Vagamente romantico

Un uomo sta davanti ad una finestra, ma tutto ciò che vede è il riflesso di ciò che sta dietro i suoi occhi.

Vede sè stesso, la sua espressione scarmigliata, gli occhi spalancati e dimenticati a sè stessi, come una libreria piena di emozioni impolverate che nessuno sfoglia più da troppo tempo. Vede la sua bocca socchiusa, le labbra screpolate che non toccano acqua da chissà quanto, la barba incolta e insofferente, come un giardino abbandonato al crepuscolo.

Vede la stanza intorno a lui, fiocamente illuminata e distintamente disordinata, vede tutti gli oggetti e tutti gli indizi che potrebbero tratteggiare facilmente il profilo di una plausibile disperazione, ma non c’è disperazione qui dentro. Non ci sono sentimenti in questa stanza. Sono usciti tutti con passo felpato, discretamente, rispettosi del bisogno di silenzio del loro padrone. Sono fuori ora, nella notte, e camminano in fila indiana sulle corde di una chitarra distante, il suono dei loro passi arriva ovattato alla soglia della finestra e lì si ferma, paziente.

Vede una poltrona su cui siede una donna, la cui bellezza non vale la pena descrivere.
La vede chiaramente, e non è per nulla spaventato dalla certezza che lei non sia veramente qui. La vede accendersi una sigaretta con noncuranza, vede i riccioli di fumo salire lentamente e appannare lo stupido scintillio delle lampade di carta.

C’è un breve dialogo sul peso delle parole. Lei sembra sincera, sembra davvero non accorgersi di come le emozioni si muovano in una gravità diversa da quella delle frasi, di come sia impossibile capire che capire è impossibile.

Abbassa gli occhi e vede la propria stanchezza affiorare all’improvviso, no, non all’improvviso, era ai suoi piedi da molto tempo, e aspettava solo che lui incrociasse il suo sguardo. L’impulso lo possiede, la sua mano scatta ciecamente e colpisce il vetro, sfondandolo, aprendo un varco verso l’infinità della notte. Il vento di settembre entra con prepotenza, arruffandogli i capelli e restituendogli tutti quei sentimenti che quasi si era dimenticato di avere. Il sangue gocciola lentamente dalla sua mano, rincorrendo e raggiungendo i pezzi di vetro a terra, e lui lo guarda stupito, sorprendendosi ancora una volta di quanto possa essere potente e meraviglioso il dolore.

L’aria è fredda, e lui se ne ubriaca. E sorride, mentre ascolta con un brivido i rumori della periferia che prima non sentiva. Il riflesso della stanza è incrinato e deformato, ma non ha bisogno di voltarsi per sapere che ora la poltrona è vuota.

Si porta la mano alla bocca, e il suo sangue ha un sapore vagamente romantico.

Kire

Me

Amo credere che sia il sogno a condurmi verso la collina, amo pensare che una qualche divinità abbia scelto questo canale per comunicarmi qualcosa, un faro di speranza nella desolazione. A me, soltanto me.

Ma sono stronzate, nient’altro che deliri da cancrena.
La sogno ogni notte, ogni volta che cado addormentato di giorno e anche quando svengo.
Cammina nella neve a piedi nudi, indossa una lunga veste bianca di lino, il vento l’allunga lasciando una pura coda incolore, persino più pura della neve.
Il vento smuove la veste mostrando nude parti del suo corpo, la pelle marmorea e fredda.
Ha capelli biondi, un biondo vivo e lucente. Occhi verdi, felici.
Non fa altro che camminare, sorridere e camminare.

Quando mi sveglio l’odore della mia gamba scaccia via il sapore della divinità e guardo l’arrossata, nera pelle squarciata dal mio femore. Il pus aumenta di giorno di giorno, ormai ho rinunciato a pulirlo.
E’ curioso come nella morte sia andato in direzione ostinata e contraria al resto del mondo, una vita da conformista con un finale da innovatore: riscoprire i classici modi per morire.

Per quanto ne so l’epidemia ormai ha già sterminato l’intera razza umana o, per quanto ne so, al mondo ci sono altri eletti immuni chissà per quale oscura ragione ma non tanto stupidi da ferirsi a morte scivolando e cadendo da una non troppo considerevole altezza.
Se la razza umana riponeva qualche speranza nel sottoscritto mi dispiace, avete mosso la pedina sbagliata.

E’ cominciato tutto due anni fa, est asiatico, trasmissione per via aerea, nessuna cura, nessuna prevenzione, niente di niente.
Sono da solo da un bel pezzo, in un clima da ultimo uomo sulla terra.
A dire la verità per un antisociale questo è un dannato paradiso e cominciavo anche a credere di essere morto finché non mi sono spezzato la gamba. Non ho mai sentito di qualcuno che si spezza un osso mentre si gode la meritata beatitudine eterna. Ergo, sono ancora vivo.

Il sogno è cominciato lo stesso giorno dell’infortunio.
Non so di preciso quando vidi lo spillo di luce sulla collina, ero steso nel buio più totale ad aspettare di morire e lo vidi per qualche istante.
So che è lei. Da quella notte non ho più visto nulla sulla collina ma so che lei è lì.

E ho ripreso a camminare. Non m’importa del dolore, lei mi guarirà. Devo solo arrivare in cima.
Non sento la necessità di bere o di mangiare, solo quella di giungere alla metà e so che quando chiudo gli occhi la rivedrò e finché la vedo lei è li ad aspettare me.

Me, soltanto me.

Slon

Non credo funzionerà

Mi sopporta, povera creatura. E’ innamorata, brutta malattia. Ho smesso di contare le lacrime e ho cominciato a percepire i silenzi.
I silenzi sono gli attimi di sospensione tra un dramma e una gioia.
L’eccesso di gioia piange, l’eccesso di tristezza ride, e io ho fondamentalmente bisogno di sinfonie mute.
Mi ci vedo, in mezzo ad una platea di lapidi e bare, a condurre una orchestra silenziosa di scheletri, spartiti scritti su pagine nere come
la notte, strumenti intarsiati di infinita solitudine. Una bottiglia di vino vicino alla caviglia, mezza vuota, mezza piena, a seconda se voi siate degli ottimisti alcolizzati o dei pessimisti assetati. E poi c’è lei, le sue spalle sempre più magre, sempre più attraenti, la sua bocca sempre più capace, i suoi pensieri sempre più estranei.
Lei non è te, tu non sei lei. Non lo sarete mai. E forse è questo che fa girare il mondo. L’infinita solitudine dell’essere vivo.
Quando ti addormenti sul tuo cuscino ancora sbavato dalla notte precedente, il mondo se ne va, si congeda, adesso sei tu, da solo, col tuo codice genetico scritto da angeli ubriachi, e le tue amanti, i tuoi familiari, i tuoi amici, i tuoi nemici, non hanno battute nel copione, non hanno ruoli. Sei lo stuntman del tuo subconscio, e chi si fa male sei tu, e tu soltanto, nel sentiero della notte che porta alla colazione dei desideri inespressi.
Il caldo le scioglie i capezzoli.
Vuole me, ed io voglio altro. Cerca me, e io mi trovo altrove, impigliato in un filo spinato di miserie spirituali. Un campo minato di inettitudini scientificamente programmate. What goes around comes around. E io mi ritrovo a girellare come un vecchio intorno al cantiere di me stesso, polsi incrociati dietro all’osso sacro, criticando tutto, si potrebbe fare tutto meglio, io, lo farei meglio, se avessi potere esecutivo sul mio ego.

Alex Kerouac