Non sei tu che non cachi, ma gli altri che ti hanno emarginato (ldcds ospita)

Tutti abbiamo dei problemi, grossi o piccoli che siano, il difficile sta nell’inquadrarli, quando ti capita, la più piccola delle cagate sembra un grosso guaio.
Domande e dubbi che stanno nascosti nel nostro ipotalamo come troll sotto ad un ponte durante il giorno, la notte invece escono, appena poggi la testa sul cuscino li senti li che mormorano.
Sei un fallito bello mio, non combinerai un bel cazzo di niente, uno di questi giorni ci farai un buco nel tetto con una bella canna rigata. Cosa credi che sia il bozzo che senti quando ti fai la barba?
E via di questo passo.
Ma c’è un problema che mi interessa in particolare, è quello che aveva Luigi Melloni.
Luigi Melloni era nato vicino Pavona nel 1983 da un’umile famiglia di contadini, e con contadini non intendo gente che lavora la terra, ma chi ci campa con quello che sputa il proprio fazzoletto ghiaioso e pieno di erba cattiva.
Luigi crebbe insensibile a quel mondo, odiava ogni cosa: ogni rastrello, vanga, trattorino, cane pulcioso e cafone che abitava nella sua casa o una qualsiasi nei dintorni. Per questo decise di studiare, per andarsene.
Entrò a ragioneria si diplomò e tanti saluti a bidonville.
Con i pochi risparmi che aveva prese un piccolo appartamento in affitto a Santa Palomba e fece sciogliere bracciali e catene d’oro (regalo sudato con ore di interminabili sproloqui religiosi e pittoresce feste a base di ostia) per avere un gruzzoletto con cui cominciare una nuova vita.
Senza fatica trovò un lavoro decente e pure una ragazza, mediocre per gli standard cittadini ma che lui trovava bellissima e speciale, lontana anni luce dalle buzzicone coi baffi che vivevano dalle sue parti o dalle coatte stupide e sciape che infestavano piazza Berlinguer.
La sua vita stava prendendo per la prima volta una direzione che lo soddisfava, ma soprattutto, di cui aveva il controllo.
Il Ragionier Melloni però non era felice, preso dal lavoro non lo notò subito, ma col passare dei giorni e delle settimane il suo problema divenne palese.
Luigi non cacava.
Se ne accorse una mattina di Settembre, preso di sorpresa dall’inaspettato fresco mattutino dopo un’estate torrida, non sentì il classico stimolo alla prima boccata di tabacco (viziaccio preso al lavoro) e si stranì.
Quando è stata l’ultima volta, Sabato o forse Venerdì?
Sembrava assurdo, eppure non ricordava con precisione.
– Cos’hai Melloni?, gli chiedevano i colleghi, – sei pallido, contestavano.
– Quanti caffè abbiamo intenzione di prendere Ragioniere? Incalzava il Dottor Nanni, socio anziano dello studio e rompicoglioni di settimo dan.
-Stamattina l’ha passata tutta alla macchinetta, la pago per far di conto non per macchiarsi i denti.
Ma cosa poteva rispondere il povero cristo?
Dottore non caco da non so quanto, davvero non lo so più neanche io, 4 caffè e 15 sigarette non sento nemmeno un brontolio e ora mi brucia pure lo stomaco.
No, no, meglio tacere, chiedere scusa e non pensarci, tornato a casa un bel lassativo e passa la paura.
Ma due blister e cinque giorni dopo non passò un bel niente dallo sfintere del povero Luigi, i muscoli dell’addome erano duri e contratti come pelle di tamburo, faceva fatica a sedersi, ad alzarsi dal letto e a camminare, inoltre per diretta conseguenza aveva anche smesso di mangiare, non c’era posto nel suo corpo magro da zappatore per quel mare di cacca, dove diamine si stava nascondendo? Era per via delle settimane di pranzi di volata e cene riscaldate?
In ogni caso non avrebbe rischiato di peggiorare ulteriormente la situazione ingerendo altro cibo.
Passarono altri giorni e , stanco di soffrire, pensò di agire direttamente e fisicamente sul problema, si sedette sulla tazza e cominciò a spingere e spingere, niente, per quanto sudasse e sentisse il cuore battere più svelto di tre tempi non riusciva a smuovere nulla, disperato infranse il più sacro dei tabù degli eterosessuali timorati di dio, lentamente ma con decisione cominciò ad esplorare il suo retto.
