Una bella serata (pt.3)

Per parecchi anni Frank fu l’ultimo.
Un mese dopo il parcheggio della tavola calda ritrovarono Melanie nella sua cantina, qualche anno dopo Frank veniva legato sulla sedia e fritto come pastella.

Intanto mi ero spostato a est, in New Jersey.
Nei trent’anni di tranquillità che seguirono non trovai discepoli degni, ci fu un Samuel ma deluse le aspettative quando vomitò in piena faccia della cameriera di Morristown, rovinando il gran lavoro di esportazione che avevo appena finito.
Quella sera stessa feci un altro lavoro di esportazione, sulla sua faccia, con uno specchio ben piazzato per dargli un buon panorama.

Tentai di nuovo con un Robert, lui era quello che definirebbero malato ma in realtà era solo un animale.
In mia assenza lui giocava con i corpi.Roba fuori dalla civiltà, faceva disgustosi “esperimenti” amputando e ricucendo parti come se il corpo fosse un Mr Potato di carne.
Inoltre aveva rapporti carnali con loro, non solo nelle canoniche vie ma ricavandone di nuove in altre parti.

Inaccettabile e selvaggio. Non sono una bestia e non cerco bestie.
Gli sparai, non volevo toccarlo. E’ stata l’unica volta in vita mia che ho sparato.

La mia dote divina era andata via e non sarebbe tornata per diversi anni.

La prima volta che poggiai gli occhi su Edward fu in un bar di italiani ad Hammonton.
Capii subito cosa era.
Quella notte pedinò due donne che aveva visto nel bar e lo stesso feci io con lui.
Era bravo, loro non si accorsero di nulla. Contai circa tre occasioni in cui avrebbe potuto fare quello che voleva fare indisturbato ma lui esitò ogni volta, un muro nella sua coscienza dove andava a sbattere il suo desiderio stoppandone la sua corsa.
Aveva bisogno di una spinta.

Lo osservai per una settimana, di giorno lavorava a una decina di metri d’altezza maneggiando cavi elettrici e di notte pedinava gente.
La notte con sé portava un volgare coltello da cucina, lo estraeva di tanto in tanto sfregando le dita sulla lama.
Quando lo seguii a casa sua fui sorpreso di scoprire che non viveva da solo: aveva una moglie.
Era una prima volta, adoro le prime volte. Tutti i miei discepoli erano lo specchio della solitudine, Edward no, aveva una moglie e dalla faccia ruvida e tumefatta di lei era chiaro a cosa lei servisse.

Quella sera lo baciò e così fece ogni sera, persino quella volta che le prese il volto tra le mani, schiacciandole le tempie e tirando le orecchie in basso quasi come se volesse strapparle.
Dalla sua bocca non uscì nemmeno un gemito di dolore, appena lui ebbe finito, lei si ricompose prese la giacca che il marito aveva buttato sul pavimento appena rientrato a casa, svuotò le tasche, coltello compreso, sistemò ogni cosa al suo posto e dopo andò da lui per il suo bacio.

Quei due avevano la mia curiosità, erano una dannata novità.

Quon Cheng aveva tredici anni, era membro della risicata comunità asiatica del posto.
Quando non rincasò quella sera la preoccupazione cominciò a diffondersi lentamente come olio versato su una superficie piatta, una settimana dopo la sua faccia era ovunque.

L’avevo portato a casa di Edward la sera stessa in cui lo rapii.
Fu un buon lavoro, piacevole tempo e piacevole compagnia.

Proprio una bella serata.

Slon

Una bella serata (pt.2)

Dov’è Melanie ? Melanie ? Perché stamattina non c’è Melanie ?
Quella mattina Melanie non si vedeva, seduto al bancone a masticare la sua colazione Frank aveva in primo piano solo il grosso culo di Norman, il proprietario della tavola calda.
La sua assenza lo disturbava, la respirazione diventava discontinua accompagnata dai primi fili di sudore, amplificati appena qualche nuovo avventore entrava nel locale.
Frank veniva di mattina presto per evitare di vedere altra gente oltre Norman e Melanie, tollerava entrambi e gli piaceva fantasticare sulla cameriera trentenne. Fantasie che spesso avevano come protagonista una forbice e le sue palpebre.
Di recente si era spinto ben oltre i suoi limiti, forse eccitato per i recenti fatti di cronaca, e una mattina aveva portato con se il suo piccolo temperino.
Lo teneva nella tasca sinistra, sempre in contatto con la mano per rassicurarlo della sua presenza. Finita la colazione andò in bagno, cosa rarissima visto che era capace di cagarsi addosso piuttosto che usare un cesso non suo, specialmente se pubblico.
Chiusa la porta sedette sulla tazza per qualche minuto fissando quel legnaccio marrone finché, accompagnato dalla solita cascata di sudore, si alzò, prese il temperino e graffio sulla porta questa scritta: UCCIDI LA TROIA, UCCIDILA.
Prese premura di metterci anche una virgola.
Questa sorta di incitazione era diretta al suo idolo del momento ma non credeva che sarebbe stata accolta.

