Pettegolezzi

“Ci sono due segreti per diventare abile; il primo è non rivelare mai tutto quello che sai.”
(Torment)

 

“Niente cazzate, ‘ta volta. Se decidi di portarti ancora dietro quell’immondizia drogata…”

_mi indica_con gli occhi_i suoi denti sono quasi verdi?_è disprezzo questo?_davvero uno così disprezza ME?_

“guardalo, è strafatto persino ora, cristosanto. Neno, ‘ta volta ne rispondi personalmente, sono serio. Sai cosa intendo.”

“Lo tengo buono. Che ti serve?”

“C’è movimento. In città e fuori. Roba grossa, stiamo tirando su tutti. Da adesso siete con noi 24 su 24.”

“Spiegaci.”

“Niente di complicato. C’è una persona per le strade. Va trovata e messa in un sacco, punto. Aspettiamo informazioni da un momento all’altro; appena arrivano, ci muoviamo.”

_senti_senti_un amico_ fantasma_

“Sta bene. Ma tutto questo solo per…?”

_solo?_

“Solo per. A voi non deve fregare un cazzo.”

“Non mi piace.”

“Non è una torta. Senti, te lo dico solo perchè non sei tipo da farsi impressionare… ”

_impressioni_impressioni_impressssssssssssssioni_

“Hai mai sentito parlare di Sin Cara?”

“Sentito nominare. Storielle. Mai fatto caso.”

_oh santa madre_non ridere_non ridere_non

“I ratti bisbigliano, nelle fogne. Però quasi tutte le stronzate che girano su di lui sono vere. Cioè, sono successe. Anni fa ha fatto una quantità di lavori, a est. Poi c’è stato quel puttanaio in quel museo olandese…ricordi?”

_neno annuisce_non mi piace la parola annuire_

“Ho presente”

“Dicono fosse da solo. E sono favole. Ma resta il fatto che quel giorno sono schiattati in venti…”

_sedici_

“…e nessuno sa un cazzo di niente. L’unico sopravvissuto era un cubano rincoglionito, straparlava di un tipo senza faccia, il diavolo vendicatore, la bibbia, la puttana di sua madre…Un giorno era in ospedale, il giorno dopo non c’era più. Da lì, il vuoto. Satana, sparito. Tutti quelli che avevano a che fare con lui, spariti. Nessun cadavere. Nessun indizio. Come se dio stesso avesse tirato la catena del cesso. Stronzate da kaiser soze, senti me…”

“Chi?”

“Lascia perdere. Era per dire che è una brutta storia.”

“E’ solo un uomo. Furbo.”

“Certo che è solo un uomo. Ora, una persona seria ascolta le storielle, filtra quello che deve e ottiene ciò che gli serve, e cioè sapere che questo è un figlio di puttana pericoloso. Ed è da queste…ehy, che gli prende all’immondizia?”

_sono_solo un po’ stanco_tutto qui_

“Che cos’ha, una crisi? Ti giuro che se mi vomita in ufficio gli sparo lì dove …”

_scusa_neno_

[Un po’ mi dispiace, quando taglio la gola a Neno. E’ in gamba Neno…appunto per questo meglio toglierlo di mezzo subito, prima che sia costretto a scegliere da che parte stare. Dentiverdi fa una faccia DAVVERO buffa. Me la godo tutta, fino a quando comincia a muoversi per aprire un cassetto. Scavalco la scrivania e lo prendo per il collo. Con la lama comincio ad accarezzargli le sopracciglia. Fa un bel rumore, soooottile sottile, tipo]

_frrsch_frrsch_

[e se potessi vedermi ora dall’esterno, vedrei un rifiuto umano chiaramente allucinato con un rasoio insanguinato in mano, la saliva che cola da un angolo della bocca e lo sguardo perso nel vuoto. Sono chiaramente distratto e mi chiedo perchè l’altro non ne approfitti, ma allo stesso tempo sono anche due metri più in là a guardare la scena con attenzione, e chissà quale dei due è quello vero? Ora dovrei chiedere a Dentiverdi chi li ha informati. Chi sa di me, chi ha mosso tutto questo. Dovrei spremerlo come un limone, tiragli fuori tutto quello che sa, e poi sparire, cambiare città, cambiare vita, smettere di inghiottire ogni tipo di droga esistente per fuggire dal fatto che le uniche persone con cui ho a che fare, le uniche persone al mondo, da sempre, sono assassini o vittime.

