentleman e le loro voglie. Ho fatto un po’ tardi, l’aria è umida e il parabrezza non voleva sapere di spannarsi, comunque arrivo e do un’occhiata da dentro la macchina. All’entrata tutto sembra tranquillo non c’è niente di preoccupante. Scendo e mi avvio.
La chiamata diceva che questo tizio ha sbroccato con una delle ragazze, l’ha picchiata e ha fatto anche casino al bar. Bastardo.
Il Within Temptation non ha buttafuori, è anche se la cosa vi sembra strana per quel genere di locale, ormai avrete capito quale genere, il motivo è semplice: per la nostra economia i buttafuori sono dannosi. Non giova alla nostra immagine un bisonte che rompe un braccio ad uno studente mingherlino, ubriaco, molesto e vergine, preferiamo un tipo di sicurezza silenziosa e occulta. Il mio tipo di sicurezza.

Entro, nessun cliente, qualche bottiglia rotta a terra e gli sgabelli al bancone sono rovesciati. Tutti.
Non ho messo a posto un cazzo ! Dovevi vedere cosa ha combinato ! Figlio di puttana !
Dice Roberto, il barista, che è gay. Non ha nessuna rilevanza per la storia ma è l’unico barista che conosco con questo dettaglio e ci tenevo a farvelo sapere.
Bene ho visto, ora per piacere fai sistemare. Lo prego, lui fa un cenno che sinceramente non riesco a descrivere ad una delle ragazze e lei esegue, svogliata ma esegue. Roberto è ottimo per gestire un locale, non è solo il barista, gestisce tutto lui qui.
Quale ragazza ha aggredito ?
Ruth.
Come sta ?
Vai a vedere, è nella stanza cinque, le ho detto di non provare a pulirsi il volto perché dovevi vedere cosa le ha fatto quel porco.
Si va bene, ma la prossima volta mi fiderò dei tuoi racconti Roberto, la cosa principale e ripulire subito il locale e tranquillizzare i clienti, chiaro ?
Fa sisi con la testa.
Roberto è ottimo a gestire un locale finché non succede niente.

QUANTO CAZZO CI HAI MESSO ?
Rut, cara, calma.
CALMA UN CAZZO, MI HA ROTTO IL NASO!
Non è rotto, sanguina giusto un po’.
TI DICO CHE E’ ROTTO, GUARDA TOCCALO!
Mi avvicino, la squadro e francamente pensavo di peggio. Ha poco sangue rinsecchito giù per il naso e gli occhi neri, per il trucco che si è sciolto con le lacrime. Le accarezzo la guancia e la bacio con calma sulle labbra. Il suo respiro si calma e abbassa il tono di voce.
Uccidi quel bastardo, tagliagli il cazzo e mettiglielo in bocca.
E’ esattamente quello che avevo in mente, ora però fatti una lunga doccia. Rilassati, ci penso io ora.
Mi abbraccia e mi stampa un bacio con lingua allegata, diocristo se fuma troppo.

Vado da Roberto. E appoggiato sul bancone, guarda la ragazza china a terra raccogliere con attenzione i frammenti di vetro. Guarda il suo culo, anche lui sta pensando che non è male.
Roberto ?
Schioda gli occhi dal culo.
Dimmi, questo stronzo ha firmato il registro, giusto ?
Certo, per chi mi hai preso.
Bene, come si chiama ?
Va verso la cassa, prende il piccolo libretto delle firme e torna da me, scorre il dito sulle firme e una volta trovata quella che mi interessa la colpisce tre vole con l’indice.
E. Mcqualcosa, dopo il Mc c’è uno scarabocchio. L’avrà fatto apposta il bastardo.
Un documento l’aveva ?
Si, era di sicuro un turista, Mc qualcosa, il nome non ricordo.
Hai idea di quanti Mc qualcosa ci sono nel mondo ? Diocristo senza contare quelli che sono rimasti, tutta l’Irlanda si è spostata a Ellis Island nel secolo scorso. E gli scozzesi e gentaglia simile ? Non ricordi nient’altro ?
No, mi dispiace.

Ho decisamente cambiato opinione su Roberto.

Slon

Gravità

Diciamo che state a casa a guardare il TG quando scoprite che USA/Russia/Cina/cazziemazzi hanno dichiarato una guerra nucleare e mentre sentite questa notizia i missili sono già in aria.
Come spendete l’ultima mezz’ora di vita prima che i missili colpiscano?

