Opossum

È la sera dell’otto febbraio 1981. Il giovin opossum nasce, come capita a molti, e trascorre un’infanzia pressoché dimenticabile, coltivando un’impressione di sé tutt’altro che positiva. Nei tristi giorni degli anni ’80, quando il mondo scopre le potenzialità del synthpop easy listening -e avrebbe preferito farne a meno-, il marsupiale cresce (poco) abbandonato da tutti, perfino dagli amici immaginari che in genere popolano le stanze dei pischelli suoi coetanei. Coltiva pochissime amicizie con esseri perfino più ridicoli di lui, che sono sempre spinti ad abbandonarlo quando iniziano la propria scalata nella vita sociale. In seguito l’opossum attraversa l’adolescenza col modo di fare di un canguro metallico ai tropici. Le proverà tutte: la religione, il comunismo, il fascismo, il liberalismo, il satanismo, lo sport, l’anarchia. Fallirà ovunque. Nel suo peregrinare incontrerà esseri bizzarri, fenotipicamente di certo homo sapiens, ma insoliti come libellule con le ruote; se ne sbarazzerà, perlopiù accoltellandoli al basso ventre durante partite di polo sul ghiaccio. Certo ormai che non esista al mondo un posto atto a contenerlo, l’opossum scopre all’improvviso l’amore in fondo a un frigorifero. Solo, deluso, affranto e bipolare, e con innumerevoli lustri di schiaffi morali alle spalle, l’opossum lascia per testamento tutti i suoi averi all’inventore del Qbasic e si suicida sparandosi in testa con una Beretta. Che però è ad acqua.

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