Ansimante e preoccupato muoveva il suo indice come un salmone su per una cascata, ma il canale era vuoto – Figlio di una cagnà! Esclamò, arrivato a quel punto non poteva certo arrendersi, qualcosa DOVEVA trovare, spinse ancora più in fondo passando al dito medio, il centimetro di differenza fruttò l’agoniato contatto, c’era, era li.
-Si, Dio grazie, si, si, si!
Ringraziò i suoi avi, la Madonna e i pochi santi che ricordava, le lacrime gli rigavano il volto e gocciolavano sul tappeto di pelo marrone, riempiendogli le cavità facciali di muco chiaro.
La gioia, aimè, si interruppe quando tastò meglio. Non poteva essere roba sua.
Era dura come la pietra e sembrava avesse una sorta di rilievo, sbiancò terrorizzato e iniziò a sudare freddo senza smettere di singhiozzare, preso dal panico afferrò la matita che teneva accanto alla tazza insieme alle parole crociate, e la usò come sonda per spostare il corpo estraneo, si fece forza e cercò di scalzarlo dalle pareti del suo colon senza pensare a cosa fosse e come fosse finita li. Finalmente ottenne una presa solida, iniziò a tirare e tirare ignorando il dolore e la paura, il suo ano, ormai dilatato all’inverosimile, ospitava tutte e 5 le dita ma non era ancora abbastanza largo per quella cosa. Luigi prese un grosso respiro, morse il colletto della sua t-shirt Italia 90 e diede uno strattone. L’oggetto gli scivolò dalle dita e finì nella tazza tintinnando, lo sforzo e il dolore gli causarono uno spasmo facendolo rizzare sulle gambe intorpidite dal tempo passato sulla tazza, scivolò sul pavimento bagnato e cadde in avanti battendo la sua zucca pallida sul bidet sbeccato. Riavutosi, chissà quante ore dopo, cominciò a guardarsi intorno con un solo occhio aperto e la faccia ancora a contatto con le piastrelle smaltate del bagno, il sole freddo delle 6:00 antimeridiane filtrava dalla tapparella semi aperta. Con non poca fatica si staccò dal pavimento facendosi forza con le sue braccia flaccide, sentiva qualcosa di secco sulla faccia e a giudicare dalla silhouette marrone che aveva lasciato sul pavimento doveva essere il suo sangue.
Si sciacquo la bocca e il volto nel bidet osservando il suo riflesso macellato sul rubinetto di metallo lucido, aveva un sopracciglio gonfio e spaccato che gli teneva chiuso l’occhio destro.
Stava quasi per andarsene pretendendo di aver scordato la situazione che lo aveva portato a ridursi così, ma come poteva dimenticare? Quell’affare era ancora nel water.
Ingoiando una noce di saliva si sporse sulla tazza per controllarne il contenuto, tra i vari pezzetti di escrementi e il sangue una moneta dorata grande come un CD faceva capolino sbrilluccicando, aveva un grosso “1” impresso sulla faccia visibile.
Luigi chiuse il coperchio del water lasciandola lì, come un aborto nel bagno di un autogrill, e senza dire una parola si tolse i vestiti e si gettò sul letto sfatto a fissare il termosifone.
Là rimase, ignorando gli squilli del telefono, il suono del citofono, i morsi della fame e le domande che gli ronzavano in testa, fino a quando il sole se ne tornò a nanna e anche lui riusci a chiudere gli occhi sprofondando in un sonno febbricitante e pieno di paura.
Luigi non ricordava stesse facendo alcun sogno, quando una sensazione dolorosa e familiare gli colpì le viscere nel pieno della notte svegliandolo. Dopo ere geologiche il suo intestino si stava muovendo, da una parte si sentiva felice, dall’altra il ricordo della sera precedente e il fatto che chiaramente non avrebbe raggiunto la tazza in tempo lo preoccupavano non poco.
Per sua fortuna il dilemma non durò a lungo, un doloroso fiotto di diarrea esplose dal suo fondoschiena superando la debole barriera della coperta e si infranse sulla parete come un disgustoso fuoco d’artificio. Con la voce strozzata e trattenendo il respiro, Luigi attese che il suo intestino si contraesse ancora tre volte, sputando qualcosa di solido, prima di prendere fiato.
Affannato, e con la testa che gli girava per lo sforzo e l’odore pungente, sollevò la coperta, immersi nella brodaglia marrone c’erano una grossa chiave blu, la coppia di ciliege più grandi che avesse mai visto e una specie di smeraldo.
