La paura dei colori

L’orologio analogico da due soldi appeso alla parete ovest affermava fossero le ventitrè e trentasette, e non c’erano motivi particolari per non credergli. Sotto di lui, seduti tutto fuorchè comodamente in striminzite sedie di plastica bianche, si trovavano quattro sconosciuti dai nomi qualsiasi.

Per ognuno di loro era la prima volta. Ognuno di loro aveva sentito storie. Ognuno di loro si muoveva in turni inconsapevoli, spostando lo sguardo dal pavimento lurido alla parete est, dove una malandata porta di compensato spiccava come un ascesso da un muro di mattoni grezzi.

Ognuno di loro era profondamente simile agli altri in almeno un aspetto: la confusione. Ognuno di loro riusciva a vedere l’ombra delle cose nascoste dietro le cose, ma senza poterle afferrare o capire, né attraverso la ragione, né attraverso i sensi. Avevano imparato a mistificare, ognuno secondo le proprie capacità, con gli altri e con sé stessi, ignorarando il perenne cuore pulsante di rumore statico che li avrebbe altrimenti imprigionati dietro i colori vivaci di un’esistenza balbettante e vagabonda. La monocromia era una fede, che ognuno di loro stava perdendo.

C’era una quinta persona nella stanza. La stessa che, dopo le dovute formalità, aveva scortato i quattro sconosciuti fino alle soglie del Segreto. Era un omino basso e minuto, di origine asiatica, con dei vestiti talmente vecchi e sporchi che a strapparglieli si sarebbero tenuti la pelle. Sedeva silenzioso alla parete nord, concentrato in un rotocalco che aveva raccolto dall’immondizia sparsa al suolo. L’umidità aveva fatto gonfiare e strappare le pagine, e le celebrità in copertina apparivano ora più deformate di quanto non fossero già state, i sorrisi mutati in pallide anguille di perfetta menzogna, gli sguardi dssolti dentro pozze di parole miserabili.

Il tempo e il silenzio passeggiavano insieme con calma, borbottando nelle loro lingue incomprensibili, ma si fermarono quando un rumore cominciò a squittire oltre la porta di compensato. Un rumore mai sentito prima, dal tono interrogativo, che in qualche modo cigolava avvicinandosi all’uscio. L’omino minutosi alzò e cominciò a parlare rivolto alla porta: le sue labbra si muovevano senza alcun suono ma la sua risposta sembrò gradita al cigolio curioso, che si spense in una nota finale di soddisfazione. Dopo questo scambio, senza ulteriori frivolezze, l’omino uscì dalla stanza attraverso la porta nella parete sud dalla quale erano arrivati.

I quattro sconosciuti che non capivano i colori osservarono il buio che sgorgava copioso dall’ascesso a est, ora esploso. Guardarono in quello che era ignoto. L’Ignoto guardò in loro, e il suo ruggito fu maestoso. Ciò che era reale trattenne il respiro e il segreto ballò per poco meno di mille anni.

Poi la fragile porta si richiuse.

L’orologio analogico da due soldi affermava fosse mezzanotte in punto, ma nella stanza non c’era più nessuno interessato alle sue opinioni.

 

Kire

Crossover

Il tram bloccato fa smuovere le mia viscere peggio dell’intera situazione Israelo-Palestinese.
E se a bloccare il tram è una manifestazione pro-Palestina comincio subito a pendere dal lato d’Israele. Israele non m’ha mai bloccato il tram tre fermate prima della destinazione.

Residuati hippy cinquantennali, wannabe militanti di sinistra e una grossa crew di Tusken Raiders con famiglia dietro (deve essere il loro equivalente della Pasquetta) marciano scortati dalla polizia, scandendo per bene ogni coro e sventolando la bandiera palestinese. Nel raggio di seicento metri il consenso per l’UKIP sale del 6%.
L’odio per Israele accomuna ogni diversità, non importa se dopo questa manifestazione ognuno tornerà nelle proprie case a sorseggiare Asda Beaujolais, non depilarsi le ascelle o sopprimere la figura della donna, no! Ora sono tutti uniti, qui, contro il male comune: Israele.
Israele sta un po’ sul cazzo a tutti, i francesi in confronto sono Jim Carrey.

