Pink elephant

Walker Texas Ranger che se la vede col cartello messicano.
A modo suo. Mentre siedo sul divano.
Alla maniera del Texas. E’ un piacere guardarlo.
In Texas la gente può dormire con la porta aperta e il post-it con il PIN del conto corrente attaccato al frigorifero. C’è sicurezza in Texas.

Il suo riflesso è ancora stampato sullo schermo della televisione, copre le sicure strade del Texas.
È andato via da mezzora lasciando una metaforica scia di sangue e merda sul pavimento.
Ha lasciato anche quello che tengo sulla lingua in questo momento.
Le impronte delle sua scarpe lampeggiano alternando un rosa e un viola alla luce di neon.

Dal tetto nevicano capelli di ogni colore, hanno ormai coperto il pavimento per intero.
Spengono il lampeggiare delle impronte.
Una folata di vento porta via i muri di casa mia come se fossero di sabbia, all’esterno i cieli sono neri e in tempesta, il mio vulcano di quartiere, di cui realizzo l’esistenza solo ora, sta eruttando con violenza inaudita.
Si squarcia in due grosse metà, lo schizzo di lava si protrae in avanti, uno tsunami arancione che affoga il mondo.
Dalle due estremità del vulcano spaccato una gigantesca mano emerge, le mancano quattro dita, ha solo il pollice, tenuto retto in avanti. I motori a reazione alla base del polso la spingono su verso il cielo fino a farla diventare un lontano puntino nero.
Le due estremità collassano nel terreno, assordando qualsiasi altro suono e innalzando una nebbia di polvere nera.
Lentamente dalla nebbia spunta un feroce sole rosso, davanti al sole volano tre elicotteri, appesi con lunghe corde ci sono tre grosse statue di pietra grezza che raffigurano degli angeli. Una per elicottero. Sono appese per il collo.
Volano sopra la mia testa smuovendo il tappeto di capelli che copre il pavimento.

Il pavimento è una spessa lastra di vetro, sotto si estendono le infinite meraviglie degli abissi che non sono poi così meravigliose se non hai una torcia per illuminare tutto quel buio.
Dovrei comprare una torcia e puntarla in basso verso i miei piedi, osservare ogni forma di vita là sotto ma so che finirei per annoiarmi presto e non vorrei passare giorni a tormentarmi per aver sprecato soldi per una torcia.
E comunque qual è il senso di osservare dei pesci che nuotano ? E come osservare persone che instaurano relazioni sociali in un pub, solo che in un pub non hai bisogno di una torcia. Non ha senso avere una torcia in un pub.
Una grossa crepa si apre sulla lastra di vetro, lentamente la percorre per tutta la sua larghezza.
Tre bestie volanti, giganteschi elefanti rosa con ali, monocolo, cilindro e una grossa tromba al posto della proboscite volano sulla mia testa.
Annunciano con grossa voce che l’Apocalisse è vicina.

La lastra di vetro esplode in innumerevoli pezzi, il mio divano galleggia sulle acque nere e mosse, una gigantesca saponetta rosa emerge e si piazza davanti a me a mo’ di monolite.

Realizzo immediatamente di trovarmi davanti alla presenza di Dio.
Chino il capo in segno di rispetto, congiungo le mani in preghiera e lo ringrazio per il dono della morte, di come il ticchettare delle sue lancette dia valore ad ogni cosa al mondo.
E’ lo scoccare del tempo che detta il valore e se la vita di ogni uomo è una attesa, lo ringrazio per avermi messo nella migliore delle waiting room.
Sento la sua benignità e vengo unto dallo Spirito Santo. Ha il sapore di dolci odori di camomilla e un senso generale di buono.
Comprendo il significato dell’universo, della vita e di tutto quanto.
È qualcosa che ha a che fare con lenzuola rosse.

Cado in un sonno profondo e senza sogni, mi risveglio dopo giorni.
Riposato e sazio di sonno.

Slon

Waiting room with free TV

La luce viola del neon filtrava attraverso le tapparelle semichiuse e il vetro unto colorando il fumo stantio che levitava nella stanza.
Non pensavo che un cervello potesse fumare così a lungo. Disse tra sé e sé.
Circondato dalle nuvole viola, sedeva sulla larga poltrona e al buio fissava la televisione in quella stanza dall’atmosfera dolce e soffice.
FREE TV diceva l’insegna del motel, per questo avevano scelto quel motel, per la televisione.
Un motel di merda. Strano che nessuno si sia lamentato per i due botti di poco fa. Che motel di merda. Pensò.
In televisione c’era La Passione di Cristo.
Catturato dal quel composto di pornografia cristiana, torturava il palmo della sua mano sinistra affondando la punta del coltello e scavando nella carne mentre in televisione fustigavano il Cristo.

