Con tutta la gentilezza (IV)

(Prima, durante, forse dopo, in ogni caso mai)

 (O, detta meno da stronzi, uno sguardo alle “puntate” precedenti)

 – Il Legale e il Randagio

(Frammento di interrogatorio. Origine: sconosciuta. Dagli archivi della prefettura contro i Crimini Universali, sezione: Uso improprio della ragione)

GRANTON: “Quindi…anche se non mi vuoi dire da chi, si può affermare che la cosa fosse stata organizzata.”

D: “Sì, direi, assolutamente, perlomeno nei primi stadi. Che poi la situazione sia sfuggita di mano…e poi conclusa in un modo così improbabile…intendo, è un altro discorso. Un discorso impegnativo, se mi capisci. Ma tutti noi eravamo lì per un motivo ben preciso.”

G.: “Lavoro.”

D. (alza le spalle e fa una smorfia, come se non gli piacesse la parola) “Come ti pare.” (pausa) “Sì, puoi scrivere così. Non è completamente esatto, ma non abbiamo tempo per fermarci su ogni parola. La vostra lingua è facile da imparare in sè, ma voi usate le parole in modo strano, cambiate il loro peso di volta in volta per motivi che non comprendo. Lavoro. Andiamo avanti.”

G.”Dove si è svolto esattamente lo scambio, e come?”

D.:”In una città chiamata Praga. Non ne avevo mai sentito parlare, prima. So che c’erano dei problemi in quel periodo…una specie di…” (gesticola in modo interrogativo)

G.: “Certo. La crisi, i disordini. Il ventidue fu proprio l’anno in cui il primo Default fu ufficializzato in quasi tutta Europa. Non ricordo scontri particolarmente duri a Praga, ma la situazione non doveva essere di certo rilassata…”

D.:”In realtà la città era abbastanza tranquilla, e non avemmo problemi di nessun tipo sul piano convenzionale. Lo scambio avvenne in una zona povera fuori città, con molte case alte tutte uguali. Pare che non ci fossero più…risorse…risorse?.”

G.:”Vuoi dire servizi. Probabilmente avevano già interrotto luce e acqua, in periferia.”

D.:”…Sì. Credo. In ogni caso per questo molti avevano abbandonato le loro case. La zona era quasi totalmente disabitata, fatta eccezione per un po’ di vagabondi qua e là. Quasi tutta la mia squadra attendeva in una di quelle case alte e vuote.”

G.:”Quanti eravate?”

D.:”Cinque.  Anche troppi per una…per un lavoro così semplice. Non farò nomi. Io, un canefinto e un temporaneo eravamo di scorta, dovevamo solo assicurarci che nessun estraneo intervenisse. Un uomo, uno dei vostri, faceva da interprete. Un Sicaridaee era incaricato di contattare discretamente il passeggero e portarlo da noi. Ci riuscì. Ci riescono quasi sempre. Aspettavamo loro.”

G.:”Chi era il passeggero?”

D.:”Non ne ho idea. Uno scrittore di qualche tipo, nessuno di importante, all’apparenza. Dovresti chiedere a qualcun altro, io non mi interessavo mai dell’identità dei passeggeri.”

G.:”L’avevate fatto molte altre volte?”

D.:”Sì, certo. Abbastanza da farmi venire tutto a noia e abbassare la guardia. Questo fu forse uno dei motivi per cui non reagii prontamente come avrei dovuto, anche se in fondo non avrebbe fatto nessuna differenza.”

G.:”Cosa andò storto, esattamente?”

D.:”Ecco…come ho già detto, qui la storia diventa complicata. Se mi capisci.”

(Il resto del documento è occultato.)