Superata la manifestazione mi dirigo allo Starbucks incazzato per il disagio che la situazione Israelo-Palestinese mi ha creato. Al pensiero del caffè dello Starbucks l’incazzatura cresce. Il problema non è quanto faccia schifo, non è quanto costi, il vero problema è perché continuo a tornarci ?
Per la wifi ovviamente.

Una volta seduto con la tazza di piscia nera fumante evito di guardare la fauna locale, sono già stato abbastanza qualunquista e incline a facili stereotipi in questo pezzo.
Collego il rappezzato Galaxy alla wifi e scorro le amicizie di Facebook.
La maggioranza di quella gente non la vedo da due anni o più, compreso Roddo il mio migliore amico ai tempi.
È ormai caduto in quel vortice porno in cui aveva navigato ai margini da quando le linee a connessione veloci arrivarono nel nostro paesetto.
L’ultimo messaggio ricevuto da lui è di sei mesi fa, solo un link e se ricordo bene doveva essere un uomo di colore che si incula da solo. E’ un peccato assuefarsi a queste robe, provate a pensare nel 1995 che effetto avrebbe fatto un video del genere. Oramai tutti guardano 2 Girls vs 1 Cup con il sopracciglio alzato.
Roddo non lo vedo da due anni ma sono sicuro che stia ancora lì in camera sua inclinato davanti al pc e non a fare qualcosa di utile come giocare a World of Warcraft. Dal lato Orda.

Di Aceto (cominciarono a chiamarlo così dopo uno sfortunato incidente con dell’aceto in una bottiglia non d’aceto) non so che fine abbia fatto… o meglio lo so ma faccio finta di non saperlo.
I link che condivide tutti inneggianti al nostro Salvatore Gesù Cristo dovrebbero essere abbastanza chiari.
Quel periodo in comunità, dopo il furto notturno al cantiere, lo ha rovinato. Sono lontani i tempi in cui era metà uomo e metà bottiglia di J&B.

Preso dallo sconforto ne guardo un altro e giuro che sia l’ultimo.
Non ricordo il suo vero nome, su Facebook ne ha uno inventato, Snootie Thug, lo cambiò dopo quel fattaccio con la Disney.
Era un bravo scrittore ma un giorno decise di entrare nel campo dell’infanzia e il primo personaggio che creò fu un grazioso piccolo topo.
I picchiatori della Disney gli lasciarono diversi segni permanenti.
Ma il lato psicologico ne uscì peggio, si stava giusto riprendendo quando guardando una fail compilation su YouTube lo script all’apice del suo masochismo fece apparire una clip di Fantasia tra i correlati. Si cavò gli occhi con le mani.
Scrivere divenne complicato a quel punto ma lui persistette con l’idea di un nuovo romanzo, una road story dove due vecchi killer viaggiano fino al deserto del Nevada e lì uno dei due due dovrà uccidere l’altro come ordinatogli dal suo boss.
Plot interessante fino a quando quell’obbrobrio di Stand Up Guys uscì al cinema uccidendo l’entusiasmo del pover’uomo.
Nemmeno Gesù può aiutarlo a questo punto.

Fischi e un forte vociare vengono dall’esterno, la mia mente parte in un trip di pensieri, un frullato d’idee pronte a diventare opinioni.
Comincio a sentirmi euro-scettico e avvolto in un soffice e caldo manto di nazionalismo liberale, desidero il ritorno di un’identità etnica e religiosa figlia del mio background.
Di conseguenza comincio a credere che la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali non sia una così buona idea.

Sui vetri dello Starbucks si riflettono i manifestanti.
E’ troppo tardi per fuggire via dal fatidico raggio del corteo, ho già creato un account su Rule Britannia Forum.

