La punizione

Prima sensazione, sorpresa mista a spavento, seguita da logiche domande.

Perché non ci vedo ? Dove sono ? Sono legata ?
Rewind mentale in cerca di risposte: era venuto a casa, uno dei tanti, non so nemmeno quale.
Si aggiunga un’altra domanda: come fa a sapere dove abito ?
Mi ha fatto qualcosa, mi ha colpita ? Si, sento la tempia umida.
Mi ha portata via di casa svenuta, ulteriore domanda: E’ possibile che nessuno l’abbia visto ?
Domanda chiave: Dove sono ora ?
Fa freddo, forse un garage ? No sento soffi d’aria fresca sul collo.
Silenzio, qualcosa in lontananza, forse un cane.

Dei passi sempre più vicini interruppero i suoi pensieri, era davanti a lei e con uno scatto di mano le sfilò il sacco dalla testa.
E luce fu.
Quattro pareti di legno, una lampadina fioca, lei legata per bene ad una sedie e difronte il patetico ometto che credeva di controllare.

Ha una sacca stretta e lunga a tracollo, un fucile da caccia forse, una catapecchia di legno, poco illuminata, silenzio assoluto: sono nel bosco!

Potere dell’associazione di idee.

Voleva urlargli un mondo di cose ma lo osservò in silenzio mentre prendeva una sedia, la piazzava davanti a lei e sedeva poggiando contemporaneamente la sacca terra.
Stava sforzando di ricordarsi chi fosse dei circa sette rimbambiti di mezza età con cui aveva avuto a che fare ultimamente.
Sembravano tutti uguali, tozzi e bassi, calvi e sudaticci. Lui non era da meno.

Prima domanda, disse lui, davvero credevi che fossi così stupido ?
Cosa ?
Cosa ? Cosa il cazzo. Con me hai usato la scusa del visto per tua sorella, con gli altri invece ?
Gli altri ? Ora era chiaro chi fosse: il professore coglione che non si era mai sposato. Nemmeno ora ricordava il nome ma non le importava, la domanda era come avesse fatto un coglione a metterla in quella dispari condizione.
Si, gli altri che hai fottuto. Quando vi alzate al mese ? Trentamila ? Cinquanta ?
Cosa dici ? Non capisco.
No quello che non capisco sono io, la domanda è sempre la stessa: credevi che fossi così stupido ?
Lunga pausa silenziosa.
Sì. Che altro c’era da dire ? Preferì la rassegnata sincerità alle scuse, sapeva riconoscere il fesso ed ora non ne aveva davanti uno. Aveva sul volto quell’espressione di gioia, una gioia sadica che lei sapeva riconoscere benissimo. La sua vanità svanì immediatamente, aveva finito di giocare.
Peccato non accorgersene prima.
Apprezzo la sincerità. Bel piano il vostro, gli stronzi abbondano e voi ne approfittate. Parenti malati da far venire qui, soldi in debito da brutta gente, costose operazioni a cui sottoporvi eccetera eccetera eccetera.
Rivuoi indietro i tuoi soldi ? Posso farteli avere.
No, mai interessati molto i soldi.
E allora ? Ti dirò i nomi degli altri due…
Nemmeno.
E cosa vuoi ? Perché mi fai questo ?
Voglio una risposta ad una seconda domanda: credi che per un solo istante io sia stato in tuo gioco ?
Non ho capito.
Credi davvero che io abbia creduto minimamente alle tue parole mentre ti strusciavi addosso per poi raffreddarti al solo pensiero di tua sorella mentre moriva di fame ?
Sì. Il pianto cominciò a farsi strada, questa volta un pianto vero. Una vittoria per lui, il piacere che provava aumentò a dismisura.
Sbagliato, l’ho sempre saputo chi eri e che volevi.
E allora perché mi hai dato i soldi ? Perché sei stato attorno a me ? Chiese urlando tra il pianto.
Brava, la terza domanda è la tua e la risposta è la mia.
Porto le mani verso la sacca, aprì la cerniera e tiro via un fucile da caccia tenuto a lucido. Gli occhi di lei fissavano la canna con orrore.
Sono stato al tuo gioco perché era esattamente quello che volevo, non vedevo l’ora di stare qui difronte a te con lui in mano.
Non capisco.
Come dire, ognuno ha il suo modo di passare il tempo, il mio è occuparmi di quelle come te. Anche se mi serve un alibi per quella roba della coscienza. Unisco il divertimento alla convinzione di fare qualcosa per il mondo.
Il tuo errore non è stato capire cosa io volessi veramente.
Altro lungo silenzio. Lei ripassava in mente la sua risposta, non aveva capito molto.
Si alzò, lei cominciò ad agitarsi cadendo rovinosamente a terra con la sedia, senti un secco crack! e un forte dolore venire dal polso destro ma non gli diede importanza, troppo impegnata a supplicare e promettere soluzioni vantaggiose sparando mille parole al secondo ma fu zittita dal gesto di lui che si chinò e delicatamente le diede baciò al lato della fronte.
Sappi che questa non è una vendetta, è una punizione.
Senti un freddo metallico nel punto dove l’aveva baciata.

Slon

A volte anche la merda è utile; in questo caso da una spinta a continuare a non perdere l’abitudine nel postare qui, come per ricordarti che hai sempre un “impegno” e che averlo ti fa piacere.
Quindi godetevi ‘sta merda di una pagina e mezza di Office.
E sappiate che questo non è un racconto degno di questo blog, ma appunto è ‘na merda.

Ringrazio gli altri due stronzi che scrivono qui, voi sapete il perché. Avete continuato aspettando me (cit.)
Grazie davvero.

Un sorriso anche a Mr Black che ha fatto l’ospitata, per gli altri quaquaraquà: vergogna, siete solo chiacchiere e distintivo =(

Slonna

4 thoughts on “La punizione

  1. Aslo: non è caratteristico tornare con un racconto di un sociopatico che aspetta un’occasione per headshottare una donna ?

    Slon

  2. Davvero un piacere leggerti di nuovo “Slon”
    e concordo con “K” l’espressione ” quella roba della coscienza….”
    mi è piaciuta molto!!! ^ ^

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.