Spengo la TV. Mezz’ora. Non basta per fare alcunchè. Restare calmo e pensare lucidamente è impossibile, l’ansia già permea i vasi sanguigni e impedisce la normale circolazione. E se mi venisse un infarto proprio ora? Pensa l’ironia della sorte.
Chiamo il prete con l’intenzione di lavarmi l’anima, già intuendo quello che effettivamente avverà: suona occupato. Le linee sono anzi intasate. Ma per cosa poi: L’ultima volta che mi sono confessato l’Unione Sovietica esisteva ancora, quando mai riuscirò a espiare tutti i miei peccati ed espletare le relative penitenze? “Quante volte figliolo?” “Mah, padre, saranno sulle cinquemila, forse cinquemilacinquecento”. No, decisamente non è una buona idea. E tutto questo mi ha fatto perdere quasi quattro minuti.
Se già con trenta minuti non riesco a fare nulla, figuriamoci con ventisei. Il telefono è sempre lì, chiamare qualcuno continua a sembrare l’opzione più semplice. Più pratica. Più immediata. Non che possa servire a qualcosa -giusto dare un ultimo saluto-, tantopiù che provo a fare due o tre numeri e sono tutti occupati. Ovvio, stanno tutti provando a chiamare un prete.
Altro tempo perso, i secondi scorrono veloci, sento già i fischi dei missili avvicinarsi ma è solo l’effetto del sangue che scorre nelle orecchie. La vita mi scorre davanti agli occhi e devo dire che è stata abbastanza pietosa. Posso migliorarla in qualche modo in questi ultimi milleduecento secondi? No. Ma mi consolo, peggiorarla è altrettanto impossibile. Riaccendo la tele, appare mediaset, e mi rendo quindi conto che le certezze possono crollare nel giro di una sola frase; non si smette mai di imparare, nemmeno un attimo prima di lasciarci le penne. Per curiosità giro su Studio Aperto, e vedo che stanno trasmettendo uno speciale in cui cercano di spiegarmi quanto dolorosamente morirò. Noblesse oblige.
Quindici minuti sono passati e li ho letteralmente gettati nella pattumiera. Qualcosa mi dice che nei successivi quindici le cose andranno anche peggio. Da qualche parte nel mondo le prime testate sono sicuramente già cadute, e il problema dell’esplosione demografica comincia già parzialmente a risolversi (il bicchiere mezzo pieno. Sempre). Ormai è veramente troppo tardi per fare qualsiasi cosa, persino sprecare il tempo diventa tecnicamente impossibile quando ce n’è così poco. Esco a respirare la fresca aria della sera novembrina, che in realtà è un ventaccio minaccioso, guardo in su e vedo le stelle. Non ne ho mai imparato i nomi, l’unico asterismo che so riconoscere è il Grande Carro; guardo un po’ se -putacaso- è apparsa la Stella della Morte, ma pare di no. Sento le urla di qualche vicino. Rompicazzo fino all’ultimo, ma fra poco sarete pure voi all’inferno, la fine del mondo qualche lato positivo ce l’ha.
Nove minuti. Ci siamo. Sarebbe ora di cominciare a farsi prendere dal panico, ma per qualche motivo non ci riesco, non mi rendo ancora conto che sto per morire. Persino le scariche di adrenalina e l’ansia se ne sono andate. Mi siedo sotto al pino, vi appoggio la schiena. Sono già quasi semicongelato, ma non importa, fra poco avrò pure troppo caldo. Chiudo gli occhi per far scorrere il tempo più lentamente. Come le V2 tedesche, i missili non si lasceranno sentire. Con gli occhi chiusi non li vedrò arrivare. La morte mi coglierà impreparato.

Opossum

Vento

Lo scenario è una grande, anonima metropoli, di giorno.

Ci sono un sacco di palazzi e grattacieli, dita grigie e stanche puntate contro un cielo limpidissimo e dalla coscienza a posto.
Sono sospeso nell’aria, altissimo, e anche senza vederla riesco a percepire una presenza sopra di me, camuffata tra le sfumature colorate dell’infinito.
In qualche modo sento che è INCAZZATA, una divinità folle e rabbiosa che mi fissa e mi giudica in silenzio. E che poi, si sfoga.
La gravità si sveglia, comincio a cadere nel vuoto, forse urlo. Qualcosa mi prende e mi rilancia verso su, con una forza inaudita.
E così comincia uno stranissimo giro in giostra, con io che vengo sballottato su, giù, a destra, a sinistra, esploro a velocità folle ogni forma della Direzione, uno yo yo umano e boccheggiante appeso al dito di un Dio ghignante in preda alle convulsioni.
Va avanti per un tempo indefinito, fino a quando ogni cosa e percezione di essa comincia a vorticare in uno sfondo bianco-grigio informe, e l’unica cosa che riesco ancora a sentire è il vento, negli occhi, nelle orecchie, sulla pelle attraverso i vestiti.
Vengo lanciato contro la facciata di un palazzo, infrango le grandi vetrate a specchio e finisco a scivolare su un lucido pavimento, il tempo si ferma per un attimo: riesco a scorgere distintamente gambe di sedie e scrivanie, qualche brutta pianta, e ovunque piccole gocce luccicanti di vetro infranto che ancora planano verso il suolo. E poi, si ricomincia.
La forza divina, o quello che è, mi reclama a giocare. Scivolo indietro, sono di nuovo nel vuoto, di nuovo su e giù di qua e di là
Di nuovo mi ritrovo a ingoiare il mio stesso respiro, tango epilettico delle percezioni, amplesso cieco nelle braccia del vento, inconscio che grida senza riconoscere le sue parole.

E basta, non c’è un finale. Si vortica, si balla e si ansima.
Fino a qui tutto bene.

Kiree

Sassi

“Il pendolo insensibilmente va traviando dalla prima sua gita”.
La frase di Galilei si formò senza motivo nella sua mente, mentre pensava ad altro. Appoggiato di sbieco a un palo, sul terrazzo, lo sguardo intento ad osservare il cielo nella notte illune. Fumava lentamente e guardava una stella di cui non sapeva assolutamente il nome (forse Canopo? Non ricordava). Sotto i suoi piedi pulsavano vari piani d’ospedale. La sigaretta moriva tra le sue dita. Sua moglie moriva di parto là sotto da qualche parte.
Provava a pensare ma non era facile. Era stato un matematico, ed anche bravo, a dispetto di un destino che l’aveva voluto semplice insegnante in quel remoto angolo di mondo. La matematica l’aveva aiutato in parecchie cose, ma non l’aveva preparato all’amore o alla morte o al coraggio. Aveva seguito una donna fin lì, e per lei ci era rimasto, ed aveva rinunciato. Ed era stato imprevedibilmente felice.
La fine ora forse si avvicinava, e di nuovo non era preparato: doveva tornare da lei, ma scoprì di non esserne capace. Gli ultimi fiocchi di cenere gli caddero sulle scarpe. Lui rimase appoggiato nel gelo della notte.

Opossum

Dentro.

C’è questo posto. Questa specie di palazzo. E’ curioso.

E’ grande grande grande. Nonostante l’abbia in gran parte costruito io, ci sono ancora un sacco di stanze in cui non sono mai entrato. Stanze grandi, disordinate, in cui non ho ancora allacciato la luce, e in cui mi devo muovere a tentoni, accarezzando scatoloni chiusi pieni di cose bellissime.