Velocemente appallottolò tutto e lo lanciò fuori dalla finestra, pentendosene un microsecondo dopo quando il contatto fasullo tra i suoi neuroni si aggiustò ricordandogli che la sua finestra dava nel cortile interno e c’erano ben pochi posti da cui quello schifo poteva essere uscito.
Nelle condizioni in cui era si sorprese di preoccuparsi ancora delle apparenze, sarebbe senza dubbio dovuto andare in un ospedale per quella storia e raccontare che cacava roba che sembrava uscita dallo scrigno di un pirata, decine di medici l’avrebbero esaminato, luminari provenieni da tutto il paese, e forse pure da fuori, dall’America! L’avrebbero messo sulla copertina di qualche rivista medica o, come minimo, in un trafiletto di Metro con scritte solo le iniziali e tutti i suoi dati personali, di modo che la gente possa dire di conoscerlo.
Rabbrividì al pensiero, ringraziando che il portinaio fosse un lavoro morto con la carriera di Jerry Calà e che nessuno avrebbe mai sospettato che lui, con quei modi formali ed eleganti, lanciasse palle di merda dalla finestra, la colpa sarebbe di certo andata a Claudio Rosi, il dodicenne asmatico e mezzo scemo che viveva al piano di sopra, oddio che fosse mezzo scemo lo sospettava lui, non è che ci fossero prove tangibili, ma una volta l’aveva visto urlare qualcosa e fingere di sparare fulmini dalle dita e tanto gli bastava.
Stavolta Luigi non si chiuse nella contemplazione muta, partì diretto a pulire ogni singolo angolo della camera e del bagno (non sollevò però la tavoletta) e, all’alba, si concesse una doccia.
L’orrore pareva finito, stava meglio e sentiva il suo intestino borbottare felice per lo spazio conquistato con il terrore e col sangue, guardò un per un po’ la televisione finchè alla terza replica di uno spot di coperte con le maniche, crollò distrutto sul divano.
La fase REM si manifesto al Melloni in tutta la sua grazia elefantina, treni a vapore entravano e uscivano dal suo ano martoriato, fiumi di cacca macchiavano ogni cosa con croste dure come la pietra. Il trillo odioso del citofono fu per una volta gradito e lo strappò da quella tortura.
Con la testa che girava, come fosse avvitata poco stretta, sollevò la cornetta a muro.
– Prant, disse, ma come era ovvio pronto non lo era.
– Luigi?
– Siiii?
– Luigi sono io, ma che cazzo di fine hai fatto? , era Carmela la sua ragazza, -perchè non rispondi al cellulare? Ci hai fatto preoccupare tutti.
– Tutti chi?
– Come tutti chi? Me, i tuoi genitori, al lavoro, Fabio mi ha detto che il Dottor Nanni è incazzatissimo, gli potevi fare almeno una telefonata!
– Fabio? E chi è Fabio? , chiese ragionevolmente sorpreso, non conosceva nessuno che si chiamasse così.
– Ma stai male davvero, Fabio Cima!
Fabio Cima, noto ai più come “Il Cimone”, era il collega in assoluto più odiato da Luigi, una creatura subumana con mani pelose come ascelle e una mascella che sembrava scolpita da uno che non aveva voglia di lavorare. Frase preferita: “Questa me la scopo”.
– epperchecazzocimahailtuonumero
– Ehhh? Ma come parli? Dai fammi salire che hai bisogno di aiuto.
Luigi fu in grado di rispondere solo con un – Mh e alzò l’indice per schiacciare il pulsante d’apertura, a pochi millimetri dalla pressione gli tornò in mente cosa nascondeva la tazza.
Chissà quanto vale quel coso.
– Noo senti non puoi salire, e poi qui è un macello, sono contagioso e… , la frase gli morì in bocca Dio…
– Luigi ma che hai? Mi stai spaventando.
Attaccò la cornetta tremando, se quello della notte prima era stato il trailer che anticipa il film, ora sentiva avvicinarsi il grande slam, lo strizzone che avrebbe messo fine a tutti gli strizzoni, una cacofonia di mugolii interni ed esterni lo avvolse, si inginocchiò reggendosi lo stomaco e appena il citofono suono ancora, il suo intestino esplose.
Il getto, spaventosamente potente, attraversò il piccolo appartamento e si schiantò contro la porta a vetri oscurando parzialmente l’ambiente, la merda però non accennava a finire e Luigi poteva sentirla scorrere, calda come lo Stige.
