I limiti della verità (III)

  • Non avevo mai visto questa parte della città. Quelle palazzine…nemmeno una luce. Sembrano scatoloni lasciati a marcire sotto la pioggia in un parcheggio. Fanno paura.

L’uomo con la pelle quasi bianca sta guidando e non risponde. Dopo una curva percorsa quasi a passo d’uomo schiaccia con forza l’acceleratore. Contemporaneamente tenta di ingranare la terza, ma la leva del cambio gli sfugge e l’auto comincia a singhiozzare, addormentandosi pochi metri dopo. Lo guardo mentre la riavvia, senza scomporsi minimamente, non un solo cenno di disappunto o un’emozione qualsiasi.

Mi sforzo di sorridere e con sollievo ci riesco. La follia che sto vivendo è accettabile come ogni altra, ma se perdessi anche il senso dell’umorismo comincerei davvero a preoccuparmi. Dall’altra parte del finestrino la periferia di Praga respira piano e tiene gli occhi bassi, ignorandoci. Niente pattuglie da queste parti, solo telecamere.

Mi chiedo se la disperazione esista anche in natura o se sia una necessità puramente umana.

  • Al bar mi eri sembrato molto più ciarliero. Hai detto che devi mostrarmi qualcosa. C’è della bellezza in questa cosa?

  • Non pronunciare parole di cui non conosci il significato. So di luoghi in cui ti caverebbero gli occhi per una domanda simile. Un consiglio: quando sarai altrove, parla il meno possibile.

  • Senza offesa, ma la tua voce è nauseante. Mi ucciderai?

  • Non ti ucciderò, sera, nè ti farò nascere. Questo incontro non modifica le tue responsabilità sul tuo futuro. Per me sei solo una scatola da consegnare.

  • Che cosa sei?

  • Mi chiamano Sicaridaee. Ci chiamano figuranti, incompleti, maliardi; I nomi sono una perdita di tempo. Sono colui che possiede ogni risposta ma trova incomprensibile il concetto di domanda. Il tuo bisogno di sapere è per me offensivo. I limiti della verità…non sono nessuno. Considerami una delle tue solite visioni.

  • Se questo fosse un sogno ti farei guidare meglio, per me è offensivo come usi le marce. Inoltre di qua ci siamo già passati, spero che tu lo sappia.

  • Dobbiamo mantenerci su strade secondarie. Conosco l’itinerario, purtroppo non sono molto abituato a questa Scrittura. Mi scuso per i miei errori.

  • Questa…scrittura?

  • Questa concezione. Questa culla corrotta in cui esisti. Il modo perverso in cui esercitate il pensiero. Non sapete esistere se non legati in catene, alla loro tessitura dedicate ogni respiro. Dato che non capite la lingua dell’esistenza ne avete inventato un’altra, che non capite in ogni caso. Una fertile, timorosa, mansueta nazione di schiavi sognatori. C’è chi vi trova affascinanti; non sono tra quelli. Ma è particolare che tu non sia intimidito.

Rido, di gusto. Rido, tanto. Questa volta senza sforzarmi per farlo.

  • Un fantasma…no, fermo. Un maliardo proveniente da un’altra dimensione, con una voce che sembra fango liquido, mi rapisce e infila dentro un’auto rubata che non sa nemmeno guidare. Mi parla di cazzate esistenziali come se fossi un’universitaria da rimorchiare, mentre mi porta in un posto oltre-la-realtà dove probabilmente mi caveranno gli occhi per aver chiesto se hanno del formaggio. Che cosa c’è di spaventoso? Dico, guarda fuori. Guarda, cosa stiamo sognando. Che fascino. Il mondo. Pardon, la “Scrittura”. Coglione.

Non so se ho offeso il mio interlocutore, né mi interessa. La sua faccia quasi bianca non tradisce stati d’animo. In ogni caso dopo questo non ci sono più parole. L’auto continua a singhiozzare per una decina di minuti e finalmente si ferma nel parcheggio di una palazzina abbandonata. C’è una luce accesa in uno degli appartamenti all’ultimo piano. E’ flebile ma è anche l’unica e questo la fa risaltare come un faro su una scogliera. Scorgo movimenti dietro le finestre buie. Qualcuno ci sta osservando. La curiosità serpeggia sulla pelle facendola formicolare.

Apro la portiera.

Kire

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