Il terzo appuntamento

La prima volta concordarono di incontrarsi in un oscuro jazz bar del centro, uno dei tanti che si nascondono tra i seminterrati di Nicholson street. Lui arrivò leggermente in ritardo ma rimediò riconoscendola all’istante, seduta a uno dei mille tavolini circolari che galleggiavano tra le ombre. Si lasciò guidare dalle luci intermittenti rosse e blu che provenivano dal palco vuoto e la raggiunse sorridendo. Si scambiarono due baci veloci e cominciarono a parlare di futilità.

Lui era arrivato a piedi e ancora tremava vistosamente per il freddo intenso che regnava all’esterno. Si scusò di questo tra l’imbarazzato e il divertito, mentre metteva le mani a coppa sopra la piccola candela che si consumava al centro del tavolino. Non mi abituerò mai a questo freddo, disse.

Finchè continui a riscaldarti così ci credo, disse lei.

Non sottovalutare le storie che può raccontare una fiamma.

Lui le prese le mani e le congiunse alle sue sopra il timido calore. Si riscaldarono insieme così, sentendosi a loro agio. Continuarono a esprimersi mentre si guardavano attraverso le luci mobili della candela e del palco, che ora ospitava un solitario trombettista che spargeva con gentilezza note nell’aria. Lei non provava minimamente il nervosismo o l’impaccio che di solito accompagnavano i suoi primi appuntamenti e la cosa aveva un vago sapore di eccezionale. Chet Baker era una garanzia e l’atmosfera fece il resto. Smisero di parlare di futilità e si baciarono.

La seconda volta fecero una lunga passeggiata nel parco, scherzando e scambiandosi frammenti di informazioni sulle rispettive vite e cominciando a percepire inconsciamente che qualcosa non andava.

Non riesco a vederla, pensava lui. E’ gentile e carina e perfettamente normale e quando la guardo non vedo niente. E’ colpa mia. Ho fretta di innamorarmi e non le sto lasciando spazio e sto rovinando tutto.

Non riesco a toccarlo, pensava lei. E’ carino e divertente e mi fa sentire tranquilla eppure è come se non fosse davvero qui. Mi ascolta e mi guarda come non ha mai fatto nessuno, eppure è come se fosse distante mille miglia. Ho sbagliato qualcosa e sto rovinando tutto.

Dopo la passeggiata si fermarono in un bistrot affollato per una bevanda calda. Lui teneva viva la conversazione senza sforzi ma era evidente che le sue emozioni erano altrove. Lei si sentì improvvisavente e stupidamente spaventata dalla prospettiva di perdere qualcosa che non aveva ancora nemmeno trovato. Cominciò a sentirsi nervosa e si sforzò di discutere di qualcosa di interessante. Parlami dei tuoi difetti, sono curiosa.

Lui stava guardando fuori dalla finestra e la domanda sembrò colpirlo come uno schiaffo.

Ne ho tanti, rispose. Uno è che per quanto mi sforzi, tendo ad essere brutalmente sincero.

Non mi sembra poi un gran difetto, anzi.

Se lo pensi davvero sei un’ingenua.

La risposta aveva perfettamente senso e non c’era traccia di astio o scherno nella sua voce, ma lei non potè fare a meno di sentirsi umiliata. Finirono le rispettive tisane in silenzio. Vedi? Spero di non averti offeso. Ma no, figurati, però ora è meglio che vada, è stato un piacere, ciao.

Decisero di incontrarsi una terza volta, nonostante nessuno dei due ne avesse troppa voglia. La scintilla che sognavano non c’era stata, succede, ma entrambi si sentivano soli e avevano paura di sprecare un’occasione tutto sommato invitante sulla base di poche sensazioni fondate sul nulla. Quando hai più di trent’anni in fondo non puoi fare tanto l’incontentabile. Le notti sono lunghe e fredde e insignificanti. Vale la pena di sforzarsi per un po’ d’affetto. Un rapporto richiede compromessi. La panchina sulla riva del fiume era dura, e la neve che stava iniziando a cadere in quell’esatto momento non aveva nulla di romantico. Lui stava guardando la superficie dell’acqua e parlò.

Pensi che l’amore sia una cosa semplice?

Lei si strinse nelle sue stesse braccia, improvvisamente paralizzata da un gelo che forse veniva da fuori o forse veniva da dentro. Appoggiò la testa alla spalla di lui e rispose che non lo sapeva.

Kire

Il terzo appuntamento - by Anna (thannuz@gmail.com)

Il terzo appuntamento – by Anna ([email protected])

Vagamente romantico

Un uomo sta davanti ad una finestra, ma tutto ciò che vede è il riflesso di ciò che sta dietro i suoi occhi.

Vede sè stesso, la sua espressione scarmigliata, gli occhi spalancati e dimenticati a sè stessi, come una libreria piena di emozioni impolverate che nessuno sfoglia più da troppo tempo. Vede la sua bocca socchiusa, le labbra screpolate che non toccano acqua da chissà quanto, la barba incolta e insofferente, come un giardino abbandonato al crepuscolo.

Vede la stanza intorno a lui, fiocamente illuminata e distintamente disordinata, vede tutti gli oggetti e tutti gli indizi che potrebbero tratteggiare facilmente il profilo di una plausibile disperazione, ma non c’è disperazione qui dentro. Non ci sono sentimenti in questa stanza. Sono usciti tutti con passo felpato, discretamente, rispettosi del bisogno di silenzio del loro padrone. Sono fuori ora, nella notte, e camminano in fila indiana sulle corde di una chitarra distante, il suono dei loro passi arriva ovattato alla soglia della finestra e lì si ferma, paziente.

Vede una poltrona su cui siede una donna, la cui bellezza non vale la pena descrivere.
La vede chiaramente, e non è per nulla spaventato dalla certezza che lei non sia veramente qui. La vede accendersi una sigaretta con noncuranza, vede i riccioli di fumo salire lentamente e appannare lo stupido scintillio delle lampade di carta.

C’è un breve dialogo sul peso delle parole. Lei sembra sincera, sembra davvero non accorgersi di come le emozioni si muovano in una gravità diversa da quella delle frasi, di come sia impossibile capire che capire è impossibile.

Abbassa gli occhi e vede la propria stanchezza affiorare all’improvviso, no, non all’improvviso, era ai suoi piedi da molto tempo, e aspettava solo che lui incrociasse il suo sguardo. L’impulso lo possiede, la sua mano scatta ciecamente e colpisce il vetro, sfondandolo, aprendo un varco verso l’infinità della notte. Il vento di settembre entra con prepotenza, arruffandogli i capelli e restituendogli tutti quei sentimenti che quasi si era dimenticato di avere. Il sangue gocciola lentamente dalla sua mano, rincorrendo e raggiungendo i pezzi di vetro a terra, e lui lo guarda stupito, sorprendendosi ancora una volta di quanto possa essere potente e meraviglioso il dolore.

L’aria è fredda, e lui se ne ubriaca. E sorride, mentre ascolta con un brivido i rumori della periferia che prima non sentiva. Il riflesso della stanza è incrinato e deformato, ma non ha bisogno di voltarsi per sapere che ora la poltrona è vuota.

Si porta la mano alla bocca, e il suo sangue ha un sapore vagamente romantico.

Kire

Non Importa

Lui correva tutto di fretta, completamente fradicio.

La pioggia l’aveva sorpreso poco prima del suo arrivo all’appartamento, e l’aveva sbranato vivo, insinuandosi nei suoi vestiti, nella sua pelle, nei suoi pensieri. Si fermò un attimo a riprendere fiato affianco a un pino, che spuntava da un piccolo riquadro di terra in mezzo al cemento. La cosa gli sembrò strana, in qualche modo. Al mondo non esisteva nulla che non fosse bagnato. Controllò il nome della via, e riprese a correre.

Lei aspettava con calma euforica. Aveva passato il pomeriggio in casa, a ballare e cantare sola, senza nessuna musica se non quella nella sua testa. Dalla finestra aveva visto il temporale scatenarsi, e questo l’aveva stranamente eccitata. Pochi minuti dopo sentì suonare il campanello. Andò ad aprire.

Lui era sull’uscio, appoggiato allo stipite, con un’espressione buffa e una piccola pozza d’acqua stanca che si spargeva ai suoi piedi. Senza nessun motivo coerente, Lei pensò che sembrava appena uscito da un film di Woody Allen. Pensò che era bello. Sorrise. Lui parlò.

“Ehi. Ciao.”

“Ciao.”

“Fuori c’è tutto l’antico testamento. Almeno casa tua è facile da trovare.”

“Se sai dov’è, sì. Vuoi entrare, o ti piace qui fuori?”

“Hai un bel sorriso.”

Si baciarono sulla porta, con foga, inalandosi a vicenda. Tutti gli orologi di tutte le stanze di tutte le case trattennero il respiro, per poi sbuffare silenziosamente e correre veloci, a rimettersi in pari con la campana del paese che batteva le novedisera.

Poco dopo erano nel salotto. Lui si era tolto scarpe giacca e camicia, e ciondolava guardandosi attorno. Lei tornò dal bagno con un asciugamano, e cominciò a strofinargli i capelli.

“Mi fa piacere che sei venuto. Non pensavo ti avrei rivisto più, dopo l’altra sera. Ma oggi è una giornata speciale..e mi andava di passarla con te.”

“Anch’io non contavo di rivederti, eppure ti ho pensato di continuo. L’unico dettaglio, ehm, è che non mi ricordo il tuo nome.”

“Non importa. I nomi sono per le storie. Nella pioggia non si sentono.”

“Oggi è una giornata speciale davvero, è san Patrizio. Ti ho portato tre regali.”

“Tre è un bel numero. Quali sono?”

“Il primo è una custodia rovinata, piena di un po’ di tutto. Non un granchè, è roba di seconda mano, ma almeno non hai confezioni da scartare. Stanotte puoi rovistarmi dentro, e prendere quello che ti piace.”

“mmm.”

“Il secondo è questo momento, e tutto quello che contiene. Non c’è ieri, non esiste domani. Tutta la storia dell’universo viene raccontata adesso, sottovoce. Puoi ascoltarla, se vuoi.”

La baciò di nuovo, questa volta lentamente. Lei sentì un calore distratto risalirle i fianchi, tremare le spalle, accarezzare le tempie.

“E l’ultimo regalo, improbabile Re magio?”

“Oh, giusto.”

Lui assunse un’espressione scherzosamente imbarazzata.

“Beh qui non conoscevo i tuoi gusti, e ho preso un po’ quello che mi è capitato. Spero sia della misura giusta.”

Le poggiò le mani sulle spalle, premendo delicatamente e facendola sedere sul divano. Poi si slacciò la cintura.

Lei sorrise, mordicchiandosi le labbra.

“Oh…che bel pensiero. Credo mi entrerà bene.”

 

Kire

 

Io non sono qui

(Caleidoscopio)

La vecchia fiat scivola silenziosa sull’asfalto bagnato, nuota spedita immersa nel buio, riemergendo ciclicamente a prendere aria nelle pozze di luce dei pochi lampioni sparsi.

Un finestrino è leggermente abbassato, gli odori abbracciati della pioggia e della periferia entrano timidi, accoccolandosi quasi con soggezione vicino a quelli già presenti di sigarette, noia e stronzate.

Nello stretto abitacolo ci sono quattro divinità minori, quattro rappresentazioni afflosciate di convenzioni astratte, completamente concentrate nei loro ruoli.

“Ascoltatemi! Ascoltatemi, e amatemi” dice la Paura.
“Stiamo perdendo tempo. Dovremmo vivere più intensamente” dice l’Entropia.
“Non capisco più nulla” dice l’Emotività.
“Basta che guidi” dice la Forza.

Sì, ma verso dove? Verso cosa ci spingiamo, quando siamo convinti di non andare da nessuna parte?

Gli odori si sfaldano, non riesco più a mettere a fuoco i visi. Cosa succede?
Ah, ora capisco. E’ solo un vecchio ricordo. Non sono realmente qui.

Una piccola pista di atterraggio, di notte. Un piccolo aereo con i motori accesi, in procinto di partire.
Una testa si appoggia dolcemente nell’incavo di un collo, come una Martin committee si appoggerebbe su un contrabbasso caldo e lento. Ballano assieme per il tempo di un assolo, poi la tromba tace.
Il tuo odore mi entra dentro con disinvoltura, mi annulla come fosse oppio.
(Dove vai?)
(Non essere triste)

E poi non c’è più l’aereo, non c’è più il cielo, non c’è più jazz, c’è un soffitto troppo basso, talmente basso che potrei baciarlo.
Non riesco a dormire. Sento il sangue che pompa. Il cuore mi batte così forte da farmi paura, un treno folle che raggiunge la sua velocità massima e poi la supera, deragliando dai suoi binari e precipitando in un canyon.
Non c’è più aria, non capisco dove sia finita. Le mani scattano da sole, scalciano il buio, tentano di afferrare qualcosa che non esiste, il caldo e il freddo si tolgono le loro maschere e non si fanno più riconoscere mentre mi baciano, brividi vestiti da bambini mi tirano le pieghe della pelle, urlano gioca con noi! E’ la festa del Rimpianto! Gioca con noi, inutile stronzo!
Le ombre sui muri mi fissano, mi compatiscono, esalano il fumo dei loro sigari e scuotono la testa.
Ho una paura fottuta. Tutto è ostile, il mio corpo per primo. Non ho nemmeno la scusa di aver preso un trip andato a male. L’esperienza mi guarda e alza le spalle. Le lacrime escono copiose ma discrete, me ne accorgo solo quando le sento infrangersi sugli avambracci.
Ho paura di MORIRE, cristo. E’ questo il rumore della morte? Ma và?
Non so perchè, ma me l’ero sempre immaginata con dei violini in sottofondo. Invece sento solo il rimbombo del mio cuore e l’eco distorto del mio respiro.
Cosa cazzo mi succede? Perchè mi sento così?
Dove sono? Non capisco. E’ un altro ricordo. Non sto morendo. Non sono realmente qui.

Sono disteso nell’erba. E’ domenica pomeriggio e c’è un sole fotonico che fa lo splendido, circondato da una platea di cento cieli limpidissimi che applaudono. Un cane mi annusa la faccia, sento la sua lingua ninja guizzarmi sulla guancia, mi ritiro d’istinto ma sorrido, è gradevole. Poi il cane si tuffa un po’ più in là, a rotolare, ad annusare, a fare tutte le sue bellissime stronzate da cane.
C’è qualcuno, dietro di me. Sta cantando, una vecchia canzone di Mina, forse.
Non so il titolo, non riconosco le parole. Ma nella voce percepisco una leggerezza e una gioia che mi lasciano senza fiato. E’ la tonalità di un angelo che canta il suo amore verso dio. E’ il crescendo di un bambino che canta la sigla del suo cartone preferito.
E’ la voce bellissima di qualcuno che ama la vita più di ogni altra cosa, senza chiedersi nulla.
Poi smette, dolcemente, non di colpo, sento le ultime note spegnersi piano dentro di me.
Vorrei dirle di continuare.
Vorrei voltarmi per vedere che viso ha un’anima così intensa. Non ci riesco.
Perchè no? E’ un altro ricordo? Sono qui o no?