Lo schifoso odore di bruciato che galleggiava nella stanza offendeva le sue narici, smise di giocare con il coltello e lo affondò con uno scatto deciso nella sua gamba, la lama penetrò nella carne per quasi la sua metà e si stampo nell’osso con un rumore indescrivibilmente raccapricciante.
Dalla sua bocca uscì un fievole gemito, magra risposta per quel genere di dolore.
Con la mano integra si accese una sigaretta, più per coprire quel disgustoso odore di bruciato piuttosto che per il piacere del fumare.
Si concesse anche un lungo sorso di Jack succhiandolo direttamente dalla bottiglia, nel frattempo continuava a seguire il film e a riflettere sul sacrificio di Cristo e come il suo gesto abbia migliorato la condizione umana.

Alla sua destra sedeva Samuel con un buco nel palato e un altro sopra la testa.
Samuel aveva deciso di farla finita da quando non provava più nessuna emozione del leggere Céline e quindi a che scopo continuare a vivere ?
Accanto a lui sedeva Anne, stessa posizione rilassata, testa all’indietro poggiata sulla spalliera della poltrona e gli occhi fissi sul tetto.
Stessa ferita di Samuel, diversa in pochi dettagli, il più evidente la sua testa folta di capelli che rispetto a quella completamente calva di Samuel aveva impestato la stanza con quell’odore di peli bruciati.
La Colt che teneva ancora in mano aveva svolto un eccellente e rapido lavoro anche con lei.
Il malessere di Anne era più antico, il suo disfacimento fisico raccontava il suo percorso a cominciare dal figlio di puttana Videla e alla lenta risalita verso nord passando per ogni genere di sventura che la tossicodipendenza ti mette davanti.
Quando croste e crepe varie erano cominciate ad apparire sulla pelle anche lei decise di andare al motel.

Il film era andato avanti, il Cristo era ora crocifisso.
Estrasse lentamente il coltello dalla gamba, in silenzio. Cominciò a sfregarle la lama sul polso.
Lui era andato al motel per capire perché era andato al motel.
La sua miseria di sessantenne era poco invidiabile. Tutta la sua vita era stata poco invidiabile.
Aveva bruciato la giovinezza tra velleità e insicurezze finendo in una stanza di motel dove avrebbe lasciato decidere all’alcol e all’eroina il suo futuro.
Non era tanto il desiderio di morire, era il desiderio di fare finalmente qualcosa, di uscire dalla waiting room.
Aspettava da una vita il suo Deus Ex Machina pronto a risollevarlo dal fondo della fossa comune fino all’olimpo degli artisti. Mai nessuno venne.
Né la reale ispirazione, né la voglia, né una donna, né un amico, né un editore.
Spinse la lama sul polso.
Magari qualcuno arriverà ora ?
Aspettò, aspettò e aspettò. Nessuno venne, poggio il coltello sul pavimento, prese il telefono, chiamò la reception e chiese se gentilmente potevano portargli un qualche tipo di profumo per ambienti.
Quella stanza puzzava peggio di una fossa comune.

Slon

Sarò ogni giorno con voi

Le lapidi ben disposte e il cielo arancione contornato da nuvole grigie e nere erano una gran bella istantanea.
Passeggiava tra i larghi viali del grande cimitero gustando il suono dei suoi passi, alternato dall’erba e dalla ghiaia, nel silenzio.
Non c’era mai nessuno lì.

“…ricordate…”

E lei non riusciva a trovare la motivazione delle sue visite.
A macinare passi tra le tombe calmava il vuoto che echeggiava nella sua testa.
Scorreva la zona vecchia dove c’erano tombe risalenti anche a due secoli prima, toccava le spesse lapidi in pietra leggendo tra le muffe date di morte e di nascita.
Esercitava la sua matematica, le piaceva calcolare l’età dei morti.

La sua tomba preferita era quella della famiglia Reed.
Era un grosso monolite di pietra alto quanto lei e forse anche più spesso di lei. Il colore originale era stato affogato dall’erosione e dal verde della muffa. Sopra il monolite troneggiava un angelo decapitato con le braccia protese in avanti, pronto ad accogliere l’anima di qualcuno.
Robert Joseph Reed era nato nel 1788 ed era morto nel 1866. Una lunga e precisa vita. Sua moglie, Anne, era nata nel 1812 e morta nel 1843 mentre dava alla luce il suo terzo figlio, nato morto e sepolto con lei sotto l’angelo decapitato. Il tempo aveva cancellato il suo nome dal monolite.La primogenita di Robert si chiamava Elizabeth, nata nel 1829 e morta nel 1836. Il secondogenito era Francis, nato nel 1831 morto nel 1847.
Ai piedi del monolite c’era scritto grande e ben leggibile: DIO CONCEDE E DIO TOGLIE.
Per lei era impossibile trovare il perché Dio avesse tolto tutto a Robert, se un uomo prende la vita di tre bambini e una donna si ritroverà spedito il culo al chiuso per sempre o peggio.
A Dio sono concesse troppe libertà.