O terribili.

Quello che conosco invece, mi piace come è arredato. Una stanza a tema per ogni stato d’animo.
All’interno, o forse dietro non so, c’è un giardino molto grande: di solito ci vado all’alba, a passeggiare quando mi sento bene. Alcune parti sono molto ben curate: sentierini, aiuole, simmetria. Ci sono siepi e sculture d’erba, piccoli animali di siepe, costellazioni, strani oggetti.
Ma la parte che preferisco è quella in fondo, selvaggia, con l’erba bagnata di rugiada che arriva alle ginocchia, e un filo di nebbia perenne che sfuoca l’orizzonte.
C’è una terrazza capovolta, dove vado a pensare quando sono confuso: da lì guardo il mondo al contrario e cerco i immaginarmelo con la stessa mia gravità. Ma non è facile, e il più delle volte me ne torno in casa con un mal di testa biblico.
C’è una stanza che contiene l’oceano, tanto quanto posso percepirlo.
Comincia da una spiaggia totalmente bianca e immacolata. Qui è dove vengo quando sono davvero al limite, incazzato o frustrato. Non molto spesso, devo ammettere. Qui è dove vengo quando i miei problemi, le mie paranoie, i miei incubi raggiungono l’apice, e non sono più gestibili o rimandabili.
Qua è dove li combatto: faccia a faccia occhi negli occhi e denti nella carne se sono problemi veri, o mettendoli in ginocchio e finendoli con un colpo alla nuca, se sono solo seghe mentali.
In un grande salone ho allestito un cineforum d’essai, in cui posso sedermi tranquillo e visionare con calma ogni idea o viaggio mentale mi stia galleggiando grezzo nella mente. Lavoro sul montaggio mano a mano che il film scorre, aggiungo tolgo e modifico, mi emoziono applaudo o critico come se fosse sempre la prima ufficiale.
C’è una cantina, da qualche parte, sopra o sotto. Ci si arriva tramite un complesso sistema di scale male illuminate. Ospita una specie di antica fornace che lavora costantemente e riempie l’ambiente di quello che può andare dal gradevole calore al caminetto dell’inferno. Qui ci vengo di nascosto stando attento che nessuno mi segua quando ho freddo, quel tipo di freddo emotivo che mi rende insofferente e nervoso a qualsiasi tipo di vento esterno. Qui mi accoccolo tra vecchi sacchi di yuta, rabbrividendo di calore puro e ancestrale, completamente indifferente alla temperatura del Mondo di Fuori.
Ed è qui che mi fermo un po’ a riscaldarmi, ora.

Kiree

Soriano

José Luis Lanzafame, che era nato nessuno sapeva più quando in una casa sperduta nell’Argentina occidentale, vicino al confine boliviano, sapeva creare storie dal nulla in qualsiasi situazione si trovasse. Nelle pause del lavoro in ufficio -pause che si prendeva più spesso di quanto fosse lecito- spesso gli capitava di lasciare che le dita si facessero i casi loro scivolando sul labirinto alfabetico della tastiera, mentre una parte della mente correva fuori dalla finestra in direzione del sole sognando di non dover essere costretta, prima o poi, a tornare dentro.

Opossum

Fool man walking

Pure qui.

Dunque. Ieri mi trovo in treno diretto verso casa, dopo una settimana di flebile baldoria in giro per la regione. Devo essere più stanco del previsto, dato che ad un certo punto mi becco davanti LUI, l’incubo di tutti i viaggiatori mentecatti, il cerbero CONTROLLORE delle fs dal berretto verde e dallo sguardo spento.

Dopo averlo informato della mia mancanza di biglietto e della mia infanzia difficile, vengo più o meno gentilmente costretto a scendere.

Nella fermata più brutta e desolata d’Italia. Barbabecco qualcosa, cazzo ne so. Lascio andare lo sguardo al villaggio-quartiere dietro la stazione. Un misto tra Da Nang e il parcheggio di un ikea. L’attrazione principale è un ferramenta chiuso.

Non una sala d’attesa, un bar, nemmeno una panchina in cui dissolversi una mezz’oretta, il cappello sugli occhi, la mano in tasca chiusa sul coltellino svizzero, in caso qualcuno volesse rubarmi i sogni.

Mi avvicino alla bacheca degli orari. Con molta difficoltà, scrutando attraverso peni stilizzati, citazioni ricercate del tipo “chiKKo tvkbmamo si 4ever kk tt 32925252 mangio caZZI sl groSSI” e macchie e incrostazioni di dubbia origine, scopro che il successivo mezzo di locomozione sarebbe arrivato dopo due ore.

DUE ore.

Tutto il mio equipaggiamento consiste in uno zaino pieno di vestiti sporchi, un cellulare scarico, una sterlina e un sacco di sorrisi.

Mi guardo attorno in slow-motion, giro su me stesso a braccia spalancate tra i binari, datemi il giusto accompagnamento e una voce in falsetto e vi divento la nuova stella mestruopop delle classifiche.

Guardo l’orizzonte.

All’improvviso mi sale una voglia irrefrenabile di un’infanzia di frontiera americana alla HUCKLBERRY FINN, e decido di incamminarmi a piedi seguendo la confortante linea delle rotaie. Una quindicina di km mi dico, che cazzo perchè no? C’è gente di 25 anni che fa scoperte scientifiche, vince motomondiali, va in tv in prima serata, perchè io non dovrei riuscire a farmi 15 chilometri sotto il sole?

Mi incammino.

Dopo il primo km la simpatica temperatura mi convince a continuare a torso nudo come i veri LORENZI LAMAS.

Dopo il secondo, le zanzare mi fanno omaggio di un nuovo tatuaggio sul petto, un’originale scritta “MORIRAI” in latino, con tanto di ombre, sfumature, e un piccolo bafometto che spunta da dietro una colonna in stile bisanzio antico.

