Grazie

Un anno di blog.
I convenevoli suggeriscono che questo dovrebbe diventare il momento dei ringraziamenti e chi sono io per sovvertire i convenevoli, ergo in ordine cominciamo:

1) Dio, quello dell’Antico Testamento ovviamente, che con la sua impeccabile creazione ci fornisce ogni giorno ispirazione;
2) L’Acer (ciao Danny) che ha prodotto il portatile con cui scrivo;
3) Il tizio che ha fatto Open Office;
4) L’Internet perché senza di Lui sarebbe il nulla;
5) Scarlett Johansson la quale prova che il Dio dell’Antico Testamento esiste;
6) Frank McCourt per il suo spronare la gente a prendere una penna in mano;
7) I sedici che seguono con regolarità il blog, vorrei davvero ringraziarvi uno per uno ma siete davvero in troppi.

Per ultimi ma non per importanza, vorrei ringraziare le migliaia di pervertiti giunti qui con ricerche improbabili alla fine di un lungo e inaspettato viaggio.
Sul serio: Grazie!

Come la maggioranza delle mie amicizie su Facebook suggerisce con regolarità ogni giorno, una giornata senza ridere è una giornata sprecata.
La cosa curiosa è che ogni volta che citano questo aforisma l’autore è sempre diverso.
Memore di questa del tutto disinteressata esortazione ogni giorno cerco di non sprecare la mia giornata ed è qui che voi cari pervertiti date una grossa mano.
Dando un’occhiata alle most searched Keywords da un anno a questa parte abbiamo saldo al primo posto un ovvio Le Distorte Conseguenza della Saggezza, al 68,27 %. Segue al secondo posto l’acronimo ldcds, all’ 11,54 %.
Dal terzo posto il poi le cose si fanno strane; entrambi terzi con lo 2,88 % sono due grandi evergreen: Zenzero nel culo e la sua variante più british Zenzero nel sedere.
Mi riempie di orgoglio che il 5,76 % delle visite nel nostro blog è avvenuto grazie ad un mio racconto, il primo per giunta. Passa quasi in secondo piano che saranno stati quasi tutti luridi schifosi amanti del brutal porn e mi avranno mandato affanculo appena non hanno visto apparire un video in streaming.
Anzi, la percentuale è maggiore visto che al quarto posto all’1,44% abbiamo la graziosa versione: zenzero nel culetto.

Prima di scendere sotto l’1% ci sono cose che mai capiremo come: Un uomo si innamora quando sente di aver trovato l’avversario giusto, storie immagini distorte testo e bara bongo che so io.

Sotto la quota minima per entrare nei tabelloni di Ballarò c’è una babele di cose assurde, le elenco risparmiandovi gli orrori grammaticali:

Quante donne fanno petting;
Quella puttana di una vecchia si scopa il falegname;
Grazie della chiavata (non c’è di che);
Come ci si comporta prima di chiavare;
Foto puttana segata in acqua (mmmmh);
A Paternò un uomo sorpreso che fa la cacca in piazza;
Si scopa un dildo sulla sedia;
Dove si trova porno ? (in provincia di Como);
Due braccia nel culo (fuck yeah!)
Ho qualche animaletto piccolo e nero che cammina sui muri;
Feticisti dell’aceto;
Racconti per punizioni ad uno schiavo;
Il pisello di Pierce Brosnan;
I tuoni sono attratti dalla wifi (il mondo deve sapere);
Granny cerca uomo;
Crema di coglioni (whaaaaaaaaaaaaaat ?);
Quando ti si spacca la bottiglia di aceto cosa significa ? ;
Questa troia si fa infilare un cetriolo nel culo da un’amica (cose normali quando il sabato sera piove);
Kire e Opossum blog (lurido stronzo =( );
Ci infileranno una mano nel sedere (che triste futuro);
Chiavare senza conseguenze (venirle in faccia è un ottimo anticoncezionale);
Filastrocca trottelerrero trotterellò;
Lo scaldabagno dopo un rumore non funziona più;
Mi fa male il ginocchio, dopo caduta (no shit Sherlock);
Peni stilizzati;
Redtube che fine ha fatto ?
Conseguenze a farsi penetrare da dietro;
Vogliose di cazzo.

E ne verranno di sicuro altre.
Quanto cazzo amo l’umanità.

Slon

Ne

Ne si svegliò all’improvviso, preoccupato ed ansimante, senza riuscire a capirne il motivo. Era una mattina presto come tante altre, e la notte era stata tranquilla, non ricordava incubi o stranezze di sorta. Rimase così per un po’, seduto sul letto. Piccole gocce di sudore calavano lentamente giù per le sue tempie, e sembravano andare a ritmo con quelle della pioggia sottile di novembre, che scivolava discreta lungo il vetro della finestra.

Tranquillo, Ne. E’ solo un po’ d’inquietudine. Niente di cui preoccuparsi.