Il percorso di ghiaia la portò più avanti.
Sette lapidi ben disposte avevano ceduto sul davanti appiattendosi nel terreno e guardando la stazza il loro tonfo aveva disturbato anche chi ci riposava sotto quel terreno. Probabilmente erano lì da anni, decine di anni. Non c’era nessun parente in vita che si preoccupasse della lapide del suo consanguineo.
Di fronte alle lapidi chinate c’era una panchina, le piaceva sedere lì e immaginarsi le lapidi inginocchiate al suo cospetto, un tributo dei morti a una donna ancora in vita.
Un rito religioso al contrario.

Mentre sedeva la leggera brezza che le pizzicava il collo annunciò l’avvicinarsi del buio.
Nella sua mente vuota il buio le ricordava il pericolo.

“La guerra ?” si chiese.

Scavò nella sua mente, tornando indietro nel tempo. Ritornò nel rifugio, tre sere prima. Era strano che non lo ricordasse.
Decine di uomini e donne e bambini erano inginocchiati davanti al prete che urlava il suo sermone di spalle e rivolto alla croce, la soffusa luce delle candele colorava l’atmosfera di un arancione come il cielo sopra la sua testa nel cimitero.
“…ricordate…” sembrava dire il prete, ma lei non badava a lui, stava parlando con una grassa donna quasi calva e priva di denti. La sigaretta che stava fumando aveva un sapore tosto e le bruciava la trachea fino ai polmoni.
La donna parlava mentre fumava con lei, non ricordava le parole ma ricordava il tema, lei ne aveva avuti tre… di bambini.
Lei era come Robert.
Non c’erano lacrime mentre parlava di figli morti, era un tema comune in quei tempi, come parlare di cani e gatti morti.
Il ricordo della guerra l’esplose in testa, si guardò le mani nere e callose, le vesti stracce e i tagli sulle gambe scoperte.
Dolori e paure si risvegliarono, così come l’urgenza di soddisfare il suo stomaco che ora era trafitto da un’ignobile fame.
“Lo spaccio…non hai soldi per lo spaccio” si disse.
Ricordò come pagava il cibo allo spaccio, ricordò il senso di nausea e d’odio e ricordò che il Signore era sempre con lei.

“…ricordate che il Signore sarà sempre con noi…” diceva il prete.
“…quanti ne hai avuti ?” chiedeva la donna.
“Due” rispondeva lei.

Le loro facce erano sepolte nella sua memoria tra le macerie della guerra.
“Non li hanno uccisi…” si disse “…è stato il colera” ricordò.
Sorridendo si alzò di scatto e cominciò a camminare verso l’ala est del grande cimitero, dove c’era la fossa comune.
Le sirene strillarono il pericolo, il lungo lamento inondò i vialetti d’erba e ghiaia ma lei non se ne curò, affrettò il passo, stava andando a far visita ai suoi figli.

Sotto la sfregiata statua del Redentore si estendeva il cerchio di pietre che delimitava la terra smossa.
“RICORDATE! IO SARO’ OGNI GIORNO CON VOI”, era inciso su una targa ai piedi del Redentore.

Sì chinò sul cerchio e parlò con loro.
Tutto era passato.

Slon

L’ora delle promesse

“You’re the best of all just because I don’t have time”

– George Best

Le quattro di mattina è l’ora delle promesse, prima di addormentarti prometti a te stesso che appena sveglio scriverai qualcosa. Non una prosa immortale ma giusto qualcosa, magari mettere mano su uno dei tanti progetti congelati.

Quindi una volta sveglio, verso le due di pomeriggio, doccia, scendi giù, siedi sul divano e accendi il portatile.

Ma prima meglio mangiare.

In cucina ci sono svariati barattoli da ventotto pence: passata di pomodoro, pomodori pelati, patate precotte, fagioli in salsa di pomodoro, spaghetti in salsa di pomodoro e fagioli, fagioli non in salsa di pomodoro. Roba da Fallout, tutti con lo stesso sapore acido.

Metti i fagioli in salsa di pomodoro nel microonde e metti a tostare cinque fette di pane, immancabilmente il filo di fumo che esce dal tostapane fa scattare l’allarme antincendio come se nella tua cucina ci fosse l’incendio di Chicago, l’eruzione del Krakota e la distruzione di Alderaan.

Apri la finestra e l’amorevole vento di novembre entra ricordandoti che hai una testa e che tua madre aveva ragione quando ti urlava di asciugarti i capelli dopo la doccia.

Torni sul divano, sposti il portatile dal tavolinetto e poggi il piatto con i fagioli e il pane.

Accendi la tv mentre mangi: maratona Doctor Who, sei episodi. Non è certo colpa tua, è colpa della BBC. Sai già che sprecherai sei ore, un buon spreco però.

Verso sera riprendi il portatile, gli svariati “progetti” ti guardano urlando “Papà, completaci!”.