I treni mi passano accanto e mi suonano come se fossi una battona sul marciapiede, l’orizzonte si fa sempre più monotono e sfuocato: più o meno al quinto km, decido di uscire dal percorso e tagliare in mezzo ai campi. Tanto. Se taglio di qua, poi giro di là, esco da cip e passo per ciop. Facile.

Mi perdo.

Vigneti, rovi e prati fioriti, rumoracci nell’erba sicuramente provocate da anaconde assassine, piccoli oceani di fango da guadare che non si capisce nemmeno da dove arriva sto cazzo di fango, che non piove da sei mesi. Beh insomma mezzo apocalypto e poi arrivo in un piccolo centro abitato a me sconosciuto. Vorrei chiedere informazioni, ma non c’è NESSUNO.

Voglio dire, sarà l’una di pomeriggio. Un bambino in bicicletta. Una mamma che sbatte una tovaglia. Un contadino ottantacinquenne analfabeta. NIENTE. Imposte chiuse, nessun rumore. Mi sembra di trovarmi nei titoli di testa di un film di Romero. Rimetto la mano in tasca sul coltellino. Continuo a vagare a cazzo.

DEUS EX MACHINA: una vecchietta su una polo si avvicina. Sembra un miraggio, ma io mi butto davanti e lei si ferma. Ci metto almeno due minuti a convincerla ad aprire il finestrino; finalmente, balbettando, mi spiega dove sono, ovvero nell’ESATTA direzione opposta rispetto a dove devo andare. Faccio per ringraziare, ma alla seconda i di “gentilissima..”la vecchietta è già sparita all’orizzonte.

Mollo una sessantina di bestemmie, così, tanto per requilibrare il karma, e mi invio nella giusta direzione. La la la, cammina cammina, trovo una tangenziale. Non ricordo di aver mai provato sollievo alla vista di una tangenziale, prima d’ora. Decido di tornarci in un futuro tramonto con la mia prossima ragazza, staremo abbracciati sul ciglio a vedere gli scania passare, e proveremo un senso di pace con l’universo. Provo a fare un pò di autostop ma appena la gente mi scorge scattano delle risate registrate alla Bill Cosby, loro sgommano di gusto e si allontanano leprotti.

Nell’avvicinarmi di nuovo alla realtà conosciuta, non so perchè, ripenso al manuale delle giovani marmotte che avevo da piccolo. Inizio a vedere paperi in casacca morti con la coda dell’occhio.

Infine dai, basta. Arrivo in un paesello conosciuto dove un’amica ha un negozio: mi accascio fuori e aspetto per una mezz’oretta l’apertura. La tipa arriva, mi trascina dentro, mi lancia un bicchiere d’acqua in faccia e mi presta il suo telefono. Chiamo il fratellame strappandolo ad un pomeriggio di sole e sorrisi e lo costringo a venire a prendermi con la motoretta. Breem brem, da dove cazzo arrivi, guarda lascia stare

Arrivo a casa, scrivo sta roba, e mi addormento sul tappeto.

Ciao.

Kiree

Precario – L’Editoria

Il centro commerciale. È una roba graziosa, l’avranno aperto tipo tre anni fa. Maggiormente ci sono negozi d’abiti per ogni specie di cristiano, dalla fighetta al boscaiolo. C’è una roba che vende elettronica, non ci metto mai piede perché non amo spendere settanta carte per un videogioco che su dei siti inglesi trovo anche a otto carte.
Il pezzo forte è il negozio di libri, una roba fornita a dovere. Gli scaffali sono divisi in genere, gli autori messi in ordine alfabetico e insomma, è un goduria.
Su per giù in tasca ho venti carte scarse e per il libro vorrei spenderne al massimo otto. Dopo Cuore di Tenebra vorrei dedicarmi alla lettura di Colla di Welsh, American Psycho di Ellis o qualcosa di McCarthy. Ne ho sentito un gran parlare ma mai letto nulla.

Disclaimer. Non è che sono contro quel tipo di letteratura tesa a tirar su il soldo, non faccio come i che guevara boriosi contro il commerciale. In francese: non me ne fotte un cazzo.
Appena arrivo c’è questo mega cartellone, pubblicizza il nuovo capitolo di quella roba con i vampiri. Ho provato a leggerlo, solo che non vai avanti molto con vampiri brillanti al sole, personaggi uno più stronzo dell’altro, il tutto condito con una mormonosità dilagante. La più stronza è la protagonista, non fa altro che bagnarsi davanti al petto del vampiro complessato e ai suoi macchinoni. Un grosso spot per macchine da merda aristocratica moderna, ecco cosa è quel libro. Non sono donna ma se lo fossi mi sentirei schifata da come viene rappresentato il genere femminile da quella arrapata.
Vado avanti e c’è il filone delle Little Romantic Trojes, romanzetti fotocopia dove c’è sempre la stronzetta dai quattordici in su che vuole farsi chiavare dall’uomo maturo, quest’ultimo non l’adesca per chiavaggio e basta, come è logico che sia, ma se ne innamora perdutamente passando sopra al fatto che cristodiddio le tapperei la bocca con il cazzo ogni volta che la apre per dire le solite stronzate fatte dalla sua amica Ale a scuola oggi. C’è di buono una cosa però, qui almeno scopano. E pur sempre materiale per ditalini, pensate a come è poco vasto il mercato della pornografia per donne.
E per finire c’è la saga de: Il libro che (soggetto a caso) non ti farebbe leggere mai. Una roba che va bene per i Whine e basta. Loro godono ad incazzarsi per qualsiasi cosa e scrivere boriosi commenti sui forum o sui loro blog, è la loro missione. Non pensano che effettivamente non frega a nessuno la loro opinione sull’argomento, perché se uno a trentasei anni fa ancora il mantenuto dai genitori non deve sorprendersi quando la gente lo tratta come un coglione anche quando parla seriamente. Questi sonno i Whine.
L’editoria è retta dai ditalini e dagli incazzati. Roba semplice, va forte ultimamente. E’ un incoraggiamento per tanti provetti scrittori, chiunque sia capace di mettere due parole in croce butta giù un manoscritto.
Purtroppo alcuni vengono pubblicati.

