Sei

Non per niente ma pensaci. Allora ?
Non lo so, non fai prima a dirmelo ?
E dopo che gusto c’è scusa. Comunque è semplice dai, la più alta che mi sono scopato era un metro e sessantotto e già lì mi sentivo a disagio. Non mi piaceva il rapporto in scala, capisci a me.
No, non ti capisco.
Gesù! Sta lì la risposta, il rapporto in scala: adoro scoparmi le donne basse perché fa sembrare il mio cazzo mastodontico.
Quindi hai un cazzo piccolo.
No, ne ho uno nella media. Potresti chiedere a tua sorella se non fosse alta come una giraffa.
Strano, a dire il vero stavo per dire che la tua è una specie di perversione, tipo che sei un pedofilo represso e ti sfoghi così.
Ma che cazzo vai dicendo, non c’è niente di malato in me.
Per fortuna.
Mi piace avere questa sensazione, pensa che non compro un bagnoschiuma da anni, prendo quei piccoli flaconi omaggio che danno nei supermercati e quando faccio la doccia la sensazione è la stessa, è come se mi scopassi un nano: il mio cazzo sembra enorme.
E non la chiami perversione ?
No.
Non so, uno che davanti Biancaneve anziché scoparsi lei metterebbe a novanta, in fila d’avanti a se tutti e sette i nani…che dire ?
Non cogli il punto.
No.

La zona era isolata, i vecchi lampioni erano spenti così come i faretti al cancello d’ingresso.
Il complesso era abbandonato da anni, i capannoni svuotati dagli ufficiali giudiziari e da chiunque fosse passato lì con un carrello della spesa.
Loro erano in macchina, motore spento, nessuna luce eccetto quella riflessa dalla luna, libera da nuvole quella sera.
Attendevano “Il Tizio”, doveva uscire dal capannone che avevano difronte, dovevano fare finta di essere venuti a prenderlo ma non dovevano farlo salire nella macchina.
Ma Il Tizio ritardava e faceva freddo.

Sicuro che non possiamo accendere il motore ? Lui sa che siamo qui.
No, non voglio che qualcun altro oltre a lui lo sappia.
Sicuro che è da solo.
Sì.
Che ha fatto ?

Quella era la domanda più stupida da fare in quell’ambiente.
In quell’ambiente le domande non erano semplicemente pericolose, le domande erano proiettili.
Ora capì perché si trovava in macchina con lui.
In quell’ambiente dovevi saperti muovere.

Non lo so.
Nemmeno io, potrebbero dircelo almeno.
Non ci riguarda.
Sì ma almeno un po’ di considerazione.

E di considerazione lui ne avrebbe avuta stasera, come ne avevano avuta nei giorni scorsi.
C’era stata di sicuro un tavolo, qualcuno aveva chiesto, qualcuno aveva acconsentito ed eccoli lì: lui seduto a destra e l’altro a sinistra a tamburellale sul volante per vincere un po’ di noia.

Il Tizio uscì, l’altro stava già uscendo dell’auto.
Fermo! Lampeggia con gli abbaglianti, due volte.
Perché ?
Fallo e basta.

Lampeggiò due vole, Il Tizio fece un cenno con la mano, camminò verso l’auto.

Aspetta…

Il Tizio fu a pochi passi dall’auto.

Buttagli quei fari in faccia, accecalo!

Lo fece, nel mentre la prese, gliela poggiò sulla nuca e fece fuoco prima che l’altro potesse dire o fare qualcosa. Per un secondo vide il suo occhio destro voltarsi terrorizzato verso di lui.

Fu un fischio forte, lungo.
Portò la mano all’orecchio, lasciò cadere l’arma dal dolore. L’aria era densa del fumo e quell’odore accompagnato al fischio era troppo, quasi sradicò la maniglia aprendo lo sportello.
Si ritrovò fuori dall’auto un ginocchio a respirare.
Chinato c’era Il Tizio, dalle sue labbra lesse un “Che c’è ?”

Le mie orecchie.

Si alzo in piedi, girò attorno l’auto mentre aghi si conficcavano nei suoi timpani.
L’altro aveva la testa poggiata sul finestrino, non c’era una goccia di sangue, pulito. Solo grosse fratture sul vetro dovute al forte impatto dalla testa dopo il colpo.

L’Armaiolo l’aveva assicurato, ottimi proiettili per questo tipo di lavori. Abbastanza forti per entrare ma non per uscire e una volta dentro sbattono sulle pareti nel cranio, rimbalzando sopra e sotto, a destra e a sinistra finché non resta un frullato di cervello dove galleggiare.

Con una scusa che non senti pronunciare si allontanò dall’auto, “vado a pisciare” forse aveva detto.

Mentre camminava il fischio si attenuava, il rumore dei suoi passi sul terreno gli disse che non era diventato sordo.
Camminò per un po’, arrivo nel boschetto che costeggiava i capannoni e lì si sedette a terra prima di svenire. La nausea abbracciò tutto il suo corpo, il sudore colava a fiumi, la vista si anneriva voleva vomitare ma non aveva mangiato niente quel giorno.

Era sempre così, ogni volta, tutte e sei le volte.
Voleva dirsi che ora era normale, quel tizio lo conosceva da anni ma mentiva. Anche per i cinque sconosciuti prima di lui aveva avuto la stessa reazione.

Tornò indietro quando se la sentì.
Pisciare o cagare ? Gli chiese Il Tizio.
Tutte e due.
E cosa hai cagato, Marlon Brando ?

Si costrinse a ridere.

Ancora non arriva nessuno ?
No ma nel caso fossero arrivati ti avrei lasciato qui con la tua merda.

Nel mentre il SUV arrivò.

I due uomini salirono dietro, davanti c’erano altri due, quello seduto al lato passeggero sposto lo specchio retrovisore in modo da guardarlo in faccia.

Tutto a posto ? Chiese.
Sì.
Ti sta sanguinando l’orecchio.

Portò l’indice all’orecchio sinistro, era vero.

Niente di grave.

Sul ritorno incrociarono un carro attrezzi.

Sono i russi. Disse Il Tizio.
Non sono proprio russi, sono una specie di russi. Disse l’uomo alla guida.
Che vuol dire ?
Hai capito no ? Sono di lì vicino.
Lì vicino dove ?
Basta. Disse con calma l’uomo sul sedile passeggero e il silenzio scese nell’auto.

Non disse una parola, non fece una domanda, gli pseudorussi avrebbero cancellato ogni cosa, che senso aveva chiedere qualcosa ora ?
In quell’ambiente dovevi saperti muovere, quella era l’unica cosa ad avere un senso.

Slon

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