No.
Sono nella mia stanza, seduto in un angolo in penombra.
La pilot V5 nera rotola nervosa sul foglio del bloc notes, la sigaretta è quasi spenta nella lattina di birra tagliata a metà che mi fa da posacenere. Sono esausto ma calmo.
Sono curioso di vedere che succede ora. Sono Qui. Ci sono un sacco di nuovi e buoni odori.

So dove sto andando.
Il cuore è veloce ma non vuole più uscirmi dal naso.
E quella voce mi canta sempre dentro ora, e non smette mai.

E’ quasi l’alba. Mi resta qualche ora prima di giocare a nascondino con il mondo.
E’ abbastanza.

Per dormire diecimila anni.
Per sognare diecimila vite.

Chissà se al mio risveglio ti troverò distesa affianco a me.

(Accompagnamento: Faunts – meno mony falls| Subheim – dusk)

Kiree

(Jihad)

Portate pazienza.

L’unica mia giustificazione, è che in media mi innamoro una volta ogni dieci anni, quindi non è che passo la vita a lagnarmi.
L’unica vostra sfiga, è che mi avete beccato giusto in questo momento. Voi tranquilli e sopportate, che al momento giusto tornerò a raccontare cazzate divertenti e sogni con lune parlanti, puttane volanti in fiamme e ragni domestici giganti abbandonati sul ciglio di un’autostrada d’estate.

(Che strano poi, dire così. Come se ci fosse effettivamente qualcuno che mi segue e addirittura aspetta cosa scrivo. Ogni cosa che creo nasce con me e morirebbe con me, se non fosse per qualche ficcanaso che dà una sbirciata veloce e mi dice “oh figo, pompala su che merita”. Io li ringrazio sti ficcanaso, se non fosse per loro queste parole disordinate resterebbero in un qualche bloc notes di qualche agriturismo, che poi dimenticherei su un davanzale dopo un tramonto, pronto a marcire sotto la prima pioggia. Grazie, ficcanaso.)

Dicevamo, l’amore.

Io non è che sia sto gran esperto, sicuramente non abbastanza da intrattenere generazioni di ragazzini rincoglioniti con le mie fregnacce. Però insomma, qualche esperienza l’ho avuta, e qualcosa ho imparato, sui sentimenti.

Ho imparato che sono pericolosi.

L’amore è un po’ come la guerra: può sembrare affascinante in un videogioco o in un libro di fabio volo, ma quando lo provi sulla tua pelle è tutta un’altra storia.
Magari sì, all’inizio c’è questa sensazione di euforia e soddisfazione, mentre scarichi un caricatore nell’esofago di un nazista, o mentre a letto fissi negli occhi la tua donna venire e ricongiungersi alle Stelle, per poi guardare le ombre ballare sul suo viso dormiente e sereno.

E’ bello. Ti fa sentire vivo.

Ma presto o tardi, succede sempre qualcosa. Il tuo cuore si crepa. Che sia per un 7.62 vagante, o per un rifiuto ben mirato, il tuo cuore si c-r-e-p-a.

Anche questo ti fa sentire vivo. Ma NON E’ bello.

E’ per questo motivo che non vado mai in cerca dal principio di relazioni fisse. E’ per questo motivo che, quando mi imbarco per caso in una relazione che immagino possa crescere a livello di sensazioni, mi infilo in un cazzo di completo di prada. In kevlar.

La regola base è sempre quella: NON dare importanza a certi tipi di sentimenti. Questo non vuol dire assolutamente mancare di rispetto all’altra persona, o sminuire il rapporto, anzi. Certo, a volte può capitare di non riuscire ad essere sulla stessa lunghezza d’onda dell’altro, ma ho visto errori ben peggiori in un rapporto.