Mi fiondo su Colla di Welsh e vado alla cassa, ho bisogno di uscire da qua. Non mi accorgo nemmeno che ho sforato il budget previsto spendendo dodici carte.

Slon

Carne

Londra, estate, mattina.

Mi trovo a bighellonare nell’east end, dalle parti di Whitechapel. Attraverso il mercato disposto lungo la strada, e sembra di essere a Karachi. Indiani e pakistani di ogni tipo vendono comprano e barattano ogni tipo di merce di merda, dalle macchine radiocomandate alle pentole ai tappeti di Damasco. Tizi minacciosi con il turbante e il barbone da saladino sgozzano polli sul marciapiede, agitando il corpo morto e urlando prezzi imbattibili in lingue spaventose. Tutto questo bordello mi mette allegria.
Mi suona il cellulare, è M., una tizia con cui mi frequento. E’ di buon umore e mi informa che ha appena affittato una villetta dalle parti di Seven sisters, ad un prezzo stracciato. Sa che al momento dormo dove capita, quindi mi invita a passare del tempo da lei, per aiutarla con i lavoretti e per stare un po’ assieme. E a me va proprio.
La villetta vista da fuori è piccolina ma graziosa, con un modesto giardino sul retro, in una strada tranquilla. Un edificio a sé stante tra due linee interrotte di edifici a schiera, cosa buffa da vedere qui.
Una volta dentro, ci metto poco a rendermi conto che in realtà la casa è una sorta di pensieroso delirio architettonico. E’ molto più grande di come appare da fuori, ci sono enormi saloni, lunghissimi corridoi, salotti sontuosi con due o tre caminetti, intere biblioteche da togliere il fiato.
Ci sono anche molte scalinate ricoperte da tappeti, che salgono su su e terminano nel buio, cosa strana quando abiti in una casa a un piano, ma nessuno ci fa caso più di tanto.
Ma la cosa più strana, forse, è che ogni giorno la casa muta: stanze vecchie che spariscono, stanze nuove che appaiono.
M. lavora, ogni mattina ci alziamo presto insieme, poi lei esce. La mia routine quotidiana prende forma nel farmi un caffè solubile e passeggiare per la casa, prendendo nota su un piccolo taccuino dei cambiamenti avvenuti.
Oggi trovo una nuova stanzetta piccolina e semibuia: ci sono degli scatoloni e delle coperte a formare una cuccia artigianale. Una grossa cagna nera, forse un labrador, allatta una nutrita cucciolata di batuffolini neri. Mi guarda con indifferenza, poi ritorna a leccare i suoi mocciosi.
In un’altra stanza, bella grande, scopro una notevole vasca da bagno\piscina al posto dell’intero pavimento. Tante piccole piastrelle con centinaia di sfumature blu e azzurre creano un mosaico che ricorda il fondo dell’oceano. A stare a fissarle viene quasi la sensazione di stare sott’acqua, l’impulso di trattenere il respiro.
E poi c’è il campanello che suona, e io vado ad aprire.
All’esterno si trovano una trentina di strane donne in tunica bianca, perlopiù giovani e carine, anche se ci sono alcune milfone sulla quarantina, mica male pure quelle.
Si presentano come la “holy sisterhood of straight virgins”, o una puttanata simile.
E insomma mi chiedono se possono entrare a parlarmi del loro strano ordine, e io le faccio entrare.
Le donne sembrano già conoscere la casa, si muovono a loro agio tra le ombre e i corridoi, ci sistemiamo comodi in un grande salotto. Alcune di loro mi parlano della casa, mi spiegano che erano solite celebrare qui una volta l’anno una specie di loro rituale sacro, ma poi la casa è stata venduta, e ora hanno bisogno del mio consenso per continuare la loro bislacca tradizione.
Io il consenso lo do. Mi piacciono queste stronzate.
E poi il rito parte, e essenzialmente è una sorta di megaorgia aristocratica alla Kubrick, e io mi ritrovo a fottere ogni pezzo di carne che mi sfiori la pelle, sopra i biliardi, sulle scalinate, distesi sopra folti tappeti persiani materializzati per l’occasione. La cosa va avanti per un tempo indefinito, crescendo sempre più di intensità, lo sfogo e il piacere fisico annullano qualsiasi altro tipo di percezione, il sudore e la pelle e le labbra e capezzoli si amalgamano in un’unica e assordante Sinfonia della Carne.

E poi, M. torna a casa.
Vede il puttanaio, esce di testa, colpo di scena da telenovela argentina.
E diventa una bestia, urla, piglia le sante vergini per i capelli, spacca tutto.
Non so bene come scoppia un incendio, bordello e parapiglio, fuggi fuggi generale.
Non riesco più a vedere M. nel fumo, mi faccio largo tra tette culi e divani in fiamme, finchè resto in trappola alla fine di un corridoio chiuso e devo tuffarmi attraverso una finestra per riuscire a salvarmi.
Mi ritrovo in un vicolo che non ho mai visto, ho una gamba in fiamme, la sbatto dentro una pozzanghera per spegnerla. Alzo lo sguardo e resto..a bocca aperta.
La villetta si è sollevata dal suolo e sta e sta e sta ROTEANDO a una trentina di metri d’altezza, completamente avviluppata dalle fiamme.
E sembra stia SOFFRENDO, geme, e nel suo vorticare espelle fuori povere vergini in fiamme urlanti, che precipitano un po’ ovunque, sui tetti di altre case, sopra macchine parcheggiate, si schiantano sull’asfalto anche a pochi metri da me, me allibito e dolorante in un vicolo, mentre osservo tutto questo, e sorrido affascinato.