– Lo Scrittore e il Sicaridaee

Dopo la nostra conversazione in auto, dal mio strano accompagnatore non uscirono più parole nè suoni. Del fatto dei suoni, mi accorsi solo più tardi. Eravamo nell’atrio della palazzina. Non c’era illuminazione ma la tracotante luna piena, i frequenti lampi e il fatto che molte finestre fossero infrante o solo rimaste aperte facevano sì che potessi vedere e muovermi senza problemi. Il canto rauco della pioggia nascondeva sotto di sè un silenzio assoluto che da solo sarebbe stato più che inquietante. Lo strano uomo dal vestito impeccabile e dalla pelle quasi bianca mi precedeva salendo le scale strette, e fu solo allora che mi accorsi che non portava scarpe, e che muovendosi non produceva il benchè minimo rumore, nemmeno quando i suoi piedi quasi bianchi si immergevano in una pozza d’acqua sotto una finestra o spostavano qualcuno dei rifiuti umidi che rivestivano gli scalini. Del sarcasmo sprezzante che avevo sfoggiato in auto non c’era più nessuna traccia, mi trovavo ora preda di una sensazione di dormiveglia, di distratta, tiepida irrealtà. Salendo, cominciai a vedere, o meglio immaginare, delle cose. Non vere e proprie e normali allucinazioni; era qualcosa più come delle immagini estranee, velocissime, infilate a forza nel normale corso dei miei pensieri, talmente rapide che non riuscivo nemmeno ad afferrarne i contorni. I miei ultimi ricordi chiari si fermano su un pianerottolo forse a metà salita. Ricordo di aver sentito delle voci provenire da uno dei corridoi. Ricordo che lo strano uomo si fermò di colpo, ricordo di aver pensato con ironia che a volte anche il diavolo può stupirsi. Poi la vecchia malattia tornò (da) dentro me, senza tante cerimonie, fregandosene di uomini e demoni, e caddi semplicemente addormentato al suolo bagnato..

– L’Esule e la comparsa

Ne era completamente terrorizzato. Aveva viaggiato Altrove in passato, ma mai si era ritrovato in un luogo tanto sterile ed opprimente come quella stanza.

L’uomo vuoto, l’assurdo esemplare di vita senza la vita che si trovava nella squallida stanza dove Ne si era risvegliato senza sapere come, guardava ancora fuori dalla finestra sfondata, offrendo il viso alla pioggia e parlottando di cose incomprensibili tra sè e sè.

“Non è la polizia. Non sono nemmeno i ridicoli rincoglioniti del cazzo. Chi sono? Sono due. Sembrano ben vestiti. Sembrano galli. Galli grassi. Qè-qè-qè. Chi sono? Li conosci? E a proposito, chi cazzo saresti tu? Da dove sei sbucato?”

Ne si rese conto all’improvviso che l’unico modo per sconfiggere la confusione era smettere di combatterla. O si adattava, o sarebbe impazzito nel giro di pochi secondi. Per la prima volta in vita sua, parlò utilizzando solamente le parole. Fu spaventosamente facile, meno traumatico di quanto aveva immaginato, ma non fu meno SBAGLIATO. 

“Non..non sono nessuno. Cercavo solo un riparo dalla pioggia e mi sono perso. Non conosco quei due.”

“Mh. Vabè. Comunque sembrano dei galli, e cosa mai ci faranno qua? Forse cercano qualcuno che prima viveva qui, ma qui non è rimasto nessuno. Ehi, senti un po’…”

L’uomo vuoto rovista nel piccolo cumulo di ciarpame affianco al materasso dove siede. Estrae un grosso coltello da cucina, con il manico in legno e la lama leggermente arruginita.

“Facciamoli cantare questi galli, eh? Che ne dici? Vuoi vedere che stasera si mangia? Dai dai. Su. Vieni!”

L’uomo vuoto esce dalla stanza, continuando a parlottare. Ne non è sicuro delle sue intenzioni, non ha idea di cosa sta per succedere, ma decide di abbandonarsi completamente al delirio e comincia a seguirlo.

Ne si alzò, sorretto dai propri stessi brividi,, e ando incontrò alla sua sorte con tutta la gentilezza di cui disponeva.

 

(Sigue. Kire)

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