Quella mattina Melanie non era lontana: si trovava nel bagagliaio della mia auto, con grossi lividi sul collo e fredda come il Polo.
Non mi divulgherò molto sul giro di coincidenze che mi portarono da lei e da Frank, soprattutto perché non sono coincidenze; ho una dote divina nel trovare i miei discepoli ed è naturale essendo io stesso un Dio.
Uno di quelli veri aggiungerei.
Sarebbe come spiegare i colori ad un cieco e voi in questo caso lo siete, ciechi e inferiori, non capireste mai e non sprecherò caratteri nel tentativo di sovvertire questa inappellabile verità.

Di sera lo vidi per la prima volta, un estraneo alla vita sociale.
Frank era agitatissimo, si torturava le mani guardandosi intorno, incredulo di trovarsi in mezzo a tutta quella gente, in quella tavole calda, con Melanie ancora assente.
Si era spinto lì di sera, un’avventuriero in luogo ostile. Provava un forte senso di paura e colpevolezza per l’assenza della cameriera e quella scritta nel cesso era la sua ammissione: Melanie era scomparsa per colpa sua.
Ovviamente a nessuno fregava niente di lui e nessuno l’avrebbe minimamente considerato quando qualcuno avrebbe trovato l’ennesimo cadavere senza occhi.
Era fatto così Frank.
Non fu difficile disegnare il suo profilo in quei pochi secondi: mi ricordava Treasa, una cattolica a cui feci affogare il figliame del vicinato, un continuo bilico tra paura, odio e timore verso un Dio molto meno fattibile di me.
Fu facile abbindolarla, vecchia stupida zitella ma almeno so di averle regalato l’unico momento felice della sua vita, ricordo con gioia le sue grandi risate e lacrime mentre teneva la testa di Thomas sott’acqua. Credo che sia ancora viva in qualche casa dei matti, mi ricorderà con amore, probabilmente avrà tolto la croce dal collo riconoscendomi come il vero e unico Dio.

Oltre a ricordarmi di Treasa, Frank mi ricordò l’immensa soddisfazione che provai nell’aiutarla, decisi che era mio obbligo fare lo stesso con lui, ne avrei giovato anche io.

Lo fissai per un’ora intera e lo seguii quando andò al bagno. Dietro la porta sentivo il graffiare del temperino, stava cancellando la scritta.
Schizzò fuori una volta finito ed ero lì ad aspettarlo.

La notte era luminosa e devo essergli apparso in tutta la mia magnificenza visto che quando gli chiesi se potesse gentilmente aiutarmi a cambiare una ruota dell’auto mi seguì immediatamente.
Questa è un’altra delle mie caratteristiche divine ma ne parlerò in seguito.
Arrivammo all’auto e senza dirgli nulla aprii il bagagliaio.

Slon

Una bella serata (pt.1)

Archiviava quelle fila di fogli resi gialli da quella lurida lampadina, ogni cassetto aperto era una sinfonia di artriti metallici che gli laceravano i timpani arrivando fino al centro del cervello. Il tic tac di quell’orologio, appeso al muro da qualche sadico dirigente figlio di puttana, punzecchiava sulla lacerazione facendola sanguinare e pungere alla cadenza di ogni secondo.
Non passava nemmeno un filo d’aria in quello sgabuzzino chiuso e sigillato. Una persona lì dentro si sentiva come una bottiglia di vino confezionata, costretta a stare in piedi fino a quando quelle nere lancette non fossero arrivate sul numero sei.
E finalmente le sei arrivarono, Frank emise un sibilo di stanchezza, chiuse l’ultimo cassetto e la sua faccia sembrava quella di uno che è finalmente riuscito a pisciare dopo averla trattenuta per tutto il giorno.
Uscì da quel cilindro tuffandosi nell’ufficio ed esponendosi al resto dei suoi colleghi, non furono poche le risate soffocate e le battutine più o meno non meritevoli di essere riportate.
Come ogni volta per quell’ora Frank cominciava a dissolversi in un lago di sudore, quaranta chili si scioglievano ad un sole che non c’era. Chinò il capo e andò dritto alla sua scrivania sorridendo quando gli si rivolgeva un cenno di saluto, per vedere la sua buffa faccetta rossa e sudaticcia più che per cortesia, senza concedere la soddisfazione di guardarli negli occhi, per codardia. Ne faceva parecchi di sorrisi al pavimento.