Kiree

Precario

Un video sul Figging.
Lui presume che tutti sulla faccia della terra sappiano cosa è il Figging, che tutti roteano Google alla ricerca di qualcosa veramente ma veramente fuori dalla norma e per Dio c’ha ragione. Non so voi ma pur non sapendo cosa è il Figging potrei scrivere una bella analisi sui vari fisting, pegging o CBT.
Come tutti mi ritrovo la sottocartella occultata con roba particolare,l’ho nascosta in C:Programmi/Blacke Isle/Baldur’s Gate 2 Shadow of Ahm/data 3. E’ il mio videogioco preferito perennemente installato sul mio pc dal 2003, a chi mai verrebbe in mente di andare a spulciare quella roba.
In maggioranza ci sono video con cavalli, cani e inglesi. La qualità dell’immagine è spesso pessima ma si riesce ad intravedere quel che serve, la tengo occultata per mio padre.
E’ un po’ così così da quando mamma è morta e vedere l’invidiabile collezione strange porno del figlio non lo aiuterebbe. Una volta l’ho beccato che guardava una roba old di romani che trombano le appena sottomesse egiziane su uno di quei canali scarsi che la notte si danno al porno senza penetrazioni, aveva la mano infilata sotto i pantaloni abbottonati, appena si accorge della mia presenza cambia canale e simula una grattata di palle veramente ben recitata. Povero papà ridotto al porno di quarta categoria.

Ma dicevo del Figging. C’è questo mio amico che chiamano Roddo, un vero esperto in materia. Ha questo sito in homepage dove c’è tutto un listone di video con roba veramente ma veramente particolare. Dai cani ai cavalli agli incidenti sui set porno e questo video sul fidding rientrava proprio in quella categoria.
Ci sono queste due lesbiche bionda e mora, la mora infila di tutto nel culo della bionda: cazzi di plastica, cetrioli e infine lo zenzero. Appena comincia ad entrare le brucia, urla, si agita, stringe i denti e dice STOP STOP STOP ma la bruna non si ferma. Entra tutto ci sono un paio di minuti di pace tra risate e slinguazzate ma poi il dramma, la bionda porta una mano al buco del culo e non sente niente, il pezzo di zenzero è entrato tutto. Comincia ad agitarsi e a spremere forte ma niente, corre il regista per tranquillizzarla ma lei scoppia in un pianto rabbioso e per cinque minuti buoni è un teatro di urla, minacce e un volgare slag. Quando tutto sembra perduta arriva il deus ex machina, un grosso nero con uno strano aggeggio in ferro ben saldo nelle mani. E’ un coso di ferro con due specie di braccia che terminano in alette e una manopola sulla destra. La fa mettere a pecora, mette le due alette all’estremità dei bracci nel culo della bionda, comincia a girare la manopola e i bracci si allargano uno a sinistra l’altro a destra, il buco si spalanca e con una mossa fulminea il tizio infila la mano nella galleria e tira fuori il pezzo di zenzero tra l’urlo di dolore della bionda che per un po’ sviene.
Ma quando rinviene ha un’aria sollevata.
Roddo si fa delle gran risate e devo ammettere che un lato comico l’intera faccenda ce l’ha.

Dopo il video è l’ora di far un po’ di soldi. Si va nella stanza della nonna.
Ai lati del largo letto matrimoniale ci sono queste due statue della Madonna, una vestita di nero e con la solita corona sulla testa e l’altra vestita d’azzurro senza corona. Entrambe giungono le mani in una preghiera, entrambe sono terribilmente inquietanti. Stesa tra le due madonne c’è la nonna.
Buongiorno.
Buongiorno, chi è ‘sto giovane ?
Sono un amico di suo nipote signora.
A chi appartieni ?
Come ?
Chiede chi sono i tuoi genitori, suggerisce Roddo mentre fruga in un portagioie posto su un vecchio mobile di legno che dove contenere coperte, lenzuola e cose così.
Ah beh, non credo che li conosca
Dimmi un po’ che numero di scarpe hai ?
Uhm…quarantatré
Mio fratello Ettore, compro’ un paio di scarpini ma non li mise mai perché è partito come soldato. Gliel’avevo conservati nel mio armadio ancora dentro la scatola per quanto sarebbe ritornato ma m’hanno detto che è disperso e che non tornerà per molto e stanno lì a rovinarsi da sole. Prendile un po’ e vedi se ti vanno, almeno qualcuno le usa.
Vado verso l’armadio, non è che li desideri tanto, non so che farne ma non mi capita tutti i giorni di ricevere in regalo scarpini all’ultimo grido settanta anni fa e quindi obbedisco.
Lascia perde, quelle scarpe non stanno più in quell’armadio da Dio sa quanto, la nonna non ci sta tanto con la testa. Dice Roddo.
Non so che fare la nonna continua a guardami e a indicarmi con gli occhi l’armadio, per fortuna Roddo mi salva, prende il telecomando accende la televisione che immediatamente attira l’attenzione della vecchia facendole dimenticare, scarpe, fratelli morti e guerre di cui si fa un gran parlare ancora oggi nonostante siano finite settanta anni fa. C’è quel programma dove inscenano una causa giudiziaria. Quel tribunale è terrificante che nemmeno quello di Kafka regge il confronto. Ma i vecchi adorano guardarlo.
Il mio amico ha in mano tre braccialetti e un anello che sembrano d’oro. Va verso la nonna la bacia sulla fronte e le dice che tornerà tra un po’. Lei non ascolta, la sua attenzione è rivolta alla televisione.
Ma come la lasci sola ?
Si.
Ma come ?
Qual è il problema, lo faccio di continuo.
E se succede qualcosa e non ci sei ?
E se succede qualcosa e ci sono ?

