L’Intersecatrice (II)

…altri inquietanti.

Laura non parlava mai della sua vita, o del suo passato; e sebbene io fossi tutt’altro che invadente su quest’argomento, mi resi conto che più tempo passava, meno cose sapevo di lei. Il nostro rapporto consisteva essenzialmente in un’alchimia perfettamente bilanciata di sesso bestiale e discorsi astratti. Il primo mi stupiva continuamente: era pazzesco constatare quanto lei fosse letteralmente insaziabile, e come si calmasse, quasi per cortesia, solo quando notava che mi uscivano gli occhi dalle orbite, segno che non ce la facevo neanche più a respirare.

Riguardo ai nostri conciliaboli, la situazione non era molto diversa. Una cultura eclettica e sconfinata, una sensibilità attenta e un senso dell’umorismo vivace e ponderato, spesso cattivo nella sua eleganza, erano i pilastri del suo comunicare. Con lei era possibile parlare di tutto, anche del soggetto più insignificante, per ore e ore, senza stancarsi mai. Ma c’erano altri aspetti.

Cominciarono i rumori. Non rumori veri e propri, forse più flebili suoni, figure piccole e sfocate all’orizzonte dell’udito. Li percepivo più che altro nei momenti di tranquillità e intimità, come quando stavamo abbracciati a letto. C’erano poi sensazioni strane, mi pareva di percepire qualcosa attorno a noi, anche se naturalmente non vedevo e sentivo alcunchè. E’ difficile da spiegare, ma è come se osservando la stanza da letto ci fossero punti in cui l’aria sembrava “diversa”, più…pesante.

Un giorno la portai in auto a fare un giro nelle solitarie campagne della mia giovinezza. Passeggiammo a lungo nella natura, facemmo l’amore nell’erba profumata, mangiammo in osteria. Fu uno splendido pomeriggio.

Guidando verso casa, decisi di fermarmi a dare un saluto a una zia che non vedevo da molto, e che abitava nei paraggi, in una vecchia casa isolata in cui avevo passato buona parte della mia infanzia. A quei tempi oltre alla zia ci viveva anche mia nonna, morta molti anni fa per una brutta caduta dalle scale, scale vecchie e malandate, di un’altra generazione.

La vecchia zia ci accolse con perfetta ospitalità, anche se non ci voleva molto per accorgersi che avrebbe di gran lunga preferito restarsene in poltrona a seguire i suoi programmi tv preferiti. Offrì il caffè e le solite chiacchere di rito. Ci fece domande di cui palesemente non le interessava la risposta. Dopo dieci minuti, pensavo già a come salutare e uscire di scena. Dovevo pisciare: decisi che dopo averlo fatto ce ne saremmo andati.
L’unico bagno della casa si trovava al piano di sopra: imboccai il pianerottolo e iniziai a salire gli scivolosi gradini di legno. E poi, mi bloccai.

Sui primi gradini, in alto, perfettamente illuminati dal grande finestrone, c’era..cazzo, non lo so, c’era qualcosa. Una figura completamente nera, senza lineamenti, dai contorni sfumati. Stava seduta, la testa vicina alle ginocchia piegate, e appariva raggomitolata su sè stessa, quasi in posizione fetale, per via di quei gradini così stretti. Era immobile, eppure sembrava muoversi, quasi come se fosse percorsa da un leggero sfarfallio, un inspiegabile tremolio dell’aria.

Non credo di poter descrivere il numero di pensieri e sensazioni che mi assalirono in quei pochi secondi, ma sicuramente restai esterrefatto. Devo aver detto qualcosa, forse un’imprecazione, una bestemmia, un semplice mio dio, non ricordo. Ma qualsiasi cosa mi sia uscita dalla bocca, la figura rispose.

Due sottili linee nere, che dovevano essere le braccia, cominciarono a sollevarsi lentamente ai lati dell’apparizione, per poi fermarsi a mezz’aria. Altre linee più piccole, le dita, iniziarono a delinearsi perfettamente nella luce. La figura rimaneva seduta: la testa chinata, le braccia alzate ma non tese, i gomiti piegati, le dita perfettamente dritte e staccate tra loro, sembrava come se la cosa stesse preparandosi a suonare un pianoforte inesistente. E poi, quel suono, quel suono che arrivava da tutte le parti e da nessuna, talmente flebile ed effimero da essere assordante, quel suono strisciava, si avviluppava ai sensi come un pitone incazzato, diosanto, e cresceva, saliva, ed era schifoso, ed era un

hhhhsssssssssssSSSSSSSSSSSSSSSSSS

Quando qualcosa da dietro mi toccò la spalla, sbarellai. Non credo di aver urlato, ma sicuramente ho fatto il più pirotecnico dei miei balzi da mentecatto, sbattendo poi la testa sull’attaccapanni a muro. Mia zia, sull’uscio e con la mano ancora alzata, mi guardava con un’espressione tra il sorpreso e l’infastidito. Laura era ancora nell’altra stanza, fuori dalla mia visuale. Non controllai nemmