Embolia

Elena non era stupida, era pigra.
Le piaceva informarsi e leggere, due cose che prendono troppo tempo. Così aveva compresso questi due interessi e li aveva fusi nelle dodici ore che passava su Facebook.
Ogni giorno leggeva i grandi scrittori classici, citazioni sparse condivise tra milioni di link. Faceva l’arguta a tavola: Citando Oscar Wilde “Avrò tanti difetti ma la cattiveria non mi appartiene” e come diceva Bukoswky “C’è sempre una ragione per ridere”.
In quei momenti ero troppo impegnato a gustare il riso ai gamberi in bustina Knor passato quindici minuti al microonde per prestarle attenzione e trovare un nesso nel discorso, in più i libri degli autori da lei citati che all’improvviso prendevano fuoco e cadevano dalla libreria erano un’ulteriore distrazione.

Dopo cena sul divano commentava le notizie del giorno, si stupiva del perché i telegiornali non parlassero del maiale nato con una testa umana, in Guatemala, o era il Perù ? Cazzoneso, ho letto solo il titolo. E comunque l’hanno condivisa in tanti, deve essere vero.

La vita sedentaria che conduceva a casa più quella lavorativa, dove teneva il culo piazzato su una sedia per otto ore mentre stipulava contratti assicurativi, non avevano giovato al suddetto culo.
Diventava sempre più grosso, la sua egemonia si espandeva sempre di più tanto che cominciava ad avere pretese sulla Crimea.
Decise di iscriversi in palestra, insieme alla sua collega Roberta.
Non si videro molti risultati ma dall’altro lato si videro un fottio infinito di selfie condivisi su Istangram all’istante durante lo zumpa fitness e il cardio. E quel culo continuava a crescere, cominciando a minacciare seriamente anche la Polonia.

Tra un selfie e l’altro le due decisero di organizzare uscite a quattro tutti i venerdì, eravamo io e lei, Roberta e Luigi, il tipo con cui conviveva.
Nonostante non abbia mai capito quale fosse la sua professione, Luigi se la passava bene a giudicare dall’apparato tecnologico che portava con se ovunque andassimo.
Iphone qualcosa G, Ipad tre o quattro G, Ipod senza G e Reflex per le gite. Nikon ovviamente, perché la gestione dei colori è migliore, cito.

Luigi aveva sempre qualcosa da dire sul mondo e come vanno le cose nel mondo, il suo approccio con me doveva essere simile a quello degli esploratori europei con i primi indiani/aborigeni/watussi: questo essere specchio, questo in specchio essere tu, questo essere fuoco, non toccare fuoco, fuoco bruciare tua mano.
Le sue amorevoli e sagge parole illuminarono la mia mente corrosa dalla televisione su quante cose brutte esistono al mondo e su quanti cospirano per ucciderci nel modo più ingegnoso e lento possibile, roba da far invidia a un cattivo di James Bond.
Oltretutto noi a differenza di 007 non contiamo manco un cazzo, mi sentivo quasi lusingato.
Vaccini ? Bad. Medicina tradizionale in generale ? Bad. Mangiare carne ? Bad. Religioni ? Bad bad bad. Petrolio ? Non farmi nemmeno iniziare.
Con sommo dispiacere dovetti constatare che quando mio nonno predicava che il benessere ci avrebbe inguaiato, aveva ragione. Se solo non avesse fatto i suoi sermoni in piedi su un secchio tra le affollate strade del mercato domenicale indossando solo un papillon, forse qualcuno lo avrebbe preso sul serio.
E no, il papillon non lo indossava al collo.

Quella sera Luigi mi stava parlando di scie chimiche, precisamente sulla correlazione di queste ultime coi voli low cost. Non è strano che ci siano voli che con dieci euro ti portano a Londra ? Sì un po’ lo è, Londra non è dietro l’angolo, è in INGHILTERRA.
La teoria di Luigi dietro al basso prezzo dei voli low cost era che i veri costi del volo non erano coperti dai passeggeri ma dalle malvagie case farmaceutiche alleate con i malvagi governi che riempivano di dollari la Ryanair per installare i loro cannoni chimici sugli aerei e impestare i cieli con merda varia, un ulteriore tassello per tenere il popolo schiavo.
Aveva senso, voglio dire una persona normale penserebbe che una compagnia low cost tiene quei prezzi grazie alla caratteristica di avere una singola classe di passeggeri, sovrapprezzi su ogni scoreggia, vendita a bordo di ogni bene materiale con assistenti di volo che ti pregano ti comprare visto che il loro stipendio è in parte in base alla percentuale di roba che vendono e oltretutto stanno ancora finendo di pagare il corso di addestramento, distribuzione diretta, voli diretti eccetera eccetera.
Una persona normale penserebbe questo. E sbaglierebbe ovviamente.