Dovrei. Invece le mie dita cominciano a fare pressione, le mie labbra si socchiudono appena, e sussurro]

“Guardami in faccia.”

Kire

 

Un uomo

Il momento peggiore era il rientro perché lo accompagnava sempre il sordo terrore che la finestra potesse essere chiusa. In linea teorica non era possibile, perché nessuno entrava mai nello sgabuzzino di notte; ma non si poteva mai dire. Con l’unica via d’entrata sbarrata sarebbe stato costretto a scoprirsi.
Ma anche quella notte dopo la consueta arrampicata sul muro ritrovò l’anta scostata di qualche centimetro, come l’aveva lasciata andandosene. Rientrò in casa, e si lasciò cadere seduto sul pavimento. Accese la sigaretta numero ventimila di quella notte. L’alba non era troppo lontana.
In genere una volta al mese, forse due, nelle prime ore piccole e con la famiglia già in preda a Morfeo, si alzava e si rivestiva. Si infilava nello sgabuzzino, apriva la sua via di fuga, scendeva lungo la parete e si avviava a piedi verso una stanza a duecento metri da lì. Una stanza con un letto non suo, e non vuoto, e non di riposo.
Non era certo una passeggiata gestire un tradimento, si disse. Richiedeva parecchia nicotina in più.
Terminò la cicca e la gettò verso l’alto all’indietro, fuori dalla finestra. Un gesto esperto, ormai. Si rialzò e chiuse il battente.

Entrò silenziosamente nella stanza -la porta era come sempre socchiusa- e si appoggiò allo stipite per guardare le sue numerose figlie. Nel buio non poteva quasi vederle, ma la stanza era chiara nella sua mente. Leonor, Veronica, Ginevra, Sara. Nemmeno un maschio. In passato si era spesso chiesto se fosse questa la causa, o una delle cause, che lo avevano reso fedifrago, ma ormai aveva capito che non era così. Le amava tutte con tutto sé stesso, e non sentiva la mancanza di alcunché. Al ritorno da ogni fuga si fermava nella loro stanza ad osservarle e a misurare la propria dignità contro la loro innocenza. Il paragone non era mai risolutivo: al più presto sarebbe fuggito di nuovo, se ne rendeva conto. Non provava neppure più a trovare scuse.
Passò la mano sui capelli di Leonor (sette anni, e un sonno come un macigno), la più vicina, idealmente allargando questo gesto a tutte e quattro: era l’ultimo rituale di quelle notti eterne.

La stanza attigua era la sua. La moglie, inconsapevole (sul serio, sì?), nella stessa posizione in cui l’aveva lasciata. Il suo respiro regolare muoveva lievemente la coperta; dormiva, o fingeva di dormire. Da tempo lui si era convinto che era assurdo pensare che non si fosse mai accorta proprio di nulla, ma non aveva mai fatto trapelare niente nei suoi atteggiamenti verso di lui: una cosa che in qualche modo lo feriva. Si spogliò e si infilò cautamente sotto le coperte, mentre gli abituali sensi di colpa cominciavano ad affiorare per avvelenargli il breve sonno che poteva ancora permettersi.

Opossum

Queer

Decisi di farmi la barba.
Nella mia vita, a seguito della scelta di radermi non più di una volta al mese, sono stato apostrofato con diversi appellativi. Una summa di tutti può sintetizzarsi nella frase: fai schifo al cazzo, vai dal barbiere perdddio!