Prendiamo il cesso di macchina di Roddo.
La destinazione è un paese che dista circa una ventina di chilometri dal nostro, andiamo ad incontrare una nostra vecchia conoscenza.
La vecchia conoscenza è un certo Storage, di cognome. Si dice che il padre gli abbia lasciato parecchi soldi. Si dice. Storage sarà alto un metro e novanta, quasi due. E’ ricurvo, ha occhiali spessi talmente spessi che gli occhi da dietro le lenti sono piccolissimi, da far impressione e sono azzurri. E’ calvo e i pochi capelli che gli sono rimasti sulle tempie e sulla nuca sono di un biondo spento.
Con l’aspetto che si ritrova Storage nella vita non poteva far altro che comprare e vendere oro.
Il suo negozio è uno sgabuzzino vuoto, eccetto per una rovinata scrivania bianca riciclata come bancone e un credenza, anche lei bianca, dove sono esposti tre orologi ancora prezzati a Lire. I muri sono spogli eccetto per un vecchio cartellone pubblicitario della Casio tenuto al muro con un chiodo poco elegante. Ovviamente anche i muri sono bianchi, un bianco ammuffito.
Storage non c’è mai, esce dal retro del negozio solo quanto sente la campanella della porta, per questo nessuno gli porge mai la mano per salutarlo.
Ue ragazzi.
Ehilà, tutto bene ?
Si. E tira su un moccolo d’altri tempi. Che vi serve?
Satriano gli mostra i bracciali e l’anello, Storage prende la sua bilancia, pesa gli oggetti, li palpa, li guarda con una lente d’ingrandimento, un occhialino, li sfrega su un coso nero e dice: centodieci
Benissimo, grazie, ciao e che Dio benedica la tua attività.
Centodieci carte pulite. Che Dio benedica anche l’Alzheimer.
I soldi vanno rinvestiti in sigarette e alcol.

Il bar era il punto di ritrovo di gente particolare. I clienti fissi, quelli che trovi seduti ai tavolini a qualsiasi ora del giorno, erano sei o sette. Di questi sei o sette facevamo parte anche io e Roddo. Gli altri si sono avvicendati nel corso degli anni, tra i tanti ricordo: Porcaria, Pesce in culo e Mezzo Mezzo. Ovviamente avevano anche dei nomi propri ma che gusto c’è ad usarli quando a uno puoi chiamarlo Pesce in culo.
L’argomento di oggi è: cosa accade dopo la morte ? Quello che rimpiango in vita mia è l’avere una pessima memoria, chissà quante epiche disquisizioni di gente ubriaca su argomenti di tale portata ho rimosso.
La mia opinione è semplice, non so cosa c’è dopo la morte e non mi interessa neanche. Alla fine sarà sicuramente tanta aspettativa per nulla, un po’ come Avatar. Se c’è qualcosa spero che sia una nuova vita in un universo simile a quello di Star Wars. Bellissimo ! Un universo dove il bene e il male sono ben distinti, ci sono gli Jedi, monaci che hanno reticenze sullo scopare e che si circondano di giovani allievi ma almeno hanno le spade laser e sono telepatici. Vuoi mettere ?
Dicevo… ah si, del bar, divagare è un mio dannato brutto vizio, cominciate a farne l’abitudine. Era proprietà di un certo Santorso, tutto attaccato. Uno si aspetterebbe di trovare un apostrofo lì per mezzo ma niente, resta deluso. Santorso aveva i soldi e che io sappia ce li ha ancora, la dote era frutto del padre uno che aveva le palle sotto dice la gente. Una bottega di ferramenta da terzo mondo l’aveva lanciato, lui ci sapeva fare, i tempi erano favorevoli, la concorrenza non proprio feroce e inoltre aveva le palle sotto. Ebbe due figli: uno interessato al lavoro del padre, l’altro interessato ad altro.
Il nostro Santorso odiava la ferramenta, lavorò lì con il cappio fino alla morte del padre e alla divisione se la fece dare a soldi dice la gente, tradotto vuol dire che la sua quota della ferramenta fu comprata dal fratello. Aprì un bar, non una cosa di lusso e nemmeno una cosa scadente. Una cosa che va avanti. Roddo ed io andavamo alle elementari con lui, restò un buon rapporto e dal giorno dell’inaugurazione diventammo clienti fissi.
I suoi clienti si dividono in teologi, filosofi, avvocati, commissari tecnici e dirigenti. Da bar. Ognuno con la sua opinione su Dio, la Madonna, Cristo, tutti santi, i politici, l’economia ecc… ognuno con l’innegabile convinzione di essere un gradino sopra gli altri e di avere la conoscenza suprema. Puoi lanciare qualsiasi argomento, nessuno uscirà dalla discussione con un non lo so’, non è il mio campo o boh. 
Dopo quello che succede dopo la morte si passa a discutere di circoncisione e prestazioni sessuali. Pesceinculo sostiene che un cazzo così non è buono per chiavare ed è inutile controbattere, avrà certamente più rilevanza la sua opinione che quella di una donna che ha provato entrambi i tipi di joystick.
Un altro argomento ciclico è la grande occasione che ognuno di loro ha avuto nella vita. Ognuno nella vita ha avuto la grande occasione di diventare qualcosa di importante ma o ha rifiutato perché ama la modestia o perché il diavolo ci ha messo la mano, chissà quante volte mi sono ritrovato al bancone con mancati milionari. Sì, l’occasione mancata è sempre far soldi e niente più.
In realtà la massima aspirazione a cui potevano mirare la maggioranza di loro è diventare un’incubatrice per un Alien.
Con Roddo discutevamo sempre di come un giorno avremmo avuto l’intuito per un’idea geniale e sarebbero fioccati i soldi, non eravamo poi tanto diversi da quegli alcolizzati. A dire il vero eravamo loro da giovani. Una trovata geniale, tipo mettere una cyclette in acqua e brevettarla, non arrivò mai purtroppo.