Luigi mi invitò a iscrivermi alla sua pagina di Facebook dove trattava scomodi temi come questo, gli chiesi se si sentiva al sicuro a trattare scomodi temi come questo su una piattaforma che prende tutti i tuoi dati più intimi e li consegna nelle mani di un giudeo.
Luigi stava per rispondere ma le parole gli restarono in bocca, ci pensò su per trenta secondi, poi qualcosa andò storto nella sua testa e crepò davanti a noi grazie a un embolo.
Un peccato, la serata andava bene fino a quel momento.

Con Elena finì qualche mese dopo, mal sopportava le mie misteriose sortite notturne.
Decise di mollarmi quando trovò un butt plug e tredici scatole di Bostik vuote nei miei pantaloni.

Roberta la rividi nel periodo pasquale, era in un gazebo a raccogliere firme contro la sperimentazione animale. Mi aggiornò sulla sua vita, aveva passato mesi ad indagare sulla morte di Luigi, perché è impossibile che qualcuno che conduce una vita così sana muoia in quel modo, disse. Alla fine era giunta alla conclusione che ad uccidere Luigi fosse stata la sua unica debolezza: il succo di mela verde della Santal. Ne beveva anche quattro cartoni al giorno, di sicuro qualcuno sta riempiendo quei cosi con degli emboli. È l’unica spiegazione.
Disse anche che aveva perso il lavoro all’assicurazione, troppe ore dedicate alla sua ricerca le erano valse il licenziamento. Ma cosa non si fa per la verità?
Ora arrangiava come rappresentatrice Avon.
Le chiesi se non fosse ambiguo trafficare in cosmetici e raccogliere firme contro la sperimentazione animale.
Roberta stava per rispondere ma le parole le restarono in bocca, ci pensò su per trenta secondi, poi qualcosa andò storto nella sua testa e crepò sotto il gazebo grazie a un embolo.

Slon

Il senso del sacro.

Belarmino andava a messa due volte l’anno: a Pasqua e a Natale. Riconosceva come non ci fosse nulla di particolarmente originale nella cosa, ma la consapevolezza di essere in numerosa compagnia lo confortava. La banalità degli eventi non si fermava qui: in conformità agli usi e costumi della maggioranza dei suoi civili correligionari (correligionari?) sbuffava di noia al pensiero del rito già dalla sera precedente, si alzava tardi al mattino, sbuffava nuovamente, si vestiva con la più elegante sobrietà possibile e si recava in chiesa in tempo per la più affollata delle due funzioni mattutine – che, per sua fortuna, era quella più tarda. O forse non si trattava di fortuna. Forse la maggioranza dei suoi civili correligionari amava dormire fino a tardi.
“Senza forse. Ricordati di santificare le feste, ma solo quando il sole è già ben alto. Se è vero che il sole è l’occhio di Dio, non vale la pena di cominciare a darci da fare quando ancora è troppo basso per vederci bene.”
L’edificante sofisma non proveniva dalla sua coscienza, come si sarebbe potuto supporre, ma era un’elaborazione di un suo ciarliero compare di bevute dei tempi del liceo, ormai impolverata da qualche quinquennio. Belarmino accettò la spiegazione come valida, per quel tanto che poteva fregargli.
“A catechismo dovevi essere una specie di primo della classe.”
“Mah, in genere frequentavo poco. In curiosa coincidenza con le lezioni mi capitava spesso di soffrire di inspiegabili ed abbondanti epistassi. La maestra divenne sospettosa e alla fine fui costretto a confessarle che avevo le stimmate nei seni paranasali. Non fu particolarmente colpita.”

Pasqua era in genere meglio di Natale per una valida, anzi decisiva ragione: il clima. Perché non c’era nessuna lontana parvenza di profondità spirituale nei cento minuti annuali che Belarmino dedicava a nostro Signore: a lui, che era in fondo un uomo semplice, interessava unicamente la figa. Da tempo aveva intuito come le chiese, nei due giorni di punta, ne celassero un quantitativo non indifferente. Folgorato ancor giovane sulla via di Damasco, si dedicava ormai da anni a quella piacevole caccia, che tanta soddisfazione gli dava.
Pasqua era il periodo migliore. La primavera era tiepida, qualche volta -se la festa cadeva alta- addirittura calda. Le gonne si accorciavano, le giacche si aprivano. Belarmino si infilava in un altare laterale e con gli occhi accarezzava, col massimo della discrezione possibile, i volti le gambe i culi le tette più invitanti. Il popolo di Dio faceva del suo meglio per non mostrarsi economicamente pezzente al resto del branco, e le femmine -specie le più giovani, Iddio le benedica- si inguainavano volentieri in tacchi alti e magliette chiare.
Belarmino non aveva fretta: soppesava con calma i pro e i contro di ogni capo di bestiame, godendo del sottile senso di blasfemia che emergeva ogni volta. Statisticamente in genere era durante la predica, mentre tentava di indovinare quale fosse la faccia più annoiata (ardua impresa), che trovava la sua Beatrice di turno. Allora si rilassava e attendeva in grazia la fine della funzione. Fra poco, sul sagrato, avrebbe avvicinato la vittima e cominciato a prepararla per consentirgli di entrare al più presto in comunione con la sua personale divinità triangolare.
Era un vero devoto, lui.

