Discorso dell’uomo pallido che ululava sulla montagna

Quando sono in bicicletta a volte decido che voglio essere avventato e cominciare una salita difficile. E le salite difficili sono tante ed aumentano, perché sono uno scapestrato dalla fisicità ridicola, non mi alleno, non ho una bici eccezionale e vedo ormai il termine del mio quarto decennio di vita avvicinarsi. Le salite sono stronze, quando sei in bici sono autentiche puttane. Ma quando il masochismo chiama tocca rispondere, e cambiare altitudine è un buon modo per farlo.

Quando sono su una salita difficile di solito cerco di non pensare alla strada. Guardo la ruota anteriore e i pochi metri davanti a questo orizzonte, poi mi distraggo e mi metto a pensare alle cose più assurde che mi vengono in mente. Penso alle regole del cricket e agli undici modi possibili per eliminare il battitore. Penso alla gestione dello spazio colore dello ZX Spectrum e ai relativi conflitti sugli attributi. Penso a mio nonno materno che per addormentarsi invece delle pecore contava le province italiane, e di solito dopo questo penso ai 27 stati brasiliani ordinati per macroregione e alle loro capitali (e non mi viene mai in mente quella del Sergipe, che se ne vada a cagare). Penso ai modi di discernere i monosillabi che vogliono l’accento da quelli che non lo vogliono. Penso alla cinematografia estone e a selezionate pagine di Pynchon, Soriano e altra gentaglia. Penso che mi rendo conto all’improvviso che è da due giorni che ho in testa in loop “Vorrei ma non posto” di J-Ax e Fedez e non capisco come sia possibile. Penso che se mi venisse un infarto e morissi proprio qui, proprio ora, mio nipote non avrebbe alcun ricordo di me e insomma, va beh, uno zio non è un genitore ma se hai uno zio opossum pensa che sfiga non avere l’opportunità di conoscerlo. Penso a come scriverei un racconto in cui descrivo le cose a cui penso mentre affronto le salite difficili. Penso agli abitanti di quei paesi improbabili che mi può capitare di attraversare e mi chiedo come sia possibile tollerare un’esistenza lì, ma poi mi dico che se comunque sono riusciti lo stesso, pur stando in quei buchi di culo, a trovare la felicità, o almeno l’amore, o almeno il senso della vita, o almeno le pile per il telecomando, allora la vita gli è andata comunque meglio che a me.
Se ancora la salita non è finita è grave, perché comincio a pensare che sia meglio tornare indietro. Che è una cosa spiacevole su più livelli, mentali e fisici, spesso miscelati assieme in un amalgama dal vago sapore di merda. “Hai fatto tutta ‘sta strada per cosa, se poi torni indietro prima di arrivare? Ok, che non servi a un cazzo nella vita si sapeva, ma per Dio non sei manco buono di far girare due pedali? Stai ancora come quando a 10 anni cadevi dalla bici a rotelle (sì, purtroppo succedeva davvero, ve lo giuro, ma questa è un’altra storia)? Questa strada non la conosci, magari dopo quel tornante c’è una discesa, arriva almeno lì deficiente.” La mortificazione dell’anima e del quadricipite, tanto più crudele quanto più è inevitabile, serve solo fino a un certo punto di rottura, che in genere è -almeno per me- imprevedibile: c’è un contatto che salta all’improvviso da qualche parte della testa e che dice che no, basta, si torna a casa; e quasi da sola la ruota anteriore fa un’inversÈ UN TRATTO IN PIANO QUELLO LÌ A DIECI METRI DA ME? È UN TRATTO IN PIANO? SÌ! CAZZO, DAI CHE È FINITA e insomma a volte succede anche questo. Posso rimettere i rapporti duri.
Che mica me li ricordavo così duri però. Vaffanculo. Ma va beh dai, tanto mo’ c’è pure discesa, che goduria ‘sta brezza.

(La discesa, in bicicletta, è un concetto metafisico che non sempre ha un corrispondente reale. Una discesa è solo una salita al contrario. E quando ti giri per tornare sta lì a guardarti sorniona e sembra dirti “E ADESSO COSA CAZZO FAI, COGLIONE?”. Che è una domanda stupenda, seriamente. Perché ci pensi bene e capisci che la bicicletta, in fondo in fondo, è un bell’hobby di merda).

