Una sconfitta [iv]

Ora non sapeva dove si trovasse. Nè come ci fosse arrivato. L’ultimo ricordo era il salto dalla finestra, e anche se ricordava che qualcosa fosse successo dopo allora, non gli veniva in mente niente di quel “qualcosa”. Nel momento in cui era entrato nella stanza in cui era seduto aveva dimenticato tutto.
Non poteva fare a meno di pensare che questa amnesia dovesse avere un qualche significato.
La stanza era piccola e spoglia, e molto male illuminata. Per quanto surreale apparisse la cosa, aveva l’aria di un classico soggiorno di una comune casa d’abitazione, anche se un po’ povera. Si rendeva ora conto che non rammentava per niente l’aspetto esterno della casa.
Era seduto a un tavolino, accanto ad un uomo dall’aria cordiale che gli stava versando del tè. Non ricordava chi fosse costui. Era tutto stranissimo, e un’ansia feroce prese a divorarlo internamente.
Il suo ospite ora sedeva di fronte a lui e lo guardava pensosamente; sembrava in attesa. Pensò che fosse il caso di fare la prima mossa.
“Io sono…”
Un gesto dell’altro lo zittì. Poi l’ospite parlò a sua volta; l’espressione e il tono di voce rivelavano un profondo dispiacere.
“Lo so chi sei, come so perchè sei qui. So che hai voluto dare ascolto ad una antica leggenda per venire fin qui e riuscire a riappropriarti di quel che ritieni tuo. Ma da questo viaggio tornerai a mani vuote. Poeti e cantori di ogni epoca e luogo hanno raccontato di amori sopravvissuti alla morte e di eroi che hanno affrontato ogni pericolo per poter inseguire un sogno; ma quelle sono leggende e questa è la realtà, e la realtà è che non c’è speranza. La realtà è che lei ti ha dimenticato.”
L’ultima frase suonava come una sentenza. Lo colpì come una sassata.
“Così è” proseguì l’ospite “lei non ti appartiene più. Questa è la morte, ed è un luogo di vuoto e desolazione, e chi lo abita -come lo abita lei- non ha che di queste due cose, e nient’altro. Ti sei spinto fin qui assai coraggiosamente, e ti sei ben comportato, ma più avanti non andrai, perchè non sarebbe bene e non servirebbe a niente. Ora ti devo pregare di lasciare questo luogo.”
Sentiva la gola arida. (Davanti a lui la tazza di tè era ancora intatta, ma se l’era completamente dimenticata). Ugualmente parlò.
“Chi mi ha preceduto ha avuto almeno una piccola possibilità. E a me viene negato tutto.”
L’ospite aveva ancora la sua voce desolata. “Tale è la verità: che nessuno ti ha mai preceduto. Hai inseguito fantasmi che non ti hanno portato a nulla se non a un cammino intricato ed inutile. Ora tutto è finito.”
Lui, sopraffatto dal dolore, chiuse gli occhi, e l’oblio scivolò nella sua mente.

Riaprì gli occhi su pareti bianche (da quanto non vedeva qualcosa di quel colore?). Cicalini di macchinari rumoreggiavano accanto a lui, e si rese conto di essere sdraiato in un letto, immobile e con tubi vari che uscivano ed entravano dal suo corpo.
Un ospedale. Era quindi vivo? Sentiva dolori ovunque, e ritenne che fosse una prova sufficiente.
Non capiva cosa fosse successo finchè gli occhi non gli caddero sulle sue scarpe, assurdamente appoggiate sul comodino accanto al letto. Ricordò allora lo squallido albergo, la finestra, il volo.
Cominciò a piangere.

 

Opossum

4 thoughts on “Una sconfitta [iv]

  1. Graccie a tutti,
    L’idea qui era realizzare una storia che si ispirasse in qualche modo a quella (bellissima) di Orfeo ed Euridice. Non sono riuscito a farla venire come avrei voluto, ma vedo che è piaciuto lo stesso e, come si dice, “la vostra soddisfazione è il nostro miglior premio”.
    Ma faremo meglio la prossima volta. Spero. Aloha!

    Vostropossum

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