Carne

Londra, estate, mattina.

Mi trovo a bighellonare nell’east end, dalle parti di Whitechapel. Attraverso il mercato disposto lungo la strada, e sembra di essere a Karachi. Indiani e pakistani di ogni tipo vendono comprano e barattano ogni tipo di merce di merda, dalle macchine radiocomandate alle pentole ai tappeti di Damasco. Tizi minacciosi con il turbante e il barbone da saladino sgozzano polli sul marciapiede, agitando il corpo morto e urlando prezzi imbattibili in lingue spaventose. Tutto questo bordello mi mette allegria.
Mi suona il cellulare, è M., una tizia con cui mi frequento. E’ di buon umore e mi informa che ha appena affittato una villetta dalle parti di Seven sisters, ad un prezzo stracciato. Sa che al momento dormo dove capita, quindi mi invita a passare del tempo da lei, per aiutarla con i lavoretti e per stare un po’ assieme. E a me va proprio.
La villetta vista da fuori è piccolina ma graziosa, con un modesto giardino sul retro, in una strada tranquilla. Un edificio a sé stante tra due linee interrotte di edifici a schiera, cosa buffa da vedere qui.
Una volta dentro, ci metto poco a rendermi conto che in realtà la casa è una sorta di pensieroso delirio architettonico. E’ molto più grande di come appare da fuori, ci sono enormi saloni, lunghissimi corridoi, salotti sontuosi con due o tre caminetti, intere biblioteche da togliere il fiato.
Ci sono anche molte scalinate ricoperte da tappeti, che salgono su su e terminano nel buio, cosa strana quando abiti in una casa a un piano, ma nessuno ci fa caso più di tanto.
Ma la cosa più strana, forse, è che ogni giorno la casa muta: stanze vecchie che spariscono, stanze nuove che appaiono.
M. lavora, ogni mattina ci alziamo presto insieme, poi lei esce. La mia routine quotidiana prende forma nel farmi un caffè solubile e passeggiare per la casa, prendendo nota su un piccolo taccuino dei cambiamenti avvenuti.
Oggi trovo una nuova stanzetta piccolina e semibuia: ci sono degli scatoloni e delle coperte a formare una cuccia artigianale. Una grossa cagna nera, forse un labrador, allatta una nutrita cucciolata di batuffolini neri. Mi guarda con indifferenza, poi ritorna a leccare i suoi mocciosi.
In un’altra stanza, bella grande, scopro una notevole vasca da bagno\piscina al posto dell’intero pavimento. Tante piccole piastrelle con centinaia di sfumature blu e azzurre creano un mosaico che ricorda il fondo dell’oceano. A stare a fissarle viene quasi la sensazione di stare sott’acqua, l’impulso di trattenere il respiro.
E poi c’è il campanello che suona, e io vado ad aprire.
All’esterno si trovano una trentina di strane donne in tunica bianca, perlopiù giovani e carine, anche se ci sono alcune milfone sulla quarantina, mica male pure quelle.
Si presentano come la “holy sisterhood of straight virgins”, o una puttanata simile.
E insomma mi chiedono se possono entrare a parlarmi del loro strano ordine, e io le faccio entrare.
Le donne sembrano già conoscere la casa, si muovono a loro agio tra le ombre e i corridoi, ci sistemiamo comodi in un grande salotto. Alcune di loro mi parlano della casa, mi spiegano che erano solite celebrare qui una volta l’anno una specie di loro rituale sacro, ma poi la casa è stata venduta, e ora hanno bisogno del mio consenso per continuare la loro bislacca tradizione.
Io il consenso lo do. Mi piacciono queste stronzate.
E poi il rito parte, e essenzialmente è una sorta di megaorgia aristocratica alla Kubrick, e io mi ritrovo a fottere ogni pezzo di carne che mi sfiori la pelle, sopra i biliardi, sulle scalinate, distesi sopra folti tappeti persiani materializzati per l’occasione. La cosa va avanti per un tempo indefinito, crescendo sempre più di intensità, lo sfogo e il piacere fisico annullano qualsiasi altro tipo di percezione, il sudore e la pelle e le labbra e capezzoli si amalgamano in un’unica e assordante Sinfonia della Carne.

E poi, M. torna a casa.
Vede il puttanaio, esce di testa, colpo di scena da telenovela argentina.
E diventa una bestia, urla, piglia le sante vergini per i capelli, spacca tutto.
Non so bene come scoppia un incendio, bordello e parapiglio, fuggi fuggi generale.
Non riesco più a vedere M. nel fumo, mi faccio largo tra tette culi e divani in fiamme, finchè resto in trappola alla fine di un corridoio chiuso e devo tuffarmi attraverso una finestra per riuscire a salvarmi.
Mi ritrovo in un vicolo che non ho mai visto, ho una gamba in fiamme, la sbatto dentro una pozzanghera per spegnerla. Alzo lo sguardo e resto..a bocca aperta.
La villetta si è sollevata dal suolo e sta e sta e sta ROTEANDO a una trentina di metri d’altezza, completamente avviluppata dalle fiamme.
E sembra stia SOFFRENDO, geme, e nel suo vorticare espelle fuori povere vergini in fiamme urlanti, che precipitano un po’ ovunque, sui tetti di altre case, sopra macchine parcheggiate, si schiantano sull’asfalto anche a pochi metri da me, me allibito e dolorante in un vicolo, mentre osservo tutto questo, e sorrido affascinato.

Kiree