Il caso D

Sospeso in quella dimensione che aveva tanto di reale ma non lo era pensavo a cosa fosse tutto ciò.
Un sogno o qualcosa del genere ? Forse, anzi di sicuro. Era quel “qualcosa del genere” a preoccuparmi.

Ero seduto. Credo.
In quella visione in prima persona avevo la tipica visuale di chi è seduto.

La stanza era scarna, con pareti bianco opaco, una grossa scrivania di legno era di fronte a me.
Dietro seduto a dondolare a destra e sinistra c’era lui.

Vestiva un logoro vecchio abito elegante, in testa un cilindro che quasi distoglieva da quel volto rugoso e scottato dal sole. Indossava degli occhiali con piccole lenti a cerchio scure. Da sotto la scrivania vedevo i suoi piedi nudi.
Stava leggendo da un foglio che teneva eretto tra il pollice e l’indice, ogni tanto rideva mostrando dei denti gialli.

Curioso il caso D. Mi disse indicandomi con gli occhi l’uomo seduto alla destra della scrivania che fino ad allora non avevo notato e sinceramente non sono sicuro se fosse lì dall’inizio.
Sedeva su uno sgabello, schiena dritta, piedi uniti e mani poggiate sulle gambe. Non ricordo i suoi pantaloni e cosa avesse ai piedi, ricordo solo che indossava una giacca militare, a giudicare dal colore verde scuro, sopra una camicia verde chiaro e una cravatta nera. In testa aveva quello che sembrava un elmetto coloniale.

L’uomo dietro la scrivania esplose in un’altra grossa risata e ripeté: davvero curioso il caso D.
Avrei voluto alzarmi, stringere la mano di quell’uomo dall’aria rassicurante e chiedergli perché il caso D fosse così interessante, solo che non riuscivo a muovermi né a parlare.
Ero inchiodato in quell’ipotesi di poltrona e la mia bocca era come tappata da ovatta.
Non sentivo alcun timore, ero sereno, in pace tra quella strana compagnia. Anche se avrebbe dovuto essere il contrario.

Pensa che il caso D ha completamente rifiutato se stesso tanto da dimenticare chi fosse in origine. Un’altra grossa risata. Ora passa le giornate intere seduto su quello sgabello a cercare di ricordare, ogni tanto gli torna alla mente un piccolo dettaglio o un piccolo ricordo ma sono solo piccoli indizi, non riuscirà mai e poi mai a ricordare chi è.
Provai un senso di pietà nel vedere il caso D, lì seduto a scavare immobile nella sua testa. Provai per la prima volta un senso di avversione verso l’uomo dietro la scrivania, per quale ragione rideva su una cosa tanto orribile ?

Ma tu non sei qui per il caso D, tu sei qui per il tuo caso. Mi disse. Dammi solo un minuto.
Si alzò dalla scrivania e uscì dal raggio del mio sguardo, verso sinistra, provai a girare il collo per seguirlo ma fu inutile, riuscivo a muoverlo solo per guarda a destra. Dove c’era il caso D seduto a fissarmi.
Lui mi parlò, una singola domanda: Sono un inglese ?

Non lo so, avrei voluto dire ma quell’ipotesi di ovatta nella bocca me lo impedì. Non credo di averlo offeso visto che tornò a chinare la testa e a fissare i suoi piedi senza attendere una mia risposta.

L’uomo tornò, aveva con se una piccola valigetta di cuoio marrone. La poggiò sulla scrivania e riprese il suo posto. La aprì, da dentro tiro fuori un straboccante faldone, troppo grosso per entrare in una valigia così piccola. Lo poggiò rumorosamente davanti a se.
Un caso articolato in tuo. Rise, di me ora.
Cominciò a leggere le carte, le mie carte. Tentavo di leggerle attraverso il suo volto che a volte sorrideva e altre era cupo mentre la testa diceva no come se dovesse rimproverarmi qualcosa.

Passò parecchio tempo e parecchie pagine. Richiuse il faldone, incrociò le mani e cominciò a parlarmi.
Non è un coincidenza che il caso D sia oggi con noi, avete entrambi lo stesso modo di rifiutare voi stessi. Certo, in ambiti diversi, in epoche diverse ma siete lo stesso caso.

Quando qualcosa di orribile vi capita è naturale che nel corso del tempo un muro, mattone dopo mattone, si crea in voi. Sta lì per fermare lo scorrere di rabbia, tristezza, sconforto e ogni sentimento dannoso. Più diventa alto più il dolore si attutisce.
Sta a voi curarlo e adattarlo per la vostra sopravvivenza, è darwinismo. Se adatte il vostro muro al vostro dolore sopravvivete.
E soprattutto dovete essere consapevoli di avere dentro di voi un muro.

Se curerai il tuo dolore cercando di diventare qualcun altro non farai altro che diventare il caso D, seduto qui al mio fianco a fare da esempio per quelli che saranno come te ora.
Quindi adattati. Accettalo. Sappi che non li riavrai indietro, la morte è definitiva mio caro e tu dovrai conviverci. Sì, so che è orribile e ingiusto ma non puoi fare nulla in tuo potere per far tornare tutto come era prima.
Devi solo ignorare il dolore, non conviverci: ignorarlo. E ci riuscirai solo edificando il tuo muro, non fuggendo o diventando altro.
Impara questo e forse non mi rivedrai mai più.

Ed è tutto quello che ricordo.
Uno strano psicologo che appare in sogno è forse la descrizione migliore per quello che mi è capitato. Sono solo deciso a seguire i suoi consigli. Per una sola ragione.
Non voglio rivederlo mai più.

Slon

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