Si alzò e si vestì con calma, poi si concesse qualche minuto nella biblioteca. Sorseggiava del rum caldo e sfogliava libri antichi a caso, così, più per rilassarsi che per un reale motivo. Ma la sensazione strana non lo abbandonava, anzi sembrava crescere, lentamente, come peli sottili su braccia infreddolite.
Si stava facendo tardi. Le lancette sotto il suo occhio sinistro ticchettavano sempre più veloci. Mise il mantello e uscì, rabbrividendo nell’aria pungente e sbarazzina di febbraio. Si diresse su, fino a un’uscita secondaria dei tunnel, e poi puntò a est, diretto verso la

Polvere.

Esistevano solo calcoli approssimativi su quanto si estendesse l’enorme, perenne tempesta di sabbia. Si conosceva il punto in cui iniziava, ma nessuno era sicuro di dove finisse.
Nessuno aveva mai esplorato a fondo il suo stomaco violentato, o perlomeno nessuno era mai tornato per condividere le proprie conoscenze. Al suo interno, intere città dai nomi dimenticati gareggiavano a chi si sgretolasse più rapidamente. Il vento soffiava senza sosta su ogni cosa, con la delicatezza e la precisione di una colonna di carri armati guidati da scoiattoli sotto anfetamine. Anche con la migliore preparazione ed esperienza, pure una semplice passeggiata nella Polvere poteva rivelarsi fatale.
Ne lo sapeva bene, e decise di non sfidare la sorte, non oggi almeno. Legò la solita corda alla solita vecchia quercia rinsecchita che ormai conosceva bene e, dopo averci scambiato qualche chiacchiera frivola e frettolosa, si immerse nel magicomico turbinio.
Restò ancorato ad un sentiero a sei corsie che aveva percorso già molte volte e, con il grosso cappello a tubo calato giù fino alle spalle, si diresse verso un punto che si era ripromesso di controllare meglio l’ultima volta, una piccola radura d’asfalto seminascosta dietro le macerie di un grattacielo crollato. Il luogo era stato nel frattempo setacciato e depredato, ma qualcosa ancora rimaneva. Ne costruì un carretto improvvisato di ossa umane, due tombini di metallo come ruote, e ci caricò sopra un vecchio motore a pompa che sembrava ancora in buono stato. Poi tornò indietro. Poche ore dopo, era uscito dalla tormenta e si trovava nel quartiere delle Piazze di

Meralosca,

l’ultima città di confine prima della Polvere. Senza troppi problemi riuscì a piazzare il motore, barattandolo con alcuni sacchetti di respiro e un piatto di zuppa, condita con i capelli strappati di un’innamorata delusa. Mangiò di gusto e poi si rilassò fumando lentamente una sigaretta di tabacco stantio, osservando le genti vive e quelle morte, che indaffarate trotterellavano e macchineggiavano su e giù per i mercati all’aperto. Da una parte si sentiva sollevato, anche per oggi era riuscito a portare a casa la giornata; eppure, quella sottile sensazione di timida inquietudine lo accompagnava ancora, grattava alla porta dei suoi sensi come un cane chiuso fuori al freddo, smanioso di entrare per scaldarsi e fare le feste al suo padrone. Una lacrima scese solitaria sotto l’occhio destro di Ne, scolorendo leggermente il vivace bosco a tempera che un bambino sconosciuto gli aveva disegnato lì molti anni anni prima.

Ormai era quasi sera: il sole splendeva alto e rigoglioso nel cielo limpido di giugno. Ne si diresse verso la via carovaniera più vicina per fare un po’ di autostop, e quasi subito trovò un passaggio in un’antica gabbia a vapore, trainata da rimpianti vecchi e stanchi. Il cocchiere era un ometto piccino e barbuto, dai capelli arcigni e dallo sguardo folto, che mise in chiaro fin da subito di non aver voglia di ciarlare. A Ne la cosa andava benissimo, e in silenzio viaggiarono verso l’entrata dei tunnel, la soglia incustodita del mondo sotterraneo. Erano quasi arrivati quando la gabbia dovette rallentare, per lasciare il passo ad un vecchietto ciondolante, che stava attraversando la strada lentissimamente, leggendo un quotidiano completamente bianco. Si fermò giusto un secondo in mezzo alla via, accarezzò sorridendo uno dei rimpianti che trainavano la gabbia. Il rimpianto guaì, il vecchio proseguì, la gabbia cigolò, il cocchiere bestemmiò, e Ne fu finalmente a casa, libero di rilassarsi e

sognare.

Passò il resto della serata stravaccato nella sua poltrona preferita, nella terrazza capovolta. Guardava affascinato il sottosuolo al contrario, tratteggiandone i contorni su un foglio di carta bagnata, e canticchiava. Aveva infine aperto la porta all’inquietudine, che ora dormiva tranquilla al suo fianco, svegliandosi ogni tanto per leccargli velocemente la mano e poi tornare a sonnecchiare. Il mare in tempesta tatuato sulla sua nuca si gonfiava e si abbatteva su sé stesso, costringendo Ne a cambiare posizione ogni tanto, per lasciar fluire libere le onde. Fissò le stelle, attraverso la consistenza flebile del terreno. Erano tante e splendenti, erano le costellazioni orgogliose di una notte d’agosto.

Sorrise.

Come passa in fretta il tempo, quando ti diverti.

 

Kire