 

(E non voglio più vedere una salita fino al 2019).

 

Opossum

Ichi, ni, san, quatro.

Vivere d’arte e vivere d’amore. Un obiettivo a cui ogni uomo tende, o dovrebbe tendere. Ci abbiamo provato. Forse non ci siamo riusciti. Anzi, certamente non ci siamo riusciti, dato che vivere d’arte e vivere d’amore sono obiettivi superiori alle forze di qualsiasi uomo, temo. Oh, beh.

Sono passati quattro brevi lunghi anni da quando questo angolino di parole e immagini ha provato a dire la sua in un mondo crudele. Eravamo tre amici al bar che non avevano intenzione di cambiare il mondo, e infatti il mondo non l’abbiamo cambiato. Eppure, ci siamo tolti qualche soddisfazione. Ci siamo fatti leggere (e a volte pure apprezzare) da un fracco di gente in giro per l’Italia, la Scozia e la Terra; abbiamo pubblicato cose in inglese; siamo usciti dai confini della scrittura per addentrarci nel territorio della pellicola; abbiamo convinto qualche ospite a scrivere con noi; siamo diventati un punto di riferimento per tutti gli appassionati dell’atto di infilarsi zenzero nel deretano; siamo anche cresciuti di numero come saggi distorti, passando da tre a quattro con l’arrivo di Alex (che in realtà, sotto sotto, è un po’ come se ci fosse sempre stato). Ci mancano ancora alcuni traguardi (farci pubblicare da Adelphi, sbancare il Sundance Film Festival, cose così), ma ci stiamo lavorando.
Quattro anni che sono volati, trovo. E che fanno impressione pensando a quel tale che sentenziò la nostra fine entro un anno dall’apertura. Previsione fallita, grazie tante: ci berremo tre cordiali alla salute di chi ci ha voluto male, uno per ogni anno di errore.

Speriamo che gli anni davanti a noi siano ancora almeno altrettanti. Nel frattempo, proseguiremo a fare del nostro meglio (o perlomeno del nostro meno peggio) per rallegrare qualche minuto della giornata di te che stai leggendo; e continueremo a cercare di arrivare all’obiettivo iniziale: vivere d’arte e vivere d’amore. O morire nel tentativo.

ldcds

Grazie

Un anno di blog.
I convenevoli suggeriscono che questo dovrebbe diventare il momento dei ringraziamenti e chi sono io per sovvertire i convenevoli, ergo in ordine cominciamo:

1) Dio, quello dell’Antico Testamento ovviamente, che con la sua impeccabile creazione ci fornisce ogni giorno ispirazione;
2) L’Acer (ciao Danny) che ha prodotto il portatile con cui scrivo;
3) Il tizio che ha fatto Open Office;
4) L’Internet perché senza di Lui sarebbe il nulla;
5) Scarlett Johansson la quale prova che il Dio dell’Antico Testamento esiste;
6) Frank McCourt per il suo spronare la gente a prendere una penna in mano;
7) I sedici che seguono con regolarità il blog, vorrei davvero ringraziarvi uno per uno ma siete davvero in troppi.

Per ultimi ma non per importanza, vorrei ringraziare le migliaia di pervertiti giunti qui con ricerche improbabili alla fine di un lungo e inaspettato viaggio.
Sul serio: Grazie!

Come la maggioranza delle mie amicizie su Facebook suggerisce con regolarità ogni giorno, una giornata senza ridere è una giornata sprecata.
La cosa curiosa è che ogni volta che citano questo aforisma l’autore è sempre diverso.
Memore di questa del tutto disinteressata esortazione ogni giorno cerco di non sprecare la mia giornata ed è qui che voi cari pervertiti date una grossa mano.
Dando un’occhiata alle most searched Keywords da un anno a questa parte abbiamo saldo al primo posto un ovvio Le Distorte Conseguenza della Saggezza, al 68,27 %. Segue al secondo posto l’acronimo ldcds, all’ 11,54 %.
Dal terzo posto il poi le cose si fanno strane; entrambi terzi con lo 2,88 % sono due grandi evergreen: Zenzero nel culo e la sua variante più british Zenzero nel sedere.
Mi riempie di orgoglio che il 5,76 % delle visite nel nostro blog è avvenuto grazie ad un mio racconto, il primo per giunta. Passa quasi in secondo piano che saranno stati quasi tutti luridi schifosi amanti del brutal porn e mi avranno mandato affanculo appena non hanno visto apparire un video in streaming.
Anzi, la percentuale è maggiore visto che al quarto posto all’1,44% abbiamo la graziosa versione: zenzero nel culetto.

