LeClan

Il basso è caldo, lento, profondo.
Si muove con calma e grazia, avvolgendo ogni sobborgo del sentire.
Un accenno di batteria lo segue, ritmico e discreto.
Un piano dice la sua ogni tanto, semplice ma d’effetto.
E, quando meno te lo aspetti, fuori tempo, un sassofono si infila in mezzo a spallate.
E’ un jazz improvvisato, ma con sonorità da rock cupo, che ben si sposa alla personalità marcia del locale.
Un’alchimia di luci viranti al blu riveste l’atmosfera, esaltando le zone d’ombra, il fumo che nuota lento nell’aria, i movimenti sinuosi delle persone.
Perchè di persone è pieno, sto cesso sotterraneo. Bussi a una porticina anonima in un casolare di periferia, fai il nome di qualcuno, passi attraverso tre buttafuori con un metal detector…e ti ritrovi tre interi piani sotto l’asfalto di vera depravazione notturna. Una sola entrata, alla faccia delle norme sulla sicurezza. Non che debbano avere tanti controlli da queste parti: il gestore c’ha gli amichetti giusti. E sicuramente anche i nemici giusti, dato che sono qui.

Faccio un giretto senza dare nell’occhio, mi faccio un’idea della planimetria del posto. Il locale apre alle quattro, e il primo piano è ancora abbastanza tranquillo. Al secondo invece si fa già fatica a camminare, la gente ci dà dentro, beve, balla, tira, si fa spompinare nei divanetti. Guardo l’ora, le quattro e trentanove. In perfetto orario. Cerco il bagno, è in fondo a destra. Ci avete mai fatto caso? E’ sempre in fondo a destra.

Il cesso degli uomini è una piccola stanzetta squallida a L, scrigno di fetori indimenticabili. Due tizi pisciano negli orinatoi. Un altro piscia sul muro. In fondo, appoggiato alla parete dietro l’angolo, trovo quello che dovrebbe essere il mio uomo, vestito in modo trasandato. Ha una faccia che sembra una crêpe surgelata, giallastra e piena di puntini bianchi, quasi fosforescenti. Dev’essere l’effetto della roba che inizia a salire. Trattengo un ghigno e mi avvicino. La crêpe mi parla.

“Cerchi qualcosa, bello?”

“Sì. Qualcosa che faccia male.”

“Ouuu, sei tu allora. Cazzo, ti immaginavo diverso. Più alto. Beh comunque eccoci. Io qui sono di casa, non è stato un problema portare la roba. Cazzo, che storie! Sai ne ho viste di merdate, ma non avevo mai incontrato un ki-”

“Chiudi quella bocca di merda.”

Nell’istante in cui smette di gesticolare, lo prendo per il collo e premo dove so io.
Crêpe sbianca all’istante. Lo fisso negli occhi e quasi mi aspetto che mi caghi sulle scarpe.

“Cos’è, pensi sia divertente? Non lo è. Ora fai quello per cui sei stato pagato e ti sigilli quella fogna, prima che ti asporti fisicamente il pezzo di cervello in cui ti sei convinto di avermi mai visto.”

Sento dentro un’ondata di calore elettrico che mi sale alla testa, e mollo la presa prima di fare danni. Il tizio ha le lacrime agli occhi. Lo lascio tossire in pace.

“Ok..ok bello. Quello che vuoi. Non voglio casini.”

Si infila la mano sotto la felpa e mi passa il pezzo con timore reverenziale.

Capisco subito dal peso che è carica, ma scarrello comunque per sicurezza. Un nove millimetri mi fa l’occhiolino dalla sua culla di polimero. Me la infilo nella cintura, sotto la giacca.

“Scusa…scusa, cazzo davvero. Oh, sei fortunato che ero qua ad aspettarti, eh? Non ti ci vedevo, a rovistare nella merda.”

“Cosa?”

“Dai, Al Pacino, quando prende la pistola nel cesso, e poi spara in faccia allo sbirro. Il padrino, bello. Non l’hai visto?”

“Sparisci.”

Crêpe sparisce. Mi annoto mentalmente di informarmi su di lui. Mi annoto anche di non farmi più convincere ad usare estranei. Piuttosto, d’ora in poi ammazzo la gente a morsi.

Mi sciacquo la faccia, con calma, nessuno ha fatto caso a noi. Sono le quattro e quarantasei. La testa mi si fa leggera. I suoni sono diversi ora, è come se non arrivassero più da fuori, ma da dentro di me. I colori, è come se si fossero staccati dal loro solito posto, e se ne andassero a zonzo da soli tra le cose.

Dio, quanto amo gli acidi. Continuo a ripetermi che mi servono solo per aiutarmi a fare quello che faccio, ma la realtà è che vado pazzo per questa merda. Mi accorgo di stare ridacchiando, e non faccio proprio nulla per smettere.

Esco dal cesso, mi infilo nella folla. E’ bello andare a lavorare con un sorriso.

K

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