Slon

#PILLOLELDCDS 7

Suppongo e auspico che in futuro verranno tempi felici in cui una civiltà progredita condurrà studi archeologici e antropologici sui fossili delle nostre generazioni ed arriverà a stabilire con buona approssimazione quali sono le cause che hanno portato a inesprimibili livelli di delirio la pratica e l’osservazione di uno sport che in condizioni normali sarebbe stato tutto sommato incruento e gradevole.

Opossum

Con tutta la gentilezza (IV)

(Prima, durante, forse dopo, in ogni caso mai)

 (O, detta meno da stronzi, uno sguardo alle “puntate” precedenti)

 – Il Legale e il Randagio

(Frammento di interrogatorio. Origine: sconosciuta. Dagli archivi della prefettura contro i Crimini Universali, sezione: Uso improprio della ragione)

GRANTON: “Quindi…anche se non mi vuoi dire da chi, si può affermare che la cosa fosse stata organizzata.”

D: “Sì, direi, assolutamente, perlomeno nei primi stadi. Che poi la situazione sia sfuggita di mano…e poi conclusa in un modo così improbabile…intendo, è un altro discorso. Un discorso impegnativo, se mi capisci. Ma tutti noi eravamo lì per un motivo ben preciso.”

G.: “Lavoro.”

D. (alza le spalle e fa una smorfia, come se non gli piacesse la parola) “Come ti pare.” (pausa) “Sì, puoi scrivere così. Non è completamente esatto, ma non abbiamo tempo per fermarci su ogni parola. La vostra lingua è facile da imparare in sè, ma voi usate le parole in modo strano, cambiate il loro peso di volta in volta per motivi che non comprendo. Lavoro. Andiamo avanti.”

G.”Dove si è svolto esattamente lo scambio, e come?”

D.:”In una città chiamata Praga. Non ne avevo mai sentito parlare, prima. So che c’erano dei problemi in quel periodo…una specie di…” (gesticola in modo interrogativo)

G.: “Certo. La crisi, i disordini. Il ventidue fu proprio l’anno in cui il primo Default fu ufficializzato in quasi tutta Europa. Non ricordo scontri particolarmente duri a Praga, ma la situazione non doveva essere di certo rilassata…”

D.:”In realtà la città era abbastanza tranquilla, e non avemmo problemi di nessun tipo sul piano convenzionale. Lo scambio avvenne in una zona povera fuori città, con molte case alte tutte uguali. Pare che non ci fossero più…risorse…risorse?.”

G.:”Vuoi dire servizi. Probabilmente avevano già interrotto luce e acqua, in periferia.”

D.:”…Sì. Credo. In ogni caso per questo molti avevano abbandonato le loro case. La zona era quasi totalmente disabitata, fatta eccezione per un po’ di vagabondi qua e là. Quasi tutta la mia squadra attendeva in una di quelle case alte e vuote.”

G.:”Quanti eravate?”

D.:”Cinque.  Anche troppi per una…per un lavoro così semplice. Non farò nomi. Io, un canefinto e un temporaneo eravamo di scorta, dovevamo solo assicurarci che nessun estraneo intervenisse. Un uomo, uno dei vostri, faceva da interprete. Un Sicaridaee era incaricato di contattare discretamente il passeggero e portarlo da noi. Ci riuscì. Ci riescono quasi sempre. Aspettavamo loro.”

G.:”Chi era il passeggero?”

D.:”Non ne ho idea. Uno scrittore di qualche tipo, nessuno di importante, all’apparenza. Dovresti chiedere a qualcun altro, io non mi interessavo mai dell’identità dei passeggeri.”

G.:”L’avevate fatto molte altre volte?”

D.:”Sì, certo. Abbastanza da farmi venire tutto a noia e abbassare la guardia. Questo fu forse uno dei motivi per cui non reagii prontamente come avrei dovuto, anche se in fondo non avrebbe fatto nessuna differenza.”

G.:”Cosa andò storto, esattamente?”

D.:”Ecco…come ho già detto, qui la storia diventa complicata. Se mi capisci.”

(Il resto del documento è occultato.)