Nella sua mente il tour tra le scrivanie durava ore, immaginava di uccidere Godman infilandogli la cornetta del telefono giù per la gola, si crogiolava nel sentire la sua mente riprodurre gorgoglii e spasmi soffocati di quello stronzo morente. Dopo era il turno di Marta, la segretaria. Il suo orecchio era fatto apposta per accogliere il tagliacarte, in maniera lenta, come se stesse infilzando un panetto di burro. In mente si stampava la sua fotografia in primo piano, morta, apparentemente con nessuna ferita, normale eccetto per un torrente di sangue dall’orecchio destro. Sulla sua strada c’era anche uno stronzo di prima categoria dal cognome tedesco, tale Dietrich. Il pugno di Frank lo colpiva dritto sul naso, frantumandolo, il bastardo cadeva all’indietro cozzando la tempia sulla scrivania, un’aureola di sangue appariva lentamente sul pavimento dove ora poggiava la sua testa.

L’arrivo alla sua di scrivania fu brusco, quel pezzo di legno dipinto di bianco a buon mercato e modellato alla meglio sembrava parlare, lo riportò alla realtà, irrideva il povero Frank: in quale realtà alternativa uno scheletro come te stenderebbe un tedesco di 1,90 ? Gracchiava feroce.
Non gli diede considerazione per molto, qualcosa lo rese felice: il giornale!
L’aveva quasi dimenticato, era una delle notizie principali del giorno: oggi sette settembre 1959, nella mattinata, era stata trovata un’altra vittima non identificata ma con gli stessi segni di un modus operandi ormai ben conosciuto.
Il killer è tornato!
Quel titolo aveva rallegrato la mattinata e l’esistenza di Frank. Per tutto il giorno avrebbe voluto parlarne con qualcuno dei suoi colleghi, per condividere l’eccitazione di un fatto così bello, come loro facevano parlando in continuo delle loro passioni, il motore eccezionale della mia auto, il mio nuovo porticato, la mia Philco Predicta è grandiosa, il mio messia ha ucciso e mutilato un’altra troia.
No, Frank non poteva dire cose del genere, cosa avrebbero pensato di lui ?

Raccattò il giornale e corse a casa.
Nel tragitto in macchina, alla guida chino in avanti quasi col mento sullo sterzo, Frank fissava la strada senza battere ciglio, cercando di raccogliere una concentrazione che il concerto di voci nella sua testa dissipava. Erano a centinaia, un vociare da festa, non una parola era chiara di quel brusio eccitato. Si udivano anche delle risate.
Le sue tempie si riscaldarono, il vociare aumentò, era quasi al limite della sopportazione quando d’improvviso si zittirono, la voce della signora Russell chiamava Frank. Come un miraggio la vedeva avvicinarsi dal suo prato, facendosi più chiara ad ogni passo. Voltò la testa scendendo dalla macchina per guardare casa sua, era come se qualcuno l’avesse condotto lì.
Non avrebbe potuto giurare di aver guidato fino a casa.
Fraaaaaaaank!
Si…Sig…Signora Russell tutto a posto ? Si accorse ora che la vecchia signora aveva un cesto di vimini con lei.
La dolce settantenne voleva un bene del mondo a Frank, le faceva pena uno della sua età scapolo e visto che era vedova e non aveva avuto figli di amore ne avanzava tanto.
Ti ho preparato questo! Disse porgendogli il cesto.
Cosa è ?
Cosa vuoi che sia ? Torta di mele, siamo in America dopo tutto.
Alla risata allegra della signora Russell fu conseguenza l’automatico sorriso di risposta, accompagnato dal rapido calare lo sguardo verso le scarpe. Era come se Frank avesse paura che la vecchia potesse leggergli nel profondo con il solo contatto degli occhi, le sarebbe apparso il filmino di cosa stava proiettando la mente del suo vicino in quel momento: lui chino con la testa tra le sue gambe intento in un’intensa sessione di cunnilngus, proprio su quel prato, lei era inerme stesa a terra, quasi certamente morta e tutto il vicinato passava lì di fianco incurante delle scena come se fosse cosa di tutti i giorni.
Quegli occhi avrebbero messo a nudo le sue devianze e morbose voglie sessuali represse da anni, era meglio non fissarli.

