Mari

Tutto comincia con il chiacchericcio delle onde.

L’oceano è tranquillo oggi, respira piano. Non è lui a svegliare Mari. I suoi occhi grandi e opachi si spalancano e trovano il mondo a cui è abituata, ma questo non è abbastanza per calmarla. Non si è mai sentita cosi. Tutto è….

Mari non è brava con le parole ma non importa, nessuno saprebbe descrivere adeguatamente cosa si prova nel vivere per la prima volta un’esperienza onirica.. E davvero Mari non aveva mai sognato prima d’ora, e se lo faceva, non se ne era mai accorta. Il sogno è arrivato senza preavviso, straniero eppure a suo agio, impossibile eppure realistico. L’affanno e l’ eccitazione e il terrore e la curiosità e l’euforia e la confusione e il resto di quelle emozioni a cui nessuno si è mai preso la briga di dare un nome, tutto si muove dentro di lei, tutto è…

Tutto è uguale, al prima e al dopo. Familiare. Il faro abbandonato di New Haven non è affatto una località sconosciuta, comunque la lunga camminata necessaria per arrivarci è sufficiente a scoraggiare i più, e resta un posto relativamente tranquillo. Mari viene spesso qui, nei pomeriggi senza vento. Le piace camminare dolcemente sulle pietre nere del molo, annusare gli odori ancestrali dell’oceano che le è proibito e sconosciuto, le piace distendersi a sonnecchiare all’ombra di quella torre strana e fuori dal tempo. Tutto è come al solito, Mari dorme nel sogno come sta dormendo nella realtà, almeno fino a quando comincia il tremore. Mari non è brava con le parole ma non importa, dentro di lei sa che l’oceano si è alzato dal suo vecchio letto e le sta venendo incontro. Spalanca gli occhi grandi e opachi, curiosa suo malgrado di vedere come corre un oceano folle, ma l’oceano è immobile, non c’è nessuno tsunami, ma il tremore continua, e solo ora capisce che le onde stanno arrivando ma da dietro di lei, è la terraferma che si è alzata e le sta correndo incontro impazzita, scrollandosi di dosso quello che ci piace considerare immobile e indiscutibile, e gli occhi di Mari non possono spalancarsi abbastanza per concepire ogni dettaglio, ogni finestra infranta di ogni palazzo scaraventato nel cielo, ogni persona e ogni auto e ogni lettera mai letta muoversi in ogni traiettoria mai considerata, e ormai l’enorme ombra di tutta questa follia la raggiunge e l’abbraccia, quasi volesse proteggerla da cosa sta accadendo, e poi

C’è un rumore di passi che si avvicina, ora lo sente, e l’istinto la strappa suo malgrado al ricordo dell’esperienza. Un ragazzo, a una ventina di metri, non si è accorto di lei, cammina fino al culmine del molo di pietre, lo vede sedersi e accendersi una sigaretta e rimanere immobile senza fumarla, impegnato a parlare con l’oceano o forse con sè stesso. Mari si alza. L’adrenalina sta sfumando, ma qualcos’altro le rimane dentro, una parola che non conosce.. Apre la bocca e quello che esce è un lungo gemito, anzi quasi un ululato, un suono senza senso rivolto alle cose immobili e indiscutibili, a tutto quello che crediamo di comprendere.

Il ragazzo la sta guardando ora. Ha una certa aria triste ma le sorride, le fa cenno di avvicinarsi. Mari tende i muscoli, non si è mai fidata degli uomini, eppure comincia camminare lentamente e gli si siede accanto. E c’è un attimo di nervosismo quando lui la accarezza, ma passa subito. Lo lascia fare, sente la sua mano scorrere nel pelo folto della nuca, e lei appoggia il muso sulle zampe, chiude gli occhi e muove timidamente la coda perchè adesso, fosse anche solo per alcuni minuti, tutto quanto ha finalmente un nome.

K

 

 

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