Sono troppi, su chi lavorare oggi ?

Ti passano da fumare, buona. Lavorare su Default ? Meglio rileggere fino al punto dove siamo arrivati. C’è anche del vino, accettabile. Home ? Sono novanta pagine da rivedere, correggere e così via, no. Buona buona, è migliore dall’ultima volta, no ? A Black Cab ? Non oggi, è ancora agli inizi è merita una totale immersione, è una cosa da scrivere la domenica quando non c’è il calcio. Ti arriva davanti anche un piatto di uova e bacon mentre l’orologio segna l’una di notte. Ho già detto che questa è la migliore da quando stiamo qui ? Youtube + Funny Cats. Altro giro accompagnato da altro vino, sono le tre di notte e dopotutto gli zingari alla fine non sono poi tanto male. Pace.

Rovinata alla quattro di mattina dalla lavatrice che sbraita come un neonazista davanti a due ebree lesbiche che hanno appena adottato un bimbo cingalese.

L’acidità di stomaco e l’acidità delle metafore è forte, non è più tempo per scrivere.

Sono le quattro di mattina, vai a letto di sopra dove il rumore della lavatrice è minore.

E’ di nuovo l’ora delle promesse.

 

Slon

Pettegolezzi

“Ci sono due segreti per diventare abile; il primo è non rivelare mai tutto quello che sai.”
(Torment)

 

“Niente cazzate, ‘ta volta. Se decidi di portarti ancora dietro quell’immondizia drogata…”

_mi indica_con gli occhi_i suoi denti sono quasi verdi?_è disprezzo questo?_davvero uno così disprezza ME?_

“guardalo, è strafatto persino ora, cristosanto. Neno, ‘ta volta ne rispondi personalmente, sono serio. Sai cosa intendo.”

“Lo tengo buono. Che ti serve?”

“C’è movimento. In città e fuori. Roba grossa, stiamo tirando su tutti. Da adesso siete con noi 24 su 24.”

“Spiegaci.”

“Niente di complicato. C’è una persona per le strade. Va trovata e messa in un sacco, punto. Aspettiamo informazioni da un momento all’altro; appena arrivano, ci muoviamo.”

_senti_senti_un amico_ fantasma_

“Sta bene. Ma tutto questo solo per…?”

_solo?_

“Solo per. A voi non deve fregare un cazzo.”

“Non mi piace.”

“Non è una torta. Senti, te lo dico solo perchè non sei tipo da farsi impressionare… ”

_impressioni_impressioni_impressssssssssssssioni_

“Hai mai sentito parlare di Sin Cara?”

“Sentito nominare. Storielle. Mai fatto caso.”

_oh santa madre_non ridere_non ridere_non

“I ratti bisbigliano, nelle fogne. Però quasi tutte le stronzate che girano su di lui sono vere. Cioè, sono successe. Anni fa ha fatto una quantità di lavori, a est. Poi c’è stato quel puttanaio in quel museo olandese…ricordi?”

_neno annuisce_non mi piace la parola annuire_

“Ho presente”

“Dicono fosse da solo. E sono favole. Ma resta il fatto che quel giorno sono schiattati in venti…”

_sedici_

“…e nessuno sa un cazzo di niente. L’unico sopravvissuto era un cubano rincoglionito, straparlava di un tipo senza faccia, il diavolo vendicatore, la bibbia, la puttana di sua madre…Un giorno era in ospedale, il giorno dopo non c’era più. Da lì, il vuoto. Satana, sparito. Tutti quelli che avevano a che fare con lui, spariti. Nessun cadavere. Nessun indizio. Come se dio stesso avesse tirato la catena del cesso. Stronzate da kaiser soze, senti me…”

“Chi?”

“Lascia perdere. Era per dire che è una brutta storia.”

“E’ solo un uomo. Furbo.”

“Certo che è solo un uomo. Ora, una persona seria ascolta le storielle, filtra quello che deve e ottiene ciò che gli serve, e cioè sapere che questo è un figlio di puttana pericoloso. Ed è da queste…ehy, che gli prende all’immondizia?”

_sono_solo un po’ stanco_tutto qui_

“Che cos’ha, una crisi? Ti giuro che se mi vomita in ufficio gli sparo lì dove …”

_scusa_neno_

[Un po’ mi dispiace, quando taglio la gola a Neno. E’ in gamba Neno…appunto per questo meglio toglierlo di mezzo subito, prima che sia costretto a scegliere da che parte stare. Dentiverdi fa una faccia DAVVERO buffa. Me la godo tutta, fino a quando comincia a muoversi per aprire un cassetto. Scavalco la scrivania e lo prendo per il collo. Con la lama comincio ad accarezzargli le sopracciglia. Fa un bel rumore, soooottile sottile, tipo]

_frrsch_frrsch_

[e se potessi vedermi ora dall’esterno, vedrei un rifiuto umano chiaramente allucinato con un rasoio insanguinato in mano, la saliva che cola da un angolo della bocca e lo sguardo perso nel vuoto. Sono chiaramente distratto e mi chiedo perchè l’altro non ne approfitti, ma allo stesso tempo sono anche due metri più in là a guardare la scena con attenzione, e chissà quale dei due è quello vero? Ora dovrei chiedere a Dentiverdi chi li ha informati. Chi sa di me, chi ha mosso tutto questo. Dovrei spremerlo come un limone, tiragli fuori tutto quello che sa, e poi sparire, cambiare città, cambiare vita, smettere di inghiottire ogni tipo di droga esistente per fuggire dal fatto che le uniche persone con cui ho a che fare, le uniche persone al mondo, da sempre, sono assassini o vittime.

Dovrei. Invece le mie dita cominciano a fare pressione, le mie labbra si socchiudono appena, e sussurro]

“Guardami in faccia.”

Kire

 

Un uomo

Il momento peggiore era il rientro perché lo accompagnava sempre il sordo terrore che la finestra potesse essere chiusa. In linea teorica non era possibile, perché nessuno entrava mai nello sgabuzzino di notte; ma non si poteva mai dire. Con l’unica via d’entrata sbarrata sarebbe stato costretto a scoprirsi.
Ma anche quella notte dopo la consueta arrampicata sul muro ritrovò l’anta scostata di qualche centimetro, come l’aveva lasciata andandosene. Rientrò in casa, e si lasciò cadere seduto sul pavimento. Accese la sigaretta numero ventimila di quella notte. L’alba non era troppo lontana.
In genere una volta al mese, forse due, nelle prime ore piccole e con la famiglia già in preda a Morfeo, si alzava e si rivestiva. Si infilava nello sgabuzzino, apriva la sua via di fuga, scendeva lungo la parete e si avviava a piedi verso una stanza a duecento metri da lì. Una stanza con un letto non suo, e non vuoto, e non di riposo.
Non era certo una passeggiata gestire un tradimento, si disse. Richiedeva parecchia nicotina in più.
Terminò la cicca e la gettò verso l’alto all’indietro, fuori dalla finestra. Un gesto esperto, ormai. Si rialzò e chiuse il battente.

Entrò silenziosamente nella stanza -la porta era come sempre socchiusa- e si appoggiò allo stipite per guardare le sue numerose figlie. Nel buio non poteva quasi vederle, ma la stanza era chiara nella sua mente. Leonor, Veronica, Ginevra, Sara. Nemmeno un maschio. In passato si era spesso chiesto se fosse questa la causa, o una delle cause, che lo avevano reso fedifrago, ma ormai aveva capito che non era così. Le amava tutte con tutto sé stesso, e non sentiva la mancanza di alcunché. Al ritorno da ogni fuga si fermava nella loro stanza ad osservarle e a misurare la propria dignità contro la loro innocenza. Il paragone non era mai risolutivo: al più presto sarebbe fuggito di nuovo, se ne rendeva conto. Non provava neppure più a trovare scuse.
Passò la mano sui capelli di Leonor (sette anni, e un sonno come un macigno), la più vicina, idealmente allargando questo gesto a tutte e quattro: era l’ultimo rituale di quelle notti eterne.

La stanza attigua era la sua. La moglie, inconsapevole (sul serio, sì?), nella stessa posizione in cui l’aveva lasciata. Il suo respiro regolare muoveva lievemente la coperta; dormiva, o fingeva di dormire. Da tempo lui si era convinto che era assurdo pensare che non si fosse mai accorta proprio di nulla, ma non aveva mai fatto trapelare niente nei suoi atteggiamenti verso di lui: una cosa che in qualche modo lo feriva. Si spogliò e si infilò cautamente sotto le coperte, mentre gli abituali sensi di colpa cominciavano ad affiorare per avvelenargli il breve sonno che poteva ancora permettersi.

Opossum

Queer

Decisi di farmi la barba.
Nella mia vita, a seguito della scelta di radermi non più di una volta al mese, sono stato apostrofato con diversi appellativi. Una summa di tutti può sintetizzarsi nella frase: fai schifo al cazzo, vai dal barbiere perdddio!

Così quel giorno realizzai che sì, un po’ schifo al cazzo lo facevo. E decisi di radermi.
Mi ero portato una rasoio elettrico da casa e un paio di forbici, il piano era andare in bagno, sfoltire il grosso con le forbici e finire il tutto con il rasoio.

La sfoltita con le forbici fu lunga e piacevole, canticchiai mentalmente diverse canzoni e ne scrissi, sempre mentalmente, circa quattro.
Quando afferrai il rasoio ero felice come è felice un uomo che è a tre quarti d’opera.
E lì scoprii che in Inghilterra non è d’uso mettere prese di corrente nel bagno.