– Lo Scrittore e il Sicaridaee

Dopo la nostra conversazione in auto, dal mio strano accompagnatore non uscirono più parole nè suoni. Del fatto dei suoni, mi accorsi solo più tardi. Eravamo nell’atrio della palazzina. Non c’era illuminazione ma la tracotante luna piena, i frequenti lampi e il fatto che molte finestre fossero infrante o solo rimaste aperte facevano sì che potessi vedere e muovermi senza problemi. Il canto rauco della pioggia nascondeva sotto di sè un silenzio assoluto che da solo sarebbe stato più che inquietante. Lo strano uomo dal vestito impeccabile e dalla pelle quasi bianca mi precedeva salendo le scale strette, e fu solo allora che mi accorsi che non portava scarpe, e che muovendosi non produceva il benchè minimo rumore, nemmeno quando i suoi piedi quasi bianchi si immergevano in una pozza d’acqua sotto una finestra o spostavano qualcuno dei rifiuti umidi che rivestivano gli scalini. Del sarcasmo sprezzante che avevo sfoggiato in auto non c’era più nessuna traccia, mi trovavo ora preda di una sensazione di dormiveglia, di distratta, tiepida irrealtà. Salendo, cominciai a vedere, o meglio immaginare, delle cose. Non vere e proprie e normali allucinazioni; era qualcosa più come delle immagini estranee, velocissime, infilate a forza nel normale corso dei miei pensieri, talmente rapide che non riuscivo nemmeno ad afferrarne i contorni. I miei ultimi ricordi chiari si fermano su un pianerottolo forse a metà salita. Ricordo di aver sentito delle voci provenire da uno dei corridoi. Ricordo che lo strano uomo si fermò di colpo, ricordo di aver pensato con ironia che a volte anche il diavolo può stupirsi. Poi la vecchia malattia tornò (da) dentro me, senza tante cerimonie, fregandosene di uomini e demoni, e caddi semplicemente addormentato al suolo bagnato..

– L’Esule e la comparsa

Ne era completamente terrorizzato. Aveva viaggiato Altrove in passato, ma mai si era ritrovato in un luogo tanto sterile ed opprimente come quella stanza.

L’uomo vuoto, l’assurdo esemplare di vita senza la vita che si trovava nella squallida stanza dove Ne si era risvegliato senza sapere come, guardava ancora fuori dalla finestra sfondata, offrendo il viso alla pioggia e parlottando di cose incomprensibili tra sè e sè.

“Non è la polizia. Non sono nemmeno i ridicoli rincoglioniti del cazzo. Chi sono? Sono due. Sembrano ben vestiti. Sembrano galli. Galli grassi. Qè-qè-qè. Chi sono? Li conosci? E a proposito, chi cazzo saresti tu? Da dove sei sbucato?”

Ne si rese conto all’improvviso che l’unico modo per sconfiggere la confusione era smettere di combatterla. O si adattava, o sarebbe impazzito nel giro di pochi secondi. Per la prima volta in vita sua, parlò utilizzando solamente le parole. Fu spaventosamente facile, meno traumatico di quanto aveva immaginato, ma non fu meno SBAGLIATO. 

“Non..non sono nessuno. Cercavo solo un riparo dalla pioggia e mi sono perso. Non conosco quei due.”

“Mh. Vabè. Comunque sembrano dei galli, e cosa mai ci faranno qua? Forse cercano qualcuno che prima viveva qui, ma qui non è rimasto nessuno. Ehi, senti un po’…”

L’uomo vuoto rovista nel piccolo cumulo di ciarpame affianco al materasso dove siede. Estrae un grosso coltello da cucina, con il manico in legno e la lama leggermente arruginita.

“Facciamoli cantare questi galli, eh? Che ne dici? Vuoi vedere che stasera si mangia? Dai dai. Su. Vieni!”

L’uomo vuoto esce dalla stanza, continuando a parlottare. Ne non è sicuro delle sue intenzioni, non ha idea di cosa sta per succedere, ma decide di abbandonarsi completamente al delirio e comincia a seguirlo.

Ne si alzò, sorretto dai propri stessi brividi,, e ando incontrò alla sua sorte con tutta la gentilezza di cui disponeva.

 

(Sigue. Kire)