Binario morto (ldcds ospita)

Dietro la curva, nel punto che offre la peggiore visibilità al macchinista. Sdraiato col capo verso la motrice, che non mi salti in mente di sbirciare all’ultimo e farmela sotto, diventare uno di quei mortacci grotteschi e striati dai loro stessi bisogni corporali, l’espressione basita, ebete. Bastano e avanzano le trenta tonnellate della bestia in arrivo a strapparmi quel barlume di estetica rimastomi addosso. Tutto qui. I piani migliori sono sempre quelli semplici. Dritto verso un gesto condannato da tutti: educatori, religioni, istituzioni.
Se esiste una forma di pubblicità in grado di fare sempre presa, quella è il divieto.
Non è il mio caso comunque, anche se non mi ci spinge nulla di eclatante. Siete davvero così sicuri che la farsa culla-scuola-ufficio-bara meriti motivazioni speciali per essere mandata a fare in culo? Per forza lo siete, altrimenti staremmo qui a spartirci il binario.
Nel silenzio assoluto l’antifurto del Suv cinguetta felice – almeno lui – mentre le frecce confermano la chiusura porte con un doppio lampeggio. Rifletto sul gesto e lascio sfuggire un sorriso prima di proseguire.
Vi dico solo questo, e fatevelo bastare: perfino scendendo dall’auto per venire qui a morire, sono riuscito a sfondare una cacca fresca, immerso fino alla caviglia, trecento euro di mocassini Fratelli Rossetti in cuoio buoni per la raccolta differenziata. Un escremento sorridente nel bel mezzo del nulla: quando sei un predestinato, prima ti annulli e meglio è. La vita mi ha dato parecchio solo per il gusto di potermelo togliere. Di beffarmi.
Ho sfogliato a lungo il catalogo delle Ferrovie Nazionali. Scegli comodamente a casa tua il treno, gli orari, la destinazione che ti si addice. Insomma hai una mezza preview di cosa ti ammazzerà e quando. La scelta è caduta sul top di gamma: alta velocità, solo prima classe, consegna poco dopo le ventuno.
Mi allungo sul ciottolame fra le traversine, roba da fachiri. E accendo una North Pole, la prima della mia vita senza rimorsi per la salute. Socchiudo gli occhi ogni volta che aspiro, li riapro quando sbuffo il fumo verso le stelle.
Lei appare nel mio rettangolo di cielo verso la terza boccata. Lo vedi già da capovolta, a centottanta, che una così non la metteresti mai a novanta, ma oggi è un giorno sui generis.
« Ciao » dico muovendo solo la bocca.
« Ciao » bela lei continuando a fissarmi. Sparisce dal campo visivo, però non mi faccio illusioni. Ascolto infastidito la ghiaia scrocchiare sotto il suo peso mentre si sdraia. E’ il mio treno, la mia sacrosanta rotaia. Se non lo provate non capite il livello di insofferenza. Ma Lei lo capisce benissimo, vista l’ora, il luogo e le comuni motivazioni.
« Nessuno mi ha desiderata, mai » si giustifica quasi. Parla senza fissarmi. Immagino ore di specchio inutile, a studiare se da una certa angolazione, almeno una, quel naso è accettabile, quel mento non fa la pancia. Prodotti cosmetici che ti dissanguano. Doppie punte. Pelle grassa.
« Io ho desiderato troppo » rispondo, e cazzo se le sono grato, perché in questo momento l’ho finalmente messo a fuoco.
Le prendo la mano, dita sgraziate, tozze. Sussulta, dopo un attimo stringe, stringe da forsennata e la sua fifa mi catapulta nel ruolo del forte, mio malgrado. Arriva il primo fischio lontano, pressoché impercettibile. Io ho già deciso, mi è bastato un istante. Dopo una vita sopra le righe, voglio morire sottotono, con una scopata poco attraente, le mie scarpe migliori infangate di merda. Le rotolo sopra senza incontrare resistenza, anzi: un fuoco, la voglia di anni che esplode – nonostante la situazione -lavandole via di dosso il timore.