Opossum

I limiti della verità (III)

  • Non avevo mai visto questa parte della città. Quelle palazzine…nemmeno una luce. Sembrano scatoloni lasciati a marcire sotto la pioggia in un parcheggio. Fanno paura.

L’uomo con la pelle quasi bianca sta guidando e non risponde. Dopo una curva percorsa quasi a passo d’uomo schiaccia con forza l’acceleratore. Contemporaneamente tenta di ingranare la terza, ma la leva del cambio gli sfugge e l’auto comincia a singhiozzare, addormentandosi pochi metri dopo. Lo guardo mentre la riavvia, senza scomporsi minimamente, non un solo cenno di disappunto o un’emozione qualsiasi.

Mi sforzo di sorridere e con sollievo ci riesco. La follia che sto vivendo è accettabile come ogni altra, ma se perdessi anche il senso dell’umorismo comincerei davvero a preoccuparmi. Dall’altra parte del finestrino la periferia di Praga respira piano e tiene gli occhi bassi, ignorandoci. Niente pattuglie da queste parti, solo telecamere.

Mi chiedo se la disperazione esista anche in natura o se sia una necessità puramente umana.

  • Al bar mi eri sembrato molto più ciarliero. Hai detto che devi mostrarmi qualcosa. C’è della bellezza in questa cosa?

  • Non pronunciare parole di cui non conosci il significato. So di luoghi in cui ti caverebbero gli occhi per una domanda simile. Un consiglio: quando sarai altrove, parla il meno possibile.

  • Senza offesa, ma la tua voce è nauseante. Mi ucciderai?

  • Non ti ucciderò, sera, nè ti farò nascere. Questo incontro non modifica le tue responsabilità sul tuo futuro. Per me sei solo una scatola da consegnare.

  • Che cosa sei?

  • Mi chiamano Sicaridaee. Ci chiamano figuranti, incompleti, maliardi; I nomi sono una perdita di tempo. Sono colui che possiede ogni risposta ma trova incomprensibile il concetto di domanda. Il tuo bisogno di sapere è per me offensivo. I limiti della verità…non sono nessuno. Considerami una delle tue solite visioni.

  • Se questo fosse un sogno ti farei guidare meglio, per me è offensivo come usi le marce. Inoltre di qua ci siamo già passati, spero che tu lo sappia.

  • Dobbiamo mantenerci su strade secondarie. Conosco l’itinerario, purtroppo non sono molto abituato a questa Scrittura. Mi scuso per i miei errori.

  • Questa…scrittura?

  • Questa concezione. Questa culla corrotta in cui esisti. Il modo perverso in cui esercitate il pensiero. Non sapete esistere se non legati in catene, alla loro tessitura dedicate ogni respiro. Dato che non capite la lingua dell’esistenza ne avete inventato un’altra, che non capite in ogni caso. Una fertile, timorosa, mansueta nazione di schiavi sognatori. C’è chi vi trova affascinanti; non sono tra quelli. Ma è particolare che tu non sia intimidito.

Rido, di gusto. Rido, tanto. Questa volta senza sforzarmi per farlo.

  • Un fantasma…no, fermo. Un maliardo proveniente da un’altra dimensione, con una voce che sembra fango liquido, mi rapisce e infila dentro un’auto rubata che non sa nemmeno guidare. Mi parla di cazzate esistenziali come se fossi un’universitaria da rimorchiare, mentre mi porta in un posto oltre-la-realtà dove probabilmente mi caveranno gli occhi per aver chiesto se hanno del formaggio. Che cosa c’è di spaventoso? Dico, guarda fuori. Guarda, cosa stiamo sognando. Che fascino. Il mondo. Pardon, la “Scrittura”. Coglione.

Non so se ho offeso il mio interlocutore, né mi interessa. La sua faccia quasi bianca non tradisce stati d’animo. In ogni caso dopo questo non ci sono più parole. L’auto continua a singhiozzare per una decina di minuti e finalmente si ferma nel parcheggio di una palazzina abbandonata. C’è una luce accesa in uno degli appartamenti all’ultimo piano. E’ flebile ma è anche l’unica e questo la fa risaltare come un faro su una scogliera. Scorgo movimenti dietro le finestre buie. Qualcuno ci sta osservando. La curiosità serpeggia sulla pelle facendola formicolare.

Apro la portiera.

Kire