L’Intersecatrice (V)

Pensavo di girarmi ed affrontarla con un respiro regolare, un sorriso sornione, forse addirittura una battuta pronta, quasi a dimostrare che no, non avevo paura, che sì, ero padrone di me, e che forse, forse ero capace di capire, di ascoltare, di vedere oltre, fare miei i suoi segreti provenienti dall’aldilà o dal vudù o dal….

Ma quando mi trovai di fronte un vecchietto arzillo, vestito di bianco e di un paio di piccoli occhialetti tondi, dal sorriso astuto e sottile e dagli occhi azzurri incredibilmente profondi, qualsiasi impalcatura mentale mi fossi costruito crollò come un origami sotto una tonnellata di rifiuti tossici.

“Mi preferivi prima, eh? Dì la verità, dilla.”

La voce era ancora quella di Laura. Io mi sentivo assolutamente svuotato da ogni  sensazione. Pensai che avrei dovuto guardarmi attorno, studiare il vecchio, trovare l’inghippo; ma la verità è che semplicemente non ce la facevo più. Troppe cose, troppi avvenimenti pesavano sulla mia lucidità, troppo stress emotivo che mi rosicchiava i tendini della mente, costringendomi a cadere giù.

E caddi, seduto a gambe larghe al centro di quella strada notturna di periferia.

“Vabè. Basta. Ammazzami.”

La voce di Laura rise di gusto (basta chiamarla così. Quella non è Laura. Non è nemmeno un vecchietto. Non vuoi sapere cos’è. Non dire più nulla.)

“Ucciderti? E perchè mai dovrei? Sei simpatico.”

Fece qualche passo e si accovacciò di fronte a me. Fu uno strano confronto, tra me e questa presenza inspiegabile, seduti l’uno di fronte all’altro nel mezzo di una strada dimenticata dai sogni. Il buio fluttuava discreto attorno a noi, e sembrava quasi rassicurarmi, sembrava sussurrare “sssch, va tutto bene, fra poco sarà tutto finito, e nessuno saprà mai niente di quello che è successo. Nessuno sa mai niente, di quello che succede.”

Quando la cosa mi parlò di nuovo, lo fece con una voce diversa. Una voce particolarissima e inquietante, rauca, sottile e scivolosa, una voce che aveva un che di infantile, un che di sofferente, un che di malizioso,  un che di indifferente. Non avevo mai sentito, nè sono sicuro sentirò mai dopo quella volta, un timbro di voce simile. Chiusi gli occhi, e ascoltai.

“Non ci sono spiegazioni. Perlomeno, non ce ne sono di adatte alla misura del tuo comprendere. Ho giocato con te. Perchè? Perchè mi annoiavo, perchè sei una persona interessante. Pensavo potessi darmi più soddisfazioni, pensavo che avremmo giocato più a lungo e in un modo più intrigante, ma va comunque bene, ti sei comportato meglio di molti altri. Nel tessuto del creato non esistono divinità, eppure ti posso dire che la noia e la fantasia non sono concetti sconosciuti per loro. Non è mai esistito un banchiere che, maneggiando i soldi degli altri, non abbia mai fantasticato sul fatto che quel denaro potesse essere suo. E sono esistiti banchieri che sono andati oltre quel fantasticare. Ti ho usato, ti ho speso, facendoti passare dalla mia mano a quella dell’ignoto, pagando legittimamente una piccola dose di emozioni umane di cui sono goloso. Ma ora non sei più una mia responsabilità, la tua anima è di proprietà del Vago, e non so cosa sarà di te. Forse dimenticherai, forse impazzirai, forse butterai la tua vita cercando di comprendere quello che non ti è concesso. Non mi interessa. Ma c’è una cosa che forse può interessare te. Sei fuori dai conti, ora. Sei un numero che come per magia è scivolato fuori da una tabella di altri numeri, e che ora si chiede cosa sia. Il mio lavoro è intersecare, incollare e incrociare gli elementi dell’essere. E non voglio vederti mai più, e questo significa che sei fuori da ogni schema. Puoi fare tutto, puoi non fare niente. Sei come un ideogramma di una lingua sconosciuta, a margine di un elenco telefonico. Se sia una benedizione o una maledizione, decidilo tu. Non ti auguro nè bene nè male, perchè questi sono concetti puramente umani, e io non li ho mai capiti a fondo. In ogni caso, non c’è altro da dire. Spero di essere stato meno chiaro possibile.”

Il vecchio si mise carponi, e trotterellò verso di me. Mi prese la mano, e fece scorrere lentamente una lingua grinzosa sul mio palmo. Ricordai improvvisamente come (Laura?) fosse solita farlo, quando eravamo a letto assieme. In quei momenti la cosa mi eccitava. Ora, non potevo far altro che rabbrividire.

Il vecchio si alzò, mi diede le spalle e camminò lentamente verso il buio. Dopo pochi secondi, era sparito. Tutto quello che restava, era il vago ronzio elettrico delle luci dei capannoni vuoti.

Chinai il capo, le lacrime che scendevano discrete.

Kire 

 

 

4 thoughts on “L’Intersecatrice (V)

  1. Uff, finito. Natostanco, ritmo e stile incostante, nopiace. Ma ora che conosco la storia, mi riservo di riscriverla in bello più avanti. Ciao.

    K

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