Va bene allora ? Chiese la signora Russell strappandolo dal suo ragionamento.
Certo. Rispose senza conoscere la domanda, si accorse anche di avere il cesto di vimini con la torta tra le sue mani.
Congedata la vecchia corse in casa.

La sua abitazione era una casa delle bambole enorme, ogni oggetto e arredamento era posato con cura e criterio. E come in una casa delle bambole, lasciata in un angolo per essere ammirata, tutto all’interno era ricoperto da un filo di polvere. Sedie, poltrone e le due credenze piene di piatti in salotto, il tavolo da pranzo e tutto ciò che servisse per rendere funzionante una cucina, il piccolo studio formato solo da un esigua libreria e da una piccola scrivania in mogano sembrava libero dalla presenza di Frank da anni, come il resto del piano terra. Nessuno abitava lì.

Frank si dirisse subito su per le scale lasciando cadere il cesto di vimini, il piano superiore consisteva nella sua stanza da letto, una stanza vuota e un minuscolo cesso.
Entrò in camera sua e chiuse la porta girando due volte la chiave.
Tremante e sudato andò verso il letto e chinatosi, nella tasca posteriore del suo pantalone figurava il giornale piegato in maniera che ci entrasse comodo, prese una cartellina di pelle
Restando inginocchio dalla cartellina estrasse uno splendido album, anch’esso in pelle, con rifiniture in oro agli angoli. Era stato un oggetto commissionato, non era roba prodotta in serie, portava un logo in basso a destra che di certo non erano le iniziali di Frank ma piuttosto il nome dell’artigiano. Era stato fatto per accogliere gioiose foto probabilmente.
Sfilò la cinghiettina che lo teneva chiuso, appena lo aprì la sua agitazione di calmò. Erano ritagliati di svariate titoli e articoli riguardanti un assassino, descrivevano sette omicidi diversi, con modalità differenti ma lo stesso modus operandi dopo la morte: alle vittime venivano asportati gli occhi.

Dalla cartellina prese un paio di forbici e della colla, con la semplicità propria di un bambino ritagliò l’ultimo articolo, dal giornale odierno, e lo incollò in una bianca e pura pagina vuota.
Ammirò per qualche minuto l’opera, poi voltò pagina, andando avanti e gli articoli di giornale scomparvero. Ora c’erano foto.
Foto in bianco e nero, clandestine, raffiguranti scene pornografiche. Alcune erano vecchie, sfioravano i trenta/quaranta anni approssimando. Sembrava averle catalogate in base all’atto sessuale che i tizi nella foto stavano praticando, in una c’erano due donne impegnate in un sessantanove e la pagina era rigata dai graffi fatti delle unghie di Frank.
Andando avanti il sesso spariva e cominciava la vera pornografia.
Le pagine erano un insieme ordinato di foto poco piacevoli, raffiguravano cadaveri atrocemente martoriati, probabilmente foto della seconda guerra cino-giapponese, altre condividevano il tema di vittime di una guerra anche se non era facile individuarne il contesto, c’erano svariate foto di scene del crimine, probabilmente molte raffiguravano vittime di agguati in chissà quale conflitto di mafia, una foto del cadavere di Elizabeth Short occupava un’intera pagina con gli stessi segni di unghie della precedente, nel resto si potevano vedere foto di autopsie e altre atrocità che difficilmente avrebbero potuto avere un contesto individuabile.
Il tremore si rimpossessò di Frank, scattò in piedi album in mano e lo poggiò delicatamente sul letto, aperto alla pagina di Elizabeth Short. Cercando di mantenere un contegno nonostante il tremore e il sudore a fiumi, sfilò con garbo la cintura, tolse pantaloni e mutande.

Altrove qualcuno guardava compiaciuto la scritta nella toilette di una tavola calda, la leggeva e rileggeva con calma.
Ok, disse parlando alla scritta.
Uscì dalla toilette e inquadrò Melanie, la cameriera. Lei ricambiò lo sguardo e sorrise.
Allora capì che anche quella sarebbe stata una bella serata.

Slon