A Conti Fatti

Nove Strade

11 Novembre

Primo Anno

Ti ho pensato tutta la notte, e ora ti lascio qui, adagiata in questo angolino d’alba.
Dopo tutto questo tempo le mie labbra profumano ancora della tua dolce incoerenza, e i miei pensieri sono servi infedeli, si rifugiano in te non appena mi distraggo un attimo. Brindiamo assieme, il DIN! dei nostri brividi risuona nell’aria ruvida, il rumore del fiume che scorre abbandona il suo corso e ci viene in grembo, fa le fusa come un gatto viziato.

E’ bello averti qui.

Ma dove sto andando ora, tu non puoi venire. Dove sto andando ora avrò bisogno di tutta la mia forza e tutta la mia disperazione, e se vieni con me soffrirai, e non devi.

I ricordi iniziano già a perdere la loro classica linea temporale, si fondono tra loro, si sovrappongono, scambiandosi i vestiti, le maschere, le voci.

Ma l’inizio, l’inizio lo ricordo ancora bene. Ero al porto, la notte prima di salpare per Bisanzio. Passeggiavo sui pontili, osservando affascinato le luci dei fari corteggiarsi sulla superficie calma dell’acqua. Le Voci cantavano, come sempre, ma ancora io non sapevo cosa dicessero, e il loro suono non era poi diverso da quello del tempo. Una parte di me chiedeva “perchè parti?”, le altre parti invece non ci pensavano, nonostante non lo sapessero.

Poi fu Bisanzio. Fu la magia, fu la pioggia, furono le strade strette e acciottolate che risaltavano di un bianco e nero perfetto, un contrasto distorto e sublime, inquinato solo dai brevissimi lampi elettrici e blu dei tram, intenti a trasportare i sogni verso il mattino.

Guardavo quei tram dissolversi piano all’orizzonte, chiedendomi quando ci sarei salito. Non l’ho mai fatto.

Poi, fu la follia. Furono le notti negli scantinati di legno, fu il jazz oscuro e suadente che beveva a canna le mie sicurezze lasciandomi spaesato e tremante per il freddo. La notte finì, e il mattino portò il frastuono, un’orgia di suoni simboli e luci nere e rosse a forma di lacrima, fu la realtà che si radeva in fretta, riempendosi di piccoli tagli che bruciavano, furono mille libri scritti in una lingua incomprensibile, fu una sola parola nitida e chiara in mezzo a loro.

E poi un’altra. E un’altra. Le Voci cantavano, come sempre, ma ora riuscivo a cogliere qualcosa qua e là, frasi sconnesse, di una Bellezza arrogante e commovente.

Quando tornai a Nove Strade tutto era uguale, eppure tutto era diverso. I sentieri, i profumi, le persone: tutto era come sempre, ma ora tutto cantava, e nel canto ogni forma e guisa e schema si deformava ammiccando, promettendo distratta viaggi sensazionali in un altro mondo, in due, in infiniti altri.

Studiai, per la prima volta nella mia vita con passione. Ogni nuova nozione portava centinaia di dubbi nuovi, stimolandomi invece di demoralizzarmi. Muovevo piccoli passi timidi in altre assurde Realtà, toccando con soggezione e rispetto e infinita curiosità la nuova  materia delle cose. I Sogni ora non scomparivano più al mattino, ma mi restavano accanto, a volte gentili e pacati, a volte litigando furiosamente tra loro, per farsi ascoltare.

Nella vecchia realtà, avrei semplicemente concluso che avevo smesso di sentirmi in colpa per ciò che sono. Nelle realtà nuove, le conclusioni perdono di senso.

Sono ancora prigioniero, come tutti. Ma ora so di esserlo, vedo le sbarre, e ogni giorno che passa riesco a sporgermi qualche metro in più fuori da esse.

Amare, tradurre, sognare: tutti concetti che prima avevano un solo significato ben preciso, e sbagliato. Ora non c’è nessuna spiegazione, e queste cose mi travolgono. Presto lascerò Nove Strade, e senza saperlo, so esattamente cosa succederà.

La fine dell’inizio. Il fine dell’inizio.

Grazie di tutto.

 

 

3 thoughts on “A Conti Fatti

  1. Questo racconto è avanti anni luce rispetto a quello sulla camminata lungo i binari del treno (che mi piace cmq molto). Chissà cosa scriverai da cui a pochi anni, probabilmente un giorno l’affermazione che ti conoscevo quando ancora non eri nessuno mi sfrutterà dei privilegi. 🙂

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