Marginalia

E’ difficile descrivere lo sguardo di un uomo prossimo alla morte.

Marcus Maney, 42 anni, di professione veterinario, infelicemente sposato, senza figli, senza sogni, con pochi risparmi e ancor meno ricordi, non era mai morto e non aveva grandi esperienze in merito. Eppure, non avrebbe saputo in che altro modo interpretare l’espressione del barbone che in quel momento quasi appoggiava il proprio naso al suo, occupando la totalità del suo campo visivo.

Un’altra persona sarebbe indietreggiata all’istante; un’altra persona avrebbe almeno fatto una smorfia di disgusto, in risposta ai denti marci e al vivace fetore del senzatetto.
Marcus Maney invece rimase immobile, ammaliato da quegli occhi così consapevoli, così folli. Una sorta di panico mischiato a fascino morboso lo incatenava a quel particolare momento. Il sole della periferia era tramontato ormai da un pezzo, ma la strada era ancora avvolta in una luce pallida e pigra, che sembrava essersi dimenticata dei suoi impegni altrove.

“Rispondi. Ti ho forse chiesto dei soldi?”

La voce del clochard era roca e piena di sincera indignazione. Il suo sguardo finalmente si abbassò per un secondo, e Marcus lasciò libero il respiro che stava trattenendo senza nemmeno rendersene conto. Ai loro piedi, la moneta da 50 pence li osservava con fare indifferente. In fondo alla strada stava passando un uomo a cui una volta una tigre del Sumatra aveva strappato anulare e mignolo, ma nessuno ci fece caso.

“Non ti ho chiesto dei soldi. Non ci sono cartelli. Stavo seduto a terra a pensare. Non hai nemmeno rallentato, lasciando la moneta. L’hai gettata come fosse un fazzoletto nei rifiuti. Perchè? “

Ancora, Marcus Maney non rispose. Il pensiero di protestare, di dire che lo stava facendo per semplice cortesia, per abitudine metropolitana magari, non lo sfiorò nemmeno. Si sentiva, inspiegabilmente, come se il mondo stesso avesse deciso di voltarsi dall’altra parte. Le schiene silenziose di ogni punto di riferimento conosciuto lo squadravano perplesse, come se dubitassero della sua stessa esistenza. Lo assalì l’assurdo impulso di gridare, e con gli occhi lo fece, spalancandoli fino a far scricchiolare le palbebre, il suo sguardo lanciato verso il vagabondo come una folle auto in corsa senza freni.

“Mi ascolti? Sei drogato?”

“Ti ascolto. Non so cosa dire. Non capisco cosa mi succede. E’ come se fino a poco fa fossi stato impegnatissimo a fare qualcosa, ma non ricordo cosa. Non volevo offenderti. Credo di essermi appena ricordato di essere infelice.”

Diede la risposta tutto d’un fiato, come se spaventato dalla prospettiva di non averne poi molto ancora. Il finto senzatetto gli lanciò un’ultima occhiata sospettosa, poi sembrò rilassarsi un poco.

“E’ facile dimenticarsene. E’ un po’ il motivo per cui me ne stavo a pensare. Vieni, parliamo. Ma non qui, sei già il terzo che mi lancia addosso monete oggi. Seguimi.”

L’uomo rovinato iniziò a camminare, infilandosi in una laterale vicino senza controllare se Marcus lo stesse seguendo. Mentra si spostavano, quasi fluttuando nel sottobosco di vicoli del porto, il veterinario si rese conto che pur vivendo in quel quartiere da sette anni non aveva mai messo piede sopra quei ciottoli. Non si era mai preso la briga di sbirciare oltre ai margini della sua quotidianità, dando per scontato di aver qualcos’altro di meglio da fare. Il tempo era passato come sua abitudine, lento e veloce allo stesso tempo, come un aereo di linea appena oltre il layout dell’orizzonte. E ora si stavano fermando in uno stretto pontile isolato che si affacciava sul porto, il mare del nord che sembrava accucciarsi dietro il brutto profilo delle navi mercantili.

“Eccoci. Non proprio spettacolare, ma è la cosa più vicina ad un panorama, nei paraggi. Siediti.”

“Mi chiamo…”

“Non mi interessa il tuo nome. Parlami di quello che hai dimenticato.”

A Marcus non servì tempo per pensare ad una risposta. Le parole uscirono naturali, semplicemente, come se fossero state create solamente per essere usate in quel preciso momento.

“Quando ero piccolo, sedevo nel giardino fuori la casa dei miei nonni, Osservavo la luce del sole che filtrava tra le foglie della grande quercia, e mi chiedevo come funzionasse. Il sole, intendo. Non lo sapevo, ma avevo la rassicurante certezza che un giorno l’avrei imparato. Non è mai successo. Non mi sono mai spostato da sotto quella quercia, e non ho idea di cosa sia importante e cosa no. Credo di essere spaventato.”

Rimasero alcuni minuti in silenzio. Se l’altro uomo l’aveva capito, anche solo ascoltato, non ne diede traccia. Poi iniziò a parlare, rivolto più al buio che a Marcus.

“Per gli ultimi 14 anni, fino a questa mattina, sono stato constantemente dipendente dall’eroina. Un fantasma completo, il cui corpo si divorava da solo. La mia famiglia mi ha ripudiato. Tutti i miei amici, quelli della mia adolescenza, perchè poi non sono più riuscito a farmene di nuovi, sono morti, o in galera, o semplicemente non vogliono avere più nulla a che fare con me. La mia vita è una pozzanghera che non si asciuga mai, che nessuno calpesta. Questa mattina presto ho preso una dose e ho deciso che sarebbe stata l’ultima. Fra non molto cominceranno i brividi, ma non è quello che mi spaventa. Mi spaventa cosa farò dopo, una volta passate le crisi. Non ho idea di cosa, e come, cominciare. Ho buttato via talmente tanto tempo che l’idea di decidere come usarlo mi risulta aliena. Non so come si vive. Ma credo di volerlo fare.”

Prima che l’ultima parola avesse il tempo di posarsi sull’acqua, il vagabondo si alzò e si incamminò senza lasciare nient’altro dietro di sé oltre all’eco di una distorta speranza. Marcus lo seguì con lo sguardo fino a quando non sparì dietro ad un capannone. Non lo rivide mai più, e non seppe mai se riuscì a raggiungere il suo obiettivo.

Quanto a lui, non lo sapeva. Forse ora sarebbe cambiato tutto, o niente. L’unica cosa di cui era certo, una determinazione mai provata prima, la voglia di capire come funzionasse il sole. E se non l’avesse capito, avrebbe cercato oltre i bordi delle pagine, in cerca di una nota lasciata da altri lettori. E avrebbe capito, se non il perchè, almeno il come.

O almeno, così sperava. E sperare era già molto di più di tutto quello che avesse fatto fino a quel momento.

Kire

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