Santorso spilla birre su birre.
Bravo ragazzo Santorso, ha un unica pecca: è un fanboy Apple, onora il santo codice del Mac. È uno di quelli insopportabili, crede di far parte di una ristretta schiera dall’intelletto superiore solo perché usa un sistema operativo diversamente abile. Te lo vedi dietro al bancone con il suo portatile dalla mela lucente, il suo Iphone dal retro in vetro, porca troia ha anche un adesivo della mela dietro la macchina e cinque o sei T-Shirt. Gli manca solo un cazzo di tatuaggio sul collo.
Che gente gli Applefags.

Centodieci carte non durano molto in un bar, sopratutto se offri a sgaso, e per sera le quasi abbiamo finite.
Saluto e mi avvio verso casa a piedi.

Seduto a tavolo mio padre ed Elena mangiano. Elena è un vicina di casa, divorziata vive da sola. È sempre a casa nostra, non so se mio padre la scopa, buon per lui se è così, ma a quanto pare il loro passatempo preferito è mangiare mentre guardano e ascoltavano i belati nei pietosi servizi con musichette di sottofondo messe lì alla cazzo di cane.
Dove sei stato ? Chiede Elena.
Dove vuoi che sia stato ? Al bar a suonare la tromba.
Così chiama mio padre il bere da una bottiglia: suonare la tromba.
Non gli do retta, come sempre. Lo pseudogiornalista legge una notizia Ansa battuta da poco: “Un barcone e’ stato soccorso dalla corvetta Fenice della Marina Militare a 28 miglia a sud di Lampedusa. I 92 extracomunitari, tra cui tre donne, sono già stati trasbordati sull’unita’ che sta facendo rotta verso l’isola, in attesa di essere presi in consegna da una motovedetta della guardia costiera”. Dice tutto in quindici secondi, gli serviva spazio per le cose importanti.
Eh Cristo, a questi dovrebbero prenderli a manganellate nelle gengive dopo vedi se ritornano. Prontamente ribatte mio padre. Questa è la sua soluzione ai problemi nel mondo, manganellate nelle gengive.
A me non me ne fotte un cazzo! Dice Elena. Lei i problemi del mondo li ha già risolti, non gliene fotte un cazzo.
Questa in breve è la mia famiglia. Oramai ci vedevamo solo a tavola la sera, ben presto mi sono stancato di sbrigare anche quella formalità e rincaso quando già dormono. Non so se nello stesso letto, a me non me ne fotte un cazzo.
È strano quanto sia facile abitare nella stessa casa con delle persone e non riuscire lo stesso a vederle per settimane.
Vado in camera dalla finestra arriva la musica di Mariangela, fighetta di trentanni alta un metro e un cazzo che potrebbe essere una bella scopata se spegnesse quella radio e uscisse di casa. Oggi ascolta un pezzo non comune, una canzone di Lucio Dalla dove lui incontra una puttana ottimista e di sinistra e io mi chiedo come si può essere ottimisti e di sinistra al tempo stesso. È sabato. Non mi va di uscire, è sabato sera ma non mi va. E non ho nemmeno chissà quanti soldi, grazie a Santorso. Crollo sul letto per il solo gusto di farlo, non perché sono stanco, a pancia all’aria accendo una Lucky e solo quando arrivò il momento della scrollata per far cadere la cenere mi accorgo che non ho un posacenere o niente di simile. Cicco per terra.
Non mi va di far niente, ne di leggere Cuore di Tenebra di Conrad che ormai sta poggiato lì sul mio comodino con la copertina coperta di polvere e con Marlow ormai fermo da settimane a cercare bulloni per riparare il battello, aspetta solo me che riprendo in mano il libro e vado avanti.
Lancio il mozzicone dalla finestra incurante di dove finisce, spero sulla testa di Mariangela che ora sta ascoltando una merda neomelodica.
È quella fase depressiva dove mi costringo spesso, in pratica mi deprimo per un qualche cosa qualsiasi. Il motivo ? Boh, forse perché mi piace. So che è una cosa assai stronza ma non m’interessa.
Mi sveglio alle otto del mattino di domenica. Ho dormito con i jeans e la maglietta nera che indossavo al bar, la premura di togliermi le scarpe l’ho avuta.
La prima cosa che vedo appena svegliato è la mia immagine riflessa alla specchio, dato che ho un singolare specchio rettangolare proprio difronte al letto, e una stampa di De André comprata in quei mercatini simil-antiquariato che fanno d’estate dove tra tanta merda trovi anche qualcosa di decente. La pagai tre carte, comprai una cornice a sette carte e la piazzai a destra dello specchio. È in bianco e nero, c’è il suo volto di profilo che si sporge verso il microfono mentre impugna la chitarra. La stampa ha una leggera sfocatura, mi piace quella sfocatura.
Sceso dal letto mi spoglio e metto il pigiama, se mio padre mi vedesse vestito con quegli abiti stropicciati alle otto di mattino farà un lungo sermone su quanto sia una cosa stronza andar a dormir vestiti e voglio evitare.
Vado in cucina per il caffè. Sta ancora dormendo o stanno ancora dormendo, la domenica si concede o si concedono le nove del mattino.
Metto sul fuoco la moca e aspetto. Per far passare il tempo accendo la tv e c’è la Santa Messa, perché prendersi il disturbo di uscire la domenica mattina presto per andare a messa quando puoi seguirla comodamente a casa su Rai 1 ? Sul secondo canale ci sono Tom & Jerry che tentano di squartarsi, al sesto c’è l’A-Team impegnato in una sparatoria. Quei tizi buttano fuori quintali di piombo a ogni episodio e non hanno mai fatto saltare il cranio a nessuno. Anche questa è una cosa piuttosto stronza.

Slon