Oh perché sì, ero in Inghilterra, a Corby Glen.
Un giorno potreste rendervi conto di non aver mai vissuto in un villaggio inglese e decidiate di rimediare, facendo i bagagli.

Pensai all’inganno che le facili battute sull’assenza del bidè generava da decenni, uno andava in Inghilterra mentalmente preparato e allenato a pulirsi il culo senza l’ausilio dell’acqua (e non è poi questo gran dramma, fidatevi) ma non c’era nessuna battuta sull’assenza delle prese della corrente ad avvisarti che saresti rimasto nel cesso come un coglione con la barba pezzata.
Rifiutai di cadere nel panico, in camera avevo uno specchio e quattro prese della corrente.

Mentre mi radevo soddisfatto seduto sul letto e con il grosso specchio di fronte fissato al muro sentii i passi del coinquilino davanti alla mia porta.
Non mi serviva essere telepatico per leggere i suoi pensieri che avevano più o meno tutti a che fare con l’armeggiare di vibratori e cazzi di plastica vari.

Quando uscii dalla stanza era ancora lì tra il divertito e il curioso.
Avrei voluto dirgli tutta la storia della corrente nel bagno, non ci sono prese lì e quindi questo dimostra che tu puoi anche mantenere una solida egemonia per cinque secoli, invadere e conquistare ogni singolo posto di questo mondo, fondare un Impero, vincere due guerre mondiali, riconquistare due puntini d’isola all’altro capo del mondo, mantenere ancora un’influenza nei costumi mentre la tua egemonia svanisce in favore di altre potenze ma mai, e dico mai, ti verrà in mente di mettere una tripla nel cesso mentre ti costruisci la casa.
Ma lasciai stare, probabilmente avrebbe capito e mi avrebbe mostrato la sua collezione di vibratori.
Era mezzo canadese, e in camera ne aveva parecchie di prese elettriche.

Decisi che mi meritavo una pinta.

Frequentavo un pub losco, frequentato da vecchi loschi e gestito da un tizio di nome Ronny. Aveva un occhio nero e uno marrone. Non losco ma quasi.

Mentre bevevo la mia meritata pinta il vecchio losco di fianco a me mi rivolse la parola:
Do you like the cricket ?
Allora mi accorsi che in tv c’era una partita di cricket. Cricket, in tv, e c’era anche gente a vederlo lì dal vivo. A quel punto mi chiesi come hanno fatto a vincere due guerre mondiali se oltre a non usare le prese della corrente in bagno guardano il cricket in tv e dal vivo.
A tutt’oggi non ho trovato risposta.

Not really, sorry.
Are you a queer ?
No sir ( anche se il mio coinquilino testimonierebbe contro di me).
I knew a guy once, he doesn’t like the cricket and he was a queer.
But I’m not a queer, sir.
Where are you from ?
Italy.
Italy, my brother was in Italy during the war…
Oh cool…
…he raped four italians girl.
Och…
But I think it’s all bullshit, he never loved the cricket. He was a queer.

Andai via appena la pinta fu sparita, ringraziando Dio per avermi donato un’altra giornata interessante.
Perché questo è l’importante.

Slon

Me

Amo credere che sia il sogno a condurmi verso la collina, amo pensare che una qualche divinità abbia scelto questo canale per comunicarmi qualcosa, un faro di speranza nella desolazione. A me, soltanto me.

Ma sono stronzate, nient’altro che deliri da cancrena.
La sogno ogni notte, ogni volta che cado addormentato di giorno e anche quando svengo.
Cammina nella neve a piedi nudi, indossa una lunga veste bianca di lino, il vento l’allunga lasciando una pura coda incolore, persino più pura della neve.
Il vento smuove la veste mostrando nude parti del suo corpo, la pelle marmorea e fredda.
Ha capelli biondi, un biondo vivo e lucente. Occhi verdi, felici.
Non fa altro che camminare, sorridere e camminare.

Quando mi sveglio l’odore della mia gamba scaccia via il sapore della divinità e guardo l’arrossata, nera pelle squarciata dal mio femore. Il pus aumenta di giorno di giorno, ormai ho rinunciato a pulirlo.
E’ curioso come nella morte sia andato in direzione ostinata e contraria al resto del mondo, una vita da conformista con un finale da innovatore: riscoprire i classici modi per morire.

Per quanto ne so l’epidemia ormai ha già sterminato l’intera razza umana o, per quanto ne so, al mondo ci sono altri eletti immuni chissà per quale oscura ragione ma non tanto stupidi da ferirsi a morte scivolando e cadendo da una non troppo considerevole altezza.
Se la razza umana riponeva qualche speranza nel sottoscritto mi dispiace, avete mosso la pedina sbagliata.

E’ cominciato tutto due anni fa, est asiatico, trasmissione per via aerea, nessuna cura, nessuna prevenzione, niente di niente.
Sono da solo da un bel pezzo, in un clima da ultimo uomo sulla terra.
A dire la verità per un antisociale questo è un dannato paradiso e cominciavo anche a credere di essere morto finché non mi sono spezzato la gamba. Non ho mai sentito di qualcuno che si spezza un osso mentre si gode la meritata beatitudine eterna. Ergo, sono ancora vivo.

Il sogno è cominciato lo stesso giorno dell’infortunio.
Non so di preciso quando vidi lo spillo di luce sulla collina, ero steso nel buio più totale ad aspettare di morire e lo vidi per qualche istante.
So che è lei. Da quella notte non ho più visto nulla sulla collina ma so che lei è lì.

E ho ripreso a camminare. Non m’importa del dolore, lei mi guarirà. Devo solo arrivare in cima.
Non sento la necessità di bere o di mangiare, solo quella di giungere alla metà e so che quando chiudo gli occhi la rivedrò e finché la vedo lei è li ad aspettare me.

Me, soltanto me.

Slon

Non credo funzionerà

Mi sopporta, povera creatura. E’ innamorata, brutta malattia. Ho smesso di contare le lacrime e ho cominciato a percepire i silenzi.
I silenzi sono gli attimi di sospensione tra un dramma e una gioia.
L’eccesso di gioia piange, l’eccesso di tristezza ride, e io ho fondamentalmente bisogno di sinfonie mute.
Mi ci vedo, in mezzo ad una platea di lapidi e bare, a condurre una orchestra silenziosa di scheletri, spartiti scritti su pagine nere come
la notte, strumenti intarsiati di infinita solitudine. Una bottiglia di vino vicino alla caviglia, mezza vuota, mezza piena, a seconda se voi siate degli ottimisti alcolizzati o dei pessimisti assetati. E poi c’è lei, le sue spalle sempre più magre, sempre più attraenti, la sua bocca sempre più capace, i suoi pensieri sempre più estranei.
Lei non è te, tu non sei lei. Non lo sarete mai. E forse è questo che fa girare il mondo. L’infinita solitudine dell’essere vivo.
Quando ti addormenti sul tuo cuscino ancora sbavato dalla notte precedente, il mondo se ne va, si congeda, adesso sei tu, da solo, col tuo codice genetico scritto da angeli ubriachi, e le tue amanti, i tuoi familiari, i tuoi amici, i tuoi nemici, non hanno battute nel copione, non hanno ruoli. Sei lo stuntman del tuo subconscio, e chi si fa male sei tu, e tu soltanto, nel sentiero della notte che porta alla colazione dei desideri inespressi.
Il caldo le scioglie i capezzoli.
Vuole me, ed io voglio altro. Cerca me, e io mi trovo altrove, impigliato in un filo spinato di miserie spirituali. Un campo minato di inettitudini scientificamente programmate. What goes around comes around. E io mi ritrovo a girellare come un vecchio intorno al cantiere di me stesso, polsi incrociati dietro all’osso sacro, criticando tutto, si potrebbe fare tutto meglio, io, lo farei meglio, se avessi potere esecutivo sul mio ego.

Alex Kerouac

Sei

Non per niente ma pensaci. Allora ?
Non lo so, non fai prima a dirmelo ?
E dopo che gusto c’è scusa. Comunque è semplice dai, la più alta che mi sono scopato era un metro e sessantotto e già lì mi sentivo a disagio. Non mi piaceva il rapporto in scala, capisci a me.
No, non ti capisco.
Gesù! Sta lì la risposta, il rapporto in scala: adoro scoparmi le donne basse perché fa sembrare il mio cazzo mastodontico.
Quindi hai un cazzo piccolo.
No, ne ho uno nella media. Potresti chiedere a tua sorella se non fosse alta come una giraffa.
Strano, a dire il vero stavo per dire che la tua è una specie di perversione, tipo che sei un pedofilo represso e ti sfoghi così.
Ma che cazzo vai dicendo, non c’è niente di malato in me.
Per fortuna.
Mi piace avere questa sensazione, pensa che non compro un bagnoschiuma da anni, prendo quei piccoli flaconi omaggio che danno nei supermercati e quando faccio la doccia la sensazione è la stessa, è come se mi scopassi un nano: il mio cazzo sembra enorme.
E non la chiami perversione ?
No.
Non so, uno che davanti Biancaneve anziché scoparsi lei metterebbe a novanta, in fila d’avanti a se tutti e sette i nani…che dire ?
Non cogli il punto.
No.

La zona era isolata, i vecchi lampioni erano spenti così come i faretti al cancello d’ingresso.
Il complesso era abbandonato da anni, i capannoni svuotati dagli ufficiali giudiziari e da chiunque fosse passato lì con un carrello della spesa.
Loro erano in macchina, motore spento, nessuna luce eccetto quella riflessa dalla luna, libera da nuvole quella sera.
Attendevano “Il Tizio”, doveva uscire dal capannone che avevano difronte, dovevano fare finta di essere venuti a prenderlo ma non dovevano farlo salire nella macchina.
Ma Il Tizio ritardava e faceva freddo.

Sicuro che non possiamo accendere il motore ? Lui sa che siamo qui.
No, non voglio che qualcun altro oltre a lui lo sappia.
Sicuro che è da solo.
Sì.
Che ha fatto ?

Quella era la domanda più stupida da fare in quell’ambiente.
In quell’ambiente le domande non erano semplicemente pericolose, le domande erano proiettili.
Ora capì perché si trovava in macchina con lui.
In quell’ambiente dovevi saperti muovere.

Non lo so.
Nemmeno io, potrebbero dircelo almeno.
Non ci riguarda.
Sì ma almeno un po’ di considerazione.

E di considerazione lui ne avrebbe avuta stasera, come ne avevano avuta nei giorni scorsi.
C’era stata di sicuro un tavolo, qualcuno aveva chiesto, qualcuno aveva acconsentito ed eccoli lì: lui seduto a destra e l’altro a sinistra a tamburellale sul volante per vincere un po’ di noia.

Il Tizio uscì, l’altro stava già uscendo dell’auto.
Fermo! Lampeggia con gli abbaglianti, due volte.
Perché ?
Fallo e basta.

Lampeggiò due vole, Il Tizio fece un cenno con la mano, camminò verso l’auto.

Aspetta…

Il Tizio fu a pochi passi dall’auto.

Buttagli quei fari in faccia, accecalo!

Lo fece, nel mentre la prese, gliela poggiò sulla nuca e fece fuoco prima che l’altro potesse dire o fare qualcosa. Per un secondo vide il suo occhio destro voltarsi terrorizzato verso di lui.

Fu un fischio forte, lungo.
Portò la mano all’orecchio, lasciò cadere l’arma dal dolore. L’aria era densa del fumo e quell’odore accompagnato al fischio era troppo, quasi sradicò la maniglia aprendo lo sportello.
Si ritrovò fuori dall’auto un ginocchio a respirare.
Chinato c’era Il Tizio, dalle sue labbra lesse un “Che c’è ?”

Le mie orecchie.

Si alzo in piedi, girò attorno l’auto mentre aghi si conficcavano nei suoi timpani.
L’altro aveva la testa poggiata sul finestrino, non c’era una goccia di sangue, pulito. Solo grosse fratture sul vetro dovute al forte impatto dalla testa dopo il colpo.

L’Armaiolo l’aveva assicurato, ottimi proiettili per questo tipo di lavori. Abbastanza forti per entrare ma non per uscire e una volta dentro sbattono sulle pareti nel cranio, rimbalzando sopra e sotto, a destra e a sinistra finché non resta un frullato di cervello dove galleggiare.

Con una scusa che non senti pronunciare si allontanò dall’auto, “vado a pisciare” forse aveva detto.

Mentre camminava il fischio si attenuava, il rumore dei suoi passi sul terreno gli disse che non era diventato sordo.
Camminò per un po’, arrivo nel boschetto che costeggiava i capannoni e lì si sedette a terra prima di svenire. La nausea abbracciò tutto il suo corpo, il sudore colava a fiumi, la vista si anneriva voleva vomitare ma non aveva mangiato niente quel giorno.

Era sempre così, ogni volta, tutte e sei le volte.
Voleva dirsi che ora era normale, quel tizio lo conosceva da anni ma mentiva. Anche per i cinque sconosciuti prima di lui aveva avuto la stessa reazione.

Tornò indietro quando se la sentì.
Pisciare o cagare ? Gli chiese Il Tizio.
Tutte e due.
E cosa hai cagato, Marlon Brando ?

Si costrinse a ridere.

Ancora non arriva nessuno ?
No ma nel caso fossero arrivati ti avrei lasciato qui con la tua merda.

Nel mentre il SUV arrivò.

I due uomini salirono dietro, davanti c’erano altri due, quello seduto al lato passeggero sposto lo specchio retrovisore in modo da guardarlo in faccia.

Tutto a posto ? Chiese.
Sì.
Ti sta sanguinando l’orecchio.

Portò l’indice all’orecchio sinistro, era vero.

Niente di grave.

Sul ritorno incrociarono un carro attrezzi.

Sono i russi. Disse Il Tizio.
Non sono proprio russi, sono una specie di russi. Disse l’uomo alla guida.
Che vuol dire ?
Hai capito no ? Sono di lì vicino.
Lì vicino dove ?
Basta. Disse con calma l’uomo sul sedile passeggero e il silenzio scese nell’auto.

Non disse una parola, non fece una domanda, gli pseudorussi avrebbero cancellato ogni cosa, che senso aveva chiedere qualcosa ora ?
In quell’ambiente dovevi saperti muovere, quella era l’unica cosa ad avere un senso.

Slon