Ora d’aria

“Allora, manca ancora molto?”

La Razionalità parlava con tono sprezzante, deciso, e pure un po’ seccato. Sebbene fosse una giornata tranquilla senza grossi impegni, la sua scrivania su su al terzultimo piano restava più che ricoperta di scartoffie arretrate da sbrigare. Umori e sentimenti le facevano sempre perdere un sacco di tempo, e la cosa peggiore è che non c’era modo di liberarsene.

“No?”

rispose il Dubbio con la sua voce antica e galleggiante.

“Dovremmo essere quasi arrivati…ma qui sotto non si sa mai con certezza, giusto?”

Lo stretto corridoio costringeva le due figure a camminare in fila, il Dubbio in testa, con il solo naso raggrinzito che spuntava dalla tonaca e fendeva la luce fredda e pigra emanata dai neon sul soffitto. Le pareti ospitavano due file di porte bianche a intervalli irregolari, tutte ben chiuse e silenziose, come la Razionalità si compiaque di osservare. Si sforzò di non pensare alla cacofonia di pianti, risa, urla, canzoni e maledizioni che in realtà si stava svolgendo dietro quelle porte. L’insonorizzazione funzionava alla grande, e tanto bastava.

“Eccoci, sorella.”

Quasi andò a sbattere contro la schiena del Dubbio che si era fermato improvvisamente di fronte a una delle porte, spalancata verso l’interno: solo una piccola stanza completamente vuota, le superfici in ceramica bianca ricoperte da innumerevoli schizzi di sangue, sia casuali sia organizzati in complesse immagini e frasi.

(per stillicidia emittere animam)

La Razionalità le osservò una per una, mentre il Dubbio cominciava il suo monologo di risposte a domande che galleggiavano nell’aria.

“Ambizione. Qui da qualche anno…sette? Forse dieci. Malata. Instabile. Pericolosa? Si è provato a contenerla con guinzagli e ammonimenti, ma è diventata solo più aggressiva. Dopo un violento alterco con un compagno, venne deciso di rinchiuderla qui. Se questo è un qui. Questo posto in fondo nemmeno esiste, no?”

(chi domanda timorosamente insegna a rifiutare)

“Quale alterco?”

“Futili motivi. Il Buonsenso la stava canzonando. Disse -se dovevi farcela ce l’avresti già fatta-, o qualcosa di simile”

“E lei?”

” Gli strappò via la gola e poi cercò di violentarlo. Non si è mai ripreso del tutto, poveraccio.”

(Se attacchi un Re, poi devi ucciderlo)

“Come può essere fuggita?”

“Non si sa? Non lo so. Tua è la caccia a risposte e prigionieri. Mio è il compito di sorvegliarti. Odio il mio lavoro.”

“Sorvegliare ME? Avresti potuto_”

La prima scossa li sorprese con una violenza che andava oltre il fisico vacillare e l’appoggiarsi alle pareti per non cadere. Era una violenza concettuale, l’assistere a qualcosa che non poteva succedere. Una sottile sensazione di movimento cominciò a mordere i contorni della realtà.

“Ci stiamo spostando”, squittì il Dubbio, “L’Omni passeggia! Non è possibile, eppure è. Eccezionale!”

“Silenzio, mangiasonno!” tuonò la Razionalità. “Non so come, ma qualcuno ha profanato il tempio. Dobbiamo salire all’ultimo piano, subito! Dobbiamo correre più veloce della realtà per restare fermi!”

La seconda scossa ruggì la sua soddisfazione mentre correvano a ritroso nel corridoio. Altre porte vennero strappate dai loro cardini mentre i più temerari e disperati tra i prigionieri cominciavano a uscire dalle loro celle. Il ricordo di un amore perduto ballava cieco e nudo bloccando il passaggio: la Razionalità lo colpì allo stomaco, con violenza, togliendolo di mezzo ma senza ucciderlo. Tozzi rimorsi barbuti strisciavano fuori, le unghie sporche e lunghissime bramose di conficcarsi negli occhi di qualche giovane speranza; da dietro, splendide paure e orribili consapevolezze di ogni tipo avanzavano veloci e affamate verso un’indifferente libertà. Il Dubbio e la Razionalità lottarono insieme con ferocia, riuscendo a malapena a uscire incolumi dal dedalo dei sussurri notturni, e salirono su su lungo le scale dipinte che portavano all’ultimo piano, mentre le scosse si facevano sempre più potenti e ritmiche.

La trovarono lì, in punta di piedi sullo strapiombo, immobile, lo sguardo rivolto verso dove prima c’erano le porte del tempio, ora spalancate per la prima volta da tempo immemore. Fuori, l’incomprensibile vorticare del Mare esterno divorava sè stesso mentre urlava le sue domande all’eternità, senza curarsi di eventuali risposte.

“Guarda chi c’è. Il figlio bastardo della Conoscenza e la regina zitella truffatrice dei sensi. Benvenuti, figuranti! Un bel venticello oggi, non trovate? Ottimo per fare due passi!”