Mi avvinghia. Ho un calcinculo negli slip. Quel suo maneggiare l’asta da inesperta, indescrivibile. Scopro nuovi feticci, troppo intensi e troppo tardi. Mordo le zinne grosse e sugnose. Ho il suo indice nel culo « Scusami, scusami » ma intanto non si ferma, né io voglio che smetta.
Le schiocco baci sulla passera, gustandola come se fosse l’ultima passera della mia vita poi realizzo che è l’ultima passera della mia vita e forse dovrei darci dentro con meno remore e maggiore ispirazione.
Lei rantola « Ho appena fatto pupù, prima, dietro la scarpata. Avevo tanta paura, si sente? »
Io rimugino.
Zoccola deficiente, amavo quei mocassini.
« Si sente sì » vorrei gridarle, anche se è falso. Resto ancora un po’ a fare lo struzzo tra quelle cosce grosse, avessi avuto mia mamma ad abbracciarmi anche solo la metà di così. Non so come veniamo, io, lei, di mano o di bocca, è travolgente. Ruzzolo sulla destra, stracciato dal piacere, pronto al gran finale; tre spanne separano il nostro affanno ritmato.
Il treno ci zooma addosso, metallo contro metallo, teso verso la frazione di secondo in cui sarà metallo su carne e poi più niente.
CLA-CLANG
Ripenso ai mocassini Fratelli Rossetti nella differenziata. Dove cavolo vanno? Tecnicamente sono catalogabili come secco, ma resta aperta l’opzione scarti organici.
CLA-CLANG
Adesso è veramente vicino, quasi vorace. Sbrana lo spazio, annulla il tempo,
Calmo, calmo, stai calmo. Non senti niente. Non la guardare, se frigna vai in crisi anche tu, non guardarla e resta tranquillo
Chissà quali stronzate si inventeranno su di noi i rotocalchi: l’amante, la storia torbida di provincia, anni di sotterfugi, chissà.
CLA-CLANG
Restiamo finalmente sereni, paralleli a un cielo di china, meraviglioso come quasi tutte le cose quando sei a un passo dal perderle.
Lei si schiarisce la voce per dirmi qualcosa. Non riesce. Il diretto ci è sopra. Un colpo inimmaginabile alla spalla.
Spavento.
Dolore.
Ti atterriscono i suoni: ossa friabili come biscotti, marmellata, unghie sulla lavagna, sassi giù per la tromba delle scale. L’anatomia umana si disintegra in un concerto.
E’ tuo il sangue che ti scalda la faccia?
Riapro gli occhi. La mano di Lei nella mia. Il resto di Lei srotolato lungo la linea ferroviaria in tutte le forme, tutti i colori che mai immagineresti. Inquadro l’orizzonte fra le punte dei piedi. Alla mia sinistra i binari.
Entrambi i binari.
Perché quando le sono rotolato via, l’ho fatto dal lato sbagliato.
E sento il conducente duecento metri più in là a maledire sé stesso, il mondo, il lavoro. Piange sopra i pugni bovini appoggiati al locomotore, senza guardare, piange. Singhiozza al limite del voltastomaco.
Barcollo verso di lui, con le mie tre mani, sfregando le scarpe nell’erba umida, mai vista così rigogliosa in questa stagione.
Bella.
Raggiungo il macchinista. Gli appoggio una carezza sulla nuca, taurina e scossa; ancora non so cosa dirgli, ma sono sicuro che qualcosa di sensato riuscirò a tirarlo fuori.

Cz

3 thoughts on “Binario morto (ldcds ospita)

  1. Tanta roba. Caldo sporco e freddo intelligente, leggendolo mi ha preso con un senso di “soggettiva”, un racconto in 50mm. Bravo jefe.

    K

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