Questa tecnica poi, oltre a difendere la tua sensibilità (e la mia sensibilità è tipo un neonato cianotico in mezzo al mardi gras di New Orleans) ha anche il vantaggio di mettere in chiaro certe cose con l’altra persona. Ti fa capire quanto profondo è il loro sentimento. Se ti abbandonano alla prima difficoltà, ai primi paletti…beh forse vuol dire che non avete davvero ragione di stare insieme. O no? Il fatto delle tipe che mollano alla prima stronzata succede spesso, lo sapete. Mi son sempre evitato molte rogne così.

Quasi sempre.

Stavolta no. I dettagli non sono importanti. Ormai sono qui.

Ora, mi trovo fottutamente e completamente perso nel medio oriente delle emozioni.

Da un fronte lui, l’innominabile SENTIMENTO.
Cieco, totale, bellissimo, fragile e imponente allo stesso tempo.
Ama con una ferocia spaventosa, e non vuole sentire ragioni. Se ti avvicini anche solo per chiedere che ora è, ti prende a cazzotti nello stomaco. Tipetto vivace, l’amore. Vivace quanto stronzo.
Un bell’avversario.

Dall’altro invece, lei. La maestosa INTELLIGENZA.
Cinica, scaltra, esperta. Analizza tutto, e non si fa sfuggire nulla. Prevede ogni mossa dell’avversario, è bravissima a schivare i colpi del nemico, ma quando viene centrata fa un sacco di fatica a rialzarsi. A differenza del Sentimento, lei ci tiene a te, e farebbe di tutto pur di non farti star male.
Compreso barare, odiare, dimenticare, se non c’è altra soluzione.
Anche con lei, non c’è tanto da scherzare.

Queste due potenze, umane e cosmiche allo stesso tempo, si scontrano in me ogni secondo della giornata, in una sanguinosa jihad dell’anima che non lascia spazio a nient’altro.

Nessuno vince, mai. Nessuno vince perchè io intervengo. Non posso permetterlo. Non posso, e non voglio, rinunciare a nessuna delle due cose, così come non voglio che una domini sull’altra.
Il mio ruolo in tutto questo, olte a quello di campo di battaglia martoriato, è quello di mediatore politico e forza armata di pace.
Sono la NATO delle mie stesse emozioni.
Il punto è che sto finendo i fondi e l’appoggio internazionale. Questa lotta mi consuma, mi strazia, mi lascia spossato e infermo, con appena le forze di addormentarmi e sognare, sognare la stessa guerra che continua in chiave onirica.

Vorrei tanto che si trovasse un accordo. Vorrei tanto che il Sentimento e l’Intelligenza arrivassero a comprendersi davvero, per poi convivere pacificamente nella nazione della mia anima. Ci sono abbastanza risorse naturali per tutti e due, in fondo. Lo stesso cielo scalderebbe allo stesso modo i loro figli. Potrebbero crescere insieme, completi, semidei innocenti e consapevoli.

Non so come finirà. Non ne vedo la fine. Tutto è Guerra.

Appendete una stronza bandiera al balcone, fumatevi qualche canna pensando a me, e domani dimenticatevi della mia esistenza.

Kiree

Dellamore?

Tu mi consumi.

Quando della passione saranno rimasti tizzoni e il tempo sarà sazio del mio sentimento, ti prego, raccogli le mie ceneri

Portale in punta di piedi nel punto più alto e delicato della notte, dove il buio non è inquinato di luce ed è sfolgorante, dove il silenzio è l’unica lingua cantata e compresa, dove il sogno si libera dagli stracci troppo stretti della realtà, e cammina nudo e divino sul lungomare dei sensi

Una volta lì, libera i miei frammenti, lascia che il vento li disperda lontano, lascia che una parodia di gravità li faccia salire piano, lasciali posare sulla superficie dell’acqua sopra le nuvole

Lascia che oltrepassino il velo, falli piovere disordinati sul mondo delle cose

Osservali mentre diventano ricordi inaspettati, sorrisi ingiustificati

Ascoltali mentre piegano l’erba con il loro odore

Kiree