Calma e sinuosa, così suonava la voce dell’Ambizione. E per un attimo, un intenso lungo attimo carico di eventualità sembrò che le cose si potessero davvero incastrare con eleganza in un finale soddisfacente.

L’Ambizione non fece due passi, non saltò fuori. La sua esile figura non scomparve tra le maree dell’entropia sottostante, trascinando con sè l’intero tempio. Le porte maestose cominciarono a richiudersi lentamente, mentre le scosse diminuivano di numero e intensità. Si voltò e si diresse verso dove era venuta, passando in mezzo al Dubbio e alla Razionalità senza degnarli di uno sguardo.

“Volevo solo un po’ d’aria fresca”, disse. “Ora torno giù a sanguinare. Se vi servo, sapete dove trovarmi.”

Tutto era immobile, di nuovo, com’era giusto che fosse.

 

Kire

 

 

Ora d'Aria - by Anna (theannuz@gmail.com)

Ora d’Aria – by Anna ([email protected])

Waiting room with free TV

La luce viola del neon filtrava attraverso le tapparelle semichiuse e il vetro unto colorando il fumo stantio che levitava nella stanza.
Non pensavo che un cervello potesse fumare così a lungo. Disse tra sé e sé.
Circondato dalle nuvole viola, sedeva sulla larga poltrona e al buio fissava la televisione in quella stanza dall’atmosfera dolce e soffice.
FREE TV diceva l’insegna del motel, per questo avevano scelto quel motel, per la televisione.
Un motel di merda. Strano che nessuno si sia lamentato per i due botti di poco fa. Che motel di merda. Pensò.
In televisione c’era La Passione di Cristo.
Catturato dal quel composto di pornografia cristiana, torturava il palmo della sua mano sinistra affondando la punta del coltello e scavando nella carne mentre in televisione fustigavano il Cristo.

Lo schifoso odore di bruciato che galleggiava nella stanza offendeva le sue narici, smise di giocare con il coltello e lo affondò con uno scatto deciso nella sua gamba, la lama penetrò nella carne per quasi la sua metà e si stampo nell’osso con un rumore indescrivibilmente raccapricciante.
Dalla sua bocca uscì un fievole gemito, magra risposta per quel genere di dolore.
Con la mano integra si accese una sigaretta, più per coprire quel disgustoso odore di bruciato piuttosto che per il piacere del fumare.
Si concesse anche un lungo sorso di Jack succhiandolo direttamente dalla bottiglia, nel frattempo continuava a seguire il film e a riflettere sul sacrificio di Cristo e come il suo gesto abbia migliorato la condizione umana.

Alla sua destra sedeva Samuel con un buco nel palato e un altro sopra la testa.
Samuel aveva deciso di farla finita da quando non provava più nessuna emozione del leggere Céline e quindi a che scopo continuare a vivere ?
Accanto a lui sedeva Anne, stessa posizione rilassata, testa all’indietro poggiata sulla spalliera della poltrona e gli occhi fissi sul tetto.
Stessa ferita di Samuel, diversa in pochi dettagli, il più evidente la sua testa folta di capelli che rispetto a quella completamente calva di Samuel aveva impestato la stanza con quell’odore di peli bruciati.
La Colt che teneva ancora in mano aveva svolto un eccellente e rapido lavoro anche con lei.
Il malessere di Anne era più antico, il suo disfacimento fisico raccontava il suo percorso a cominciare dal figlio di puttana Videla e alla lenta risalita verso nord passando per ogni genere di sventura che la tossicodipendenza ti mette davanti.
Quando croste e crepe varie erano cominciate ad apparire sulla pelle anche lei decise di andare al motel.

Il film era andato avanti, il Cristo era ora crocifisso.
Estrasse lentamente il coltello dalla gamba, in silenzio. Cominciò a sfregarle la lama sul polso.
Lui era andato al motel per capire perché era andato al motel.
La sua miseria di sessantenne era poco invidiabile. Tutta la sua vita era stata poco invidiabile.
Aveva bruciato la giovinezza tra velleità e insicurezze finendo in una stanza di motel dove avrebbe lasciato decidere all’alcol e all’eroina il suo futuro.
Non era tanto il desiderio di morire, era il desiderio di fare finalmente qualcosa, di uscire dalla waiting room.
Aspettava da una vita il suo Deus Ex Machina pronto a risollevarlo dal fondo della fossa comune fino all’olimpo degli artisti. Mai nessuno venne.
Né la reale ispirazione, né la voglia, né una donna, né un amico, né un editore.
Spinse la lama sul polso.
Magari qualcuno arriverà ora ?
Aspettò, aspettò e aspettò. Nessuno venne, poggio il coltello sul pavimento, prese il telefono, chiamò la reception e chiese se gentilmente potevano portargli un qualche tipo di profumo per ambienti.
Quella stanza puzzava peggio di una fossa comune.

Slon