Prima di scendere sotto l’1% ci sono cose che mai capiremo come: Un uomo si innamora quando sente di aver trovato l’avversario giusto, storie immagini distorte testo e bara bongo che so io.

Sotto la quota minima per entrare nei tabelloni di Ballarò c’è una babele di cose assurde, le elenco risparmiandovi gli orrori grammaticali:

Quante donne fanno petting;
Quella puttana di una vecchia si scopa il falegname;
Grazie della chiavata (non c’è di che);
Come ci si comporta prima di chiavare;
Foto puttana segata in acqua (mmmmh);
A Paternò un uomo sorpreso che fa la cacca in piazza;
Si scopa un dildo sulla sedia;
Dove si trova porno ? (in provincia di Como);
Due braccia nel culo (fuck yeah!)
Ho qualche animaletto piccolo e nero che cammina sui muri;
Feticisti dell’aceto;
Racconti per punizioni ad uno schiavo;
Il pisello di Pierce Brosnan;
I tuoni sono attratti dalla wifi (il mondo deve sapere);
Granny cerca uomo;
Crema di coglioni (whaaaaaaaaaaaaaat ?);
Quando ti si spacca la bottiglia di aceto cosa significa ? ;
Questa troia si fa infilare un cetriolo nel culo da un’amica (cose normali quando il sabato sera piove);
Kire e Opossum blog (lurido stronzo =( );
Ci infileranno una mano nel sedere (che triste futuro);
Chiavare senza conseguenze (venirle in faccia è un ottimo anticoncezionale);
Filastrocca trottelerrero trotterellò;
Lo scaldabagno dopo un rumore non funziona più;
Mi fa male il ginocchio, dopo caduta (no shit Sherlock);
Peni stilizzati;
Redtube che fine ha fatto ?
Conseguenze a farsi penetrare da dietro;
Vogliose di cazzo.

E ne verranno di sicuro altre.
Quanto cazzo amo l’umanità.

Slon

Antri perigliosi

Dalle statistiche del sito riguardo le ricerche degli utenti che puntano qui

ricerca apparsa tra le statistiche del sito

Mi piacerebbe sapere qualcosa sui dubbi, le speranze, i travagli interiori che dilaniano la/il povera/o utentessa/e che ha fatto l’ultima ricerca.
Il suo partner che la sera prima le/gli ha chiesto il culo come pegno di amore e lei/lui che ha preso tempo per riflettere sulla cosa. Per provare, forse, a preparare un rifiuto.
Oppure ha già concesso al focoso amante il proprio prezioso ano, e alzandosi di malavoglia nel tardo pomeriggio del giorno dopo, infastidita/o da un inedito calore nel deretano, ha notato con orrore macchie rosso-brunastre sul fondo delle proprie mutandine di pizzo rosa e si è precipitata/o sul webz-che-tutto-sa a vedere cosa mai il bruto abbia potuto provocare al suo organismo, come la di lui pugnace verga abbia potuto brutalizzare il suo sfintere. Prega perchè sia qualcosa che si possa nascondere, che la sua famiglia e il suo medico curante non sappiano.
Questa povera creatura in pena, dolorante nel corpo e nell’anima, che si schianta su un blog di vibrante irrealtà, farcito di storie tremende scritte da esseri con nomi non umani, che parlano di gente che muore (opossum), gente che sguazza nello squallore (slonna), gente che passeggia per incubi dalle inquadrature sbilenche che manco il gabinetto del dottor Caligari (Kire); storie che, a ben vedere le/gli suggeriscono impietosi paragoni con la propria condotta di vita peccaminosa, paiono indicarla/o e deriderla/o e minacciarla/o di conseguenze ben più gravi e durature di un semplice colon massacrato.
Mi pare già di conoscerti, Andrea (posso chiamarti Andrea? Che è un nome unisex e torna comodo?). Sono solidale con te. Posso cercare di capire il tuo dolore, Andrea.
Andrea, lascia che te lo dica. Col cuore:

– Ma vai a cagare, Andrea!

Opossum