Così quel giorno realizzai che sì, un po’ schifo al cazzo lo facevo. E decisi di radermi.
Mi ero portato una rasoio elettrico da casa e un paio di forbici, il piano era andare in bagno, sfoltire il grosso con le forbici e finire il tutto con il rasoio.

La sfoltita con le forbici fu lunga e piacevole, canticchiai mentalmente diverse canzoni e ne scrissi, sempre mentalmente, circa quattro.
Quando afferrai il rasoio ero felice come è felice un uomo che è a tre quarti d’opera.
E lì scoprii che in Inghilterra non è d’uso mettere prese di corrente nel bagno.

Oh perché sì, ero in Inghilterra, a Corby Glen.
Un giorno potreste rendervi conto di non aver mai vissuto in un villaggio inglese e decidiate di rimediare, facendo i bagagli.

Pensai all’inganno che le facili battute sull’assenza del bidè generava da decenni, uno andava in Inghilterra mentalmente preparato e allenato a pulirsi il culo senza l’ausilio dell’acqua (e non è poi questo gran dramma, fidatevi) ma non c’era nessuna battuta sull’assenza delle prese della corrente ad avvisarti che saresti rimasto nel cesso come un coglione con la barba pezzata.
Rifiutai di cadere nel panico, in camera avevo uno specchio e quattro prese della corrente.

Mentre mi radevo soddisfatto seduto sul letto e con il grosso specchio di fronte fissato al muro sentii i passi del coinquilino davanti alla mia porta.
Non mi serviva essere telepatico per leggere i suoi pensieri che avevano più o meno tutti a che fare con l’armeggiare di vibratori e cazzi di plastica vari.

Quando uscii dalla stanza era ancora lì tra il divertito e il curioso.
Avrei voluto dirgli tutta la storia della corrente nel bagno, non ci sono prese lì e quindi questo dimostra che tu puoi anche mantenere una solida egemonia per cinque secoli, invadere e conquistare ogni singolo posto di questo mondo, fondare un Impero, vincere due guerre mondiali, riconquistare due puntini d’isola all’altro capo del mondo, mantenere ancora un’influenza nei costumi mentre la tua egemonia svanisce in favore di altre potenze ma mai, e dico mai, ti verrà in mente di mettere una tripla nel cesso mentre ti costruisci la casa.
Ma lasciai stare, probabilmente avrebbe capito e mi avrebbe mostrato la sua collezione di vibratori.
Era mezzo canadese, e in camera ne aveva parecchie di prese elettriche.

Decisi che mi meritavo una pinta.

Frequentavo un pub losco, frequentato da vecchi loschi e gestito da un tizio di nome Ronny. Aveva un occhio nero e uno marrone. Non losco ma quasi.

Mentre bevevo la mia meritata pinta il vecchio losco di fianco a me mi rivolse la parola:
Do you like the cricket ?
Allora mi accorsi che in tv c’era una partita di cricket. Cricket, in tv, e c’era anche gente a vederlo lì dal vivo. A quel punto mi chiesi come hanno fatto a vincere due guerre mondiali se oltre a non usare le prese della corrente in bagno guardano il cricket in tv e dal vivo.
A tutt’oggi non ho trovato risposta.

Not really, sorry.
Are you a queer ?
No sir ( anche se il mio coinquilino testimonierebbe contro di me).
I knew a guy once, he doesn’t like the cricket and he was a queer.
But I’m not a queer, sir.
Where are you from ?
Italy.
Italy, my brother was in Italy during the war…
Oh cool…
…he raped four italians girl.
Och…
But I think it’s all bullshit, he never loved the cricket. He was a queer.

Andai via appena la pinta fu sparita, ringraziando Dio per avermi donato un’altra giornata interessante.
Perché questo è l’importante.

Slon