Sarò ogni giorno con voi

Le lapidi ben disposte e il cielo arancione contornato da nuvole grigie e nere erano una gran bella istantanea.
Passeggiava tra i larghi viali del grande cimitero gustando il suono dei suoi passi, alternato dall’erba e dalla ghiaia, nel silenzio.
Non c’era mai nessuno lì.

“…ricordate…”

E lei non riusciva a trovare la motivazione delle sue visite.
A macinare passi tra le tombe calmava il vuoto che echeggiava nella sua testa.
Scorreva la zona vecchia dove c’erano tombe risalenti anche a due secoli prima, toccava le spesse lapidi in pietra leggendo tra le muffe date di morte e di nascita.
Esercitava la sua matematica, le piaceva calcolare l’età dei morti.

La sua tomba preferita era quella della famiglia Reed.
Era un grosso monolite di pietra alto quanto lei e forse anche più spesso di lei. Il colore originale era stato affogato dall’erosione e dal verde della muffa. Sopra il monolite troneggiava un angelo decapitato con le braccia protese in avanti, pronto ad accogliere l’anima di qualcuno.
Robert Joseph Reed era nato nel 1788 ed era morto nel 1866. Una lunga e precisa vita. Sua moglie, Anne, era nata nel 1812 e morta nel 1843 mentre dava alla luce il suo terzo figlio, nato morto e sepolto con lei sotto l’angelo decapitato. Il tempo aveva cancellato il suo nome dal monolite.La primogenita di Robert si chiamava Elizabeth, nata nel 1829 e morta nel 1836. Il secondogenito era Francis, nato nel 1831 morto nel 1847.
Ai piedi del monolite c’era scritto grande e ben leggibile: DIO CONCEDE E DIO TOGLIE.
Per lei era impossibile trovare il perché Dio avesse tolto tutto a Robert, se un uomo prende la vita di tre bambini e una donna si ritroverà spedito il culo al chiuso per sempre o peggio.
A Dio sono concesse troppe libertà.

Il percorso di ghiaia la portò più avanti.
Sette lapidi ben disposte avevano ceduto sul davanti appiattendosi nel terreno e guardando la stazza il loro tonfo aveva disturbato anche chi ci riposava sotto quel terreno. Probabilmente erano lì da anni, decine di anni. Non c’era nessun parente in vita che si preoccupasse della lapide del suo consanguineo.
Di fronte alle lapidi chinate c’era una panchina, le piaceva sedere lì e immaginarsi le lapidi inginocchiate al suo cospetto, un tributo dei morti a una donna ancora in vita.
Un rito religioso al contrario.

Mentre sedeva la leggera brezza che le pizzicava il collo annunciò l’avvicinarsi del buio.
Nella sua mente vuota il buio le ricordava il pericolo.

“La guerra ?” si chiese.

Scavò nella sua mente, tornando indietro nel tempo. Ritornò nel rifugio, tre sere prima. Era strano che non lo ricordasse.
Decine di uomini e donne e bambini erano inginocchiati davanti al prete che urlava il suo sermone di spalle e rivolto alla croce, la soffusa luce delle candele colorava l’atmosfera di un arancione come il cielo sopra la sua testa nel cimitero.
“…ricordate…” sembrava dire il prete, ma lei non badava a lui, stava parlando con una grassa donna quasi calva e priva di denti. La sigaretta che stava fumando aveva un sapore tosto e le bruciava la trachea fino ai polmoni.
La donna parlava mentre fumava con lei, non ricordava le parole ma ricordava il tema, lei ne aveva avuti tre… di bambini.
Lei era come Robert.
Non c’erano lacrime mentre parlava di figli morti, era un tema comune in quei tempi, come parlare di cani e gatti morti.
Il ricordo della guerra l’esplose in testa, si guardò le mani nere e callose, le vesti stracce e i tagli sulle gambe scoperte.
Dolori e paure si risvegliarono, così come l’urgenza di soddisfare il suo stomaco che ora era trafitto da un’ignobile fame.
“Lo spaccio…non hai soldi per lo spaccio” si disse.
Ricordò come pagava il cibo allo spaccio, ricordò il senso di nausea e d’odio e ricordò che il Signore era sempre con lei.

“…ricordate che il Signore sarà sempre con noi…” diceva il prete.
“…quanti ne hai avuti ?” chiedeva la donna.
“Due” rispondeva lei.

Le loro facce erano sepolte nella sua memoria tra le macerie della guerra.
“Non li hanno uccisi…” si disse “…è stato il colera” ricordò.
Sorridendo si alzò di scatto e cominciò a camminare verso l’ala est del grande cimitero, dove c’era la fossa comune.
Le sirene strillarono il pericolo, il lungo lamento inondò i vialetti d’erba e ghiaia ma lei non se ne curò, affrettò il passo, stava andando a far visita ai suoi figli.

Sotto la sfregiata statua del Redentore si estendeva il cerchio di pietre che delimitava la terra smossa.
“RICORDATE! IO SARO’ OGNI GIORNO CON VOI”, era inciso su una targa ai piedi del Redentore.

Sì chinò sul cerchio e parlò con loro.
Tutto era passato.

Slon

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