Solus Loquor

Diciannove e quarantadue.

Il treno parte proprio ora, e io me ne sto ancora seduto sulla scalinata fuori la stazione, a parlare di nuovi inizi e antichi finali con una vecchia amica.
Sullo sfondo, Venezia è qualcosa di strano, sembra una vecchia signora con un vestito elegantissimo e il viso deforme, ricoperta fino alle spalle da formiche asiatiche che trasportano teleobiettivi-briciola da dieci volte il loro peso.
Sembra voler fare l’indifferente, Venezia, ma quasi per forza, la vedo che mi controlla con la coda dell’occhio, lo so che mi ascolta. E qui da bravo antipatico io la pacco, chiudo il discorso sul più bello, e poi, ma non dovevo prendere un treno io?

Bacio frettolosamente la mia amica e inizio a correre verso il binario, i borsoni e le borsette di birre che saltellano e mi sbattono addosso tintellando (….tintell..are? Esiste?).
Zion, la mia cagna, mi trotterella dietro, il guinzaglio che striscia sulle mattonelle, le unghiette che fanno tikitik, ehy, ci sono anch’io, ma guardatemi che figa che sono, c’ho settant’anni io, tikitik, tikitik.

Fermo una carinissima… (Controllora? Controllice? Cosa succede oggi all’italiano?)

Fermo l’OPERATRICE DI CARROZZA mentre sta salendo e chiudendo le serrande, e salto su, op.

Lei guarda prima la tuba, poi me, poi Zion, con un’espressione tra il divertimento la pietà la malizia, e mi ammonisce sorridendo, la mia divoratrice di cuori dovrebbe portare la museruola, lo sapevo?

“Cara, è più probabile che ti morda io”

Sai mai, a volte funzionano, ste battutelle da telefilm argentino. Però ora che la guardo meglio non è che sia mica così così carinissima. Beh, magari è splendida dentro. E sicuro ha un bel culo. E poi tanto mentre penso a ste stronzate lei se ne è già andata. Tutti contenti.

Il treno parte, butto la roba in un angolo e me stesso su una poltronetta.
Tempo ce n’è, stanco sono stanco, il cane fa la guardia, facciamoci un giretto di là.

Chiudo gli occhi.

Drin drin, telefono. Rispondo ed è una cara amica che non vedo da una vita ( sì, un’altra, ho un sacco di vecchie amiche, posso?). Dal tono sembra davvero giù, ma non mi dice che ha. Decidiamo di incontrarci, lo facciamo in una casa che mi sembra familiare ma non metto a fuoco.
Ah questa poi, ecco perchè è giù. Gli manca la gamba destra, amputata all’altezza della coscia. Il motivo non si sa, né io mi ricordo di chiederlo. Penso solo ad abbracciarla e consolarla, gioco ad acchiappare le sue lacrime con le dita e le labbra, e neanche a dirlo finiamo a letto ed è strano, facciamo l’amore piano, piangendo, tutti e due, e paradossalmente lei non è mai stata così brava, ed è bellissimo. Poi lei si addormenta, ed io mi sento improvvisamente di troppo, è come se avessi svolto il mio ruolo e bon, è tempo che la lasci.
Esco, e camminando per strada vengo affiancato da un’automobilona scura che procede a zig zag, che mattacchioni. L’auto si ferma e ne escono dei tizi ben vestiti e palesemente ubriachi e attaccabrighe.
Mi sanno da poliziotti, forse in borghese forse fuori servizio, boh. Cominciano a provocarmi malamente, e dio che fastidio, ci son poche cose più tristi di un ubriaco che si atteggia a gran figo. Me ne sto zitto ma mi tendo tutto, corpo e mente, pronto a scattare. In quel momento, sbucando dal buio dei sedili posteriori, la figura di mia NONNA spunta fuori. E’ tutta truccata in ghingheri, ed è sbomba di alcool pure lei, e urla “Oh cazzoni! Che, è mio nipote quello! Che è un bravo ragazzo, un attimo strano, ma lasciatelo stare che se no che se no…” e qui RUTTA, ma di gusto proprio, e dai non ce la faccio, scoppio a ridere, e con me i cazzoni.
Tutti amici, ora: gli ufficiali son tutti contenti e mi danno grandi pacche sulle spalle, e mi dicono sali sali dai andiamo a bere, declino gentilmente e riprendo per la mia strada, ma pensa te.
Continuo a camminare e mi ritrovo a seguire un fiume, mi siedo sull’argine e mi godo il paesaggio. Forse sono triste, forse no, non capisco. Vorrei che ci fosse qualcuno con me ora, eppure anche da solo mi sento bene. Mi sembra quasi di essere egoista, a gustarmi questo bel momento da solo. Il mio cervello forse mi sente, perchè materializza una specie di ventilatore parlante, alto e bianco, che mi si piazza di fianco. Di cosa mi parla non ricordo, però ogni volta che si gira verso di me mi investe di leggere folate d’aria, non realmente fastidiose, ciononostante gli dico scortesemente di andarsene, o almeno di girarsi dall’altra parte.
Il ventilatore si mette a piangere, non chiedetemi come, so solo che schizza acquamatta dappertutto attraverso le pale in movimento. Butta invece l’aria dall’altra parte smuovendo l’erba, e singhiozza duro, io mi sento un po’ in colpa, dai dai su piccolo coso delonghi, scusami va tutto bene dai, ssccch.
“Sono una cosa inutile”, mi dice (credo), “tutti mi cercano per alleviare un po’ il calore, ma è un trucco, il calore non se ne va, resta! E quando se ne va davvero, vengo dimenticato. La gente ama quello che faccio, non me. Sono così inutile!”

“Mi sa che quello che fai è quello che sei”, rispondo (credo), “almeno in quel momento. E se sai fare solo quello, vedi di abituartici. Frignare perchè non sei amato è patetico, è come piangere perchè qualcuno non ti regala il mondo. Impara piuttosto ad amare un po’ quello che fai, a non fare male agli altri, e soprattutto impara a farti i cazzi tuoi.”

Il coso ora non schizza più acqua. Si gira lentamente verso di me, mi scompiglia i capelli, mi guarda con quell’espressione intensa che solo un ventilatore triste può darti.

“Ma con chi stai parlando?”

“Come con chi sto parlando, ebete di un giravento, sto parlando con…”

Qualcosa di ruvido mi lecca la mano, un avvertimento. Subito dopo qualcos’altro mi batte sulla spalla, un vocione roco si fa strada tra i miei sensi, mi risucchia via da Efemeride, mi riporta in quest’allegra fogna che tutti amiamo e odiamo e la la la.

“Buongiorno. Biglietto, per favore.”

Kires

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