Un piccolo favore (ldcds ospita)

Nulla mi infastidisce più della cattiva musica. Rimbalza dentro ai timpani come una pallina in un campo da squash, con parabole imprevedibili sulle pareti del cattivo umore. Tocca nervi scoperti, riesuma ricordi accuratamente seppelliti, innesca dissonanze e cacofonie nei pensieri. Al ritmo di questo insopportabile suono, una selva di idioti vestiti con roba griffata o con plausibili contraffazioni, si dimena e si contorce, accaldata, al ritmo plastificato di un sintetizzatore, fingendo di divertirsi.
L’auricolare convoglia nei miei padiglioni un fastidioso ronzio che non riesco ad ignorare. Un cinquantenne sudato agita inutilmente le braccia dalla console, mettendo in mostra una coda di capelli ingrigiti ed uno sbuffo di pelo brizzolato dal colletto della camicia troppo slacciato. I suoi pettorali iniziano a cedere al tempo, e la vistosa lampadatura non riesce a nasconderlo: sarà una delle sue ultime stagioni, poi dovrà nascondersi dietro il microfono di una radio, sempre che lo streaming video non lo raggiunga pure là, impietoso.
Almeno la prassi non vuole che un buttafuori sorrida, perché oggi non lo potrei sopportare. Stanotte mi sarebbe spettato il turno al night giù in paese, ma all’ultimo minuto il proprietario dei due locali mi ha spostato qui. Non dovrò riaccompagnare le ragazze a casa all’alba, non mi verrà offerta né la colazione, né un paio di labbra piene di gratitudine. Non contento di questo, il bastardo mi ha piazzato fuori dal privè, dove entra solo la crema della sua clientela: crema di coglioni, una vera delizia se vi fidate.
Un ragazzino ubriaco mi rovescia mezzo mojito sui pantaloni e mi riporta alla realtà. Trattengo a stento la voglia di strangolarlo nell’incavo del gomito, mentre striscia via, ignaro di essere un animale senziente. Mi pulsano le tempie, gli occhi, la nuca: le luci sciabolano tra i miei neuroni tranciando dolorosamente sinapsi, pensieri e ricordi.
Chiudo un istante le palpebre, adocchiando l’orologio: manca talmente tanto tempo alla fine di questa nottata che slaccio il cinturino e me lo infilo in tasca alla cieca. Meglio non sapere, meglio ingoiare ogni secondo e deglutirlo in fretta per non sentirne il gusto.
Riapro gli occhi, e mi trovo di fronte due ragazze. Hanno l’espressione annoiata ed esasperata delle persone in fila dal medico di base il dieci di Agosto. Neanche i deliziosi brani di pelle nuda ed abbronzata che offrono alla vista altrui, attraverso impalpabili stoffe, riescono a schiodarmi dalla testa l’idea di loro due su un letto d’ospedale attaccate da un respiratore, tanta la sofferenza che trasudano.
Dietro di loro si fanno avanti tre bellimbusti, intenti a fissare il monitor di un telefono troppo grosso e luminoso per costare meno di uno stipendio. Nessuno di loro degna di uno sguardo i sederi delle due ragazze, indifesi, disarmati di fronte ai tre scalini dell’accesso al privè, e a gonne troppo corte per poter pensare di essere qualcosa più di una proforma.
La prima ragazza fa spuntare con discrezione dalla sua borsetta due tessere socio. Faccio un cenno col capo di entrare. Mi sfiora un braccio. Mi giro e mi ritrovo le sue labbra a qualche millimetro dal mio orecchio. Il dolore ed il fastidio interrompono un istante la loro danza, mentre la sua bocca mi sussurra poche parole. Una ciocca di capelli neri scivola lungo il mio braccio, facendo sgorgare fiotti di sangue nei miei corpi cavernosi.
“Dacci qualche secondo di respiro, che ci togliamo questi tre dai coglioni”
I tre tizi non si accorgono di nulla, ipnotizzati da un filmato di culi nudi che scorre sul monitor del telefono. Sghignazzano, ignorando i due culi veri a pochi passi dal loro naso. Con un cenno impercettibile rassicuro la ragazza. Lei sorride e pianta con delicatezza le unghie rosse sul mio braccio, graffiandomi leggermente al passaggio, con sensuale gratitudine. Lascia a galleggiare nell’aria un qualche profumo dolciastro di pesca. Non me ne verrà nulla. Conosco bene il tipo della profumaia, ma il principio di erezione che mi ha regalato merita un piccolo sforzo da parte mia, anche solo per ammazzare la noia.
Lascio svolazzare le due ragazze attraverso la porta, seguendone i corpi con la coda dell’occhio, mentre sposto con rapidità i miei centotredici chili un metro più a destra, mantenendo le braccia conserte e l’espressione neutra ma imbronciata d’ordinanza. Faccio spostare il tedio ed il fastidio con una spallata.
Il tizio che regge il telefono mi sbatte contro, guardando inorridito l’apparecchio rimbalzare per terra e finire un paio di metri dietro le mie spalle. Allunga inutilmente una mano verso l’oggetto, poi alza la testa verso di me. Dal colletto di una camicia bianca da trecento euro, spunta un viso spaesato e vacuo, incastonato in un ordinato esercito di corti capelli neri. “Tessera privè” dico meccanicamente, bloccandogli la strada.
Il tizio non capisce, o non ascolta: vuole il suo telefono. Cerca di spostarmi, come se fossi una tendina di velluto da un quintale e rotti. I suoi amici lo guardano allibiti. Quello più giovane sembra spaventato, l’altro ridacchia. Il tizio non sembra ubriaco né fatto: sembra solo un perfetto idiota.
Lentamente, con un braccio, lo sposto di fronte a me
“la tessera privè, per entrare” ripeto in tono neutro
Non gli passa neanche per la testa di chiedermi con educazione se gli posso raccogliere il telefono. I due ragazzi dietro lo fissano: con ogni probabilità ha le tessere di tutti e tre, e basterebbe che le estraesse per poter entrare. Invece annaspa con le mani e la testa verso il suo cellulare, che rischia ad ogni frazione di secondo di finire sotto qualche suola di una scarpa. Mi sguscia sotto un braccio con uno strattone: lo acciuffo per la camicia con un ringhio e delicatamente lo rimetto fuori dalla sala. Ci sarebbero gli estremi per farlo volare come un fantoccio fuori dalla porta d’entrata, ma ora mi sto divertendo. Mi limito ad appoggiarlo come un brutto vasetto di porcellana di fronte a me. Lo fisso.
Ad un certo punto, come se il Buddha in persona gli avesse tirato un ceffone, si accorge di aver di fronte un cristiano in carne ed ossa. Ma con ogni probabilità non realizza né la mia stazza, né tantomeno la mia professione. Arriccia il naso, aggrotta le sopracciglia e inscena una postura aggressiva tanto fallace quanto ridicola. Sta per sputarmi in faccia le sue ragioni, quando il meno scemo dei suoi amici sbotta.
“Fabio, e dagli quella cazzo di tessera, no?”
Per la seconda volta, il ragazzo viene preso a ceffoni da Buddha, in barba alla ruota karmika. Si rende conto della figura da idiota in corso, ed inizia a trafficare nelle tasche della giacca, estraendone un portafogli griffato, non meno costoso dell’apparecchio che sta cercando di recuperare a costo della sua incolumità. I suoi amici lo guardano con evidente sollievo. In sottofondo, parte un pessimo remix di “losing my religion”.
Il ragazzo srotola con evidente compiacimento il comparto delle carte di credito del suo portafogli, fissandomi con aria boriosa. Vuole farmi vedere che è benestante: mi fa quasi tenerezza. Individua la carta dorata del privè e me la mette sotto il naso con arroganza. Faccio finta di controllarla con attenzione, regalando alle due ragazze qualche secondo in più. Poi mi scosto, lasciandoli passare.
Mi sibila qualcosa che non capisco ed entra. I suoi amici lo seguono, guardandomi con sollievo il primo e con aria di complicità il secondo. Con la coda dell’occhio lo vedo cercare il telefono tra una selva di gambe. Ha il panico negli occhi, come se una carrozzina con suo figlio stesse attraversando di sbieco la Milano-Venezia. Alla fine lo trova, e lo esamina con scrupolo, in cerca di graffi o chissà cosa. Soddisfatto, lo intasca e torna a parlare con i suoi amici. Le ragazze sono andate, uscendo dalla saletta laterale.
L’auricolare gracchia.
“Max, qua in entrata ci sono due tizie che chiedono di uno della security che ha dato loro una mano. Chiedono a che ora stacchi.”
Non riesco a trattenere un sorriso. Il mal di testa svanisce in una scia vaporosa all’aroma di pesca mentre Losing my religion lascia il posto ad un insulso brano sudamericano da classifica.

Maicolino

3 thoughts on “Un piccolo favore (ldcds ospita)

  1. Il riferimento è per pochi, comunque diverte! Belle le descrizioni e pieno di dettagli prelibati, quello del cinturino per quanto piccolo mi ha davvero colpito=)

    Kir

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