Morirò, morirò qui nella mia merda e tutti penseranno che mi sono intasato l’intestino ficcandomi roba nel culo finchè non è esploso, tutti sapranno che quel lenzuolo l’ho tirato io.
Qualcosa d’incredibile e spaventoso interruppe il torrente di paranoie di Luigi, sentiva qualcosa muoversi dentro di lui, qualcosa che spingeva per uscire, qualcosa di vivo.
Immediatamente si girò sulla schiena e cercò di opporre resistenza a quella forza dirompente: serrò le gambe, strinse le chiappe e addirittura arrivò a tapparsi l’uscita con le mani, ma tutto fu vano.
Le sue difese si infransero con un tremito quando un fascio di luce blu elettrico scaturì dal suo ano allargandosi in un cono e una figura umana ne uscì urlando.
– IT’S A MEEERDA! disse sorpresa.
– Claudio ma che hai combinato? Guarda qua che schifo! E che puzza!
Luigi era impietrito, non sapeva cosa dire o che fare. Lo biasimate?
Quando racconto questa storia c’è sempre qualcuno che avrebbe saputo perfettamente come comportarsi. Se fossi stato io. Bhe al suo posto io.
Stronzate, avreste detto la stessa cosa che disse Luigi.
– Ma io non mi chiamo Claudio.
– Cosa? -la figura lo fissò sorpresa.
Scesa l’adrenalina e abituati gli occhi alla semi oscurità marroncina, riuscì a metterlo a fuoco.
Era un tipo grassoccio e basso, con dei grossi baffi neri, un cappello ridicolo, grossi guanti da clown e un’orribile salopette di jeans con sotto una maglietta rossa, sembrava del sud e lo fissava con un’espressione severa ed i pugni piantati sui fianchi.
– Come sarebbe a dire non ti chiami Claudio? E come ti chiami?
– Luigi, Luigi Melloni. rispose.
– LUIGI! E che hai hai combinato ragazzo? Sarei dovuto uscire dalla console di un bambino disilluso, te mi sembri un po’ grandicello per essere un bambino.
– Io cosa ho combinato? Hai idea di cosa ho passato per questa COSA, perchè diamine sei usciti dal mio culo?
– Non saprei giovanotto ma se è andata così ci deve esse certamente una ragione, sei stato scelto per riportare l’armonia nel Regno di…
– No, no, guarda, ti fermo qui che ho già capito, voglio che tu e qualsiasi altra cosa sia rimasta dentro di me ve ne andiate da casa mia in particolare e dalla mia vita in generale, non ho idea di chi tu sia ma che sei un accollo l’ho capito dal momento che mi sei uscito dal culo, a dire il vero l’ho sentito quando eri ancora dentro, deve essere quello che chiamano istinto materno.
– Ma come fai a non sapere chi sono? Lo sanno tutti! E poi non sei curioso di sentire cosa ho da dire?
Luigi cominciò a spazientirsi, si alzò in piedi e prese a camminare verso l’invasore che lo guardò come si guarda solo qualcuno che è coperto di merda.
– Sono curioso di sapere se ho ancora un lavoro, sono curioso di sapere se la mia ragazza si fa uno che potrebbe riempire una piscina con il suo testosterone e sono curioso di sentire se il mio culo farà ancora un suono quando scureggio. Del resto non m’importa.
Finito di parlare afferrò la maniglia della porta e la spinse verso il basso, i cardini cigolarono e la luce delle scale illuminò il soggiorno.
– Fuori, sillabò con tono perentorio.
Lo sconosciuto si mosse come per parlare ma si rese conto subito che non era quello il caso che si poteva risolvere con un sorriso e una stretta di mano, mogio mogio uscì dalla porta e si avviò verso le scale.
– Posso riavere la mia moneta?
Luigi chiuse la porta senza rispondere, attese il tempo necessario per essere certi di non incontrare quel tizio per le scale e iniziò a prepararsi per il lavoro.
Tazzona di cappuccino, ennesima doccia, sbarbata ed era pronto.
Scese le scale di corsa con una fetta biscottata tra i denti, controllando continuamente l’orologio.
Uscito dal portone si gettò nella fredda mattina autunnale, schivando le sue lenzuola al centro del vialetto, si accese una sigaretta e guardò il cielo plumbeo e minaccioso, il vento gli scompigliava la cravatta annodata male e i palazzi intorno sembravano le gambe di giganti nascosti tra le nubi, pronti a pisciargli in testa.
Tirò una lunga boccata e si chiese se nel mondo su cui aveva sputato sarebbe stato caldo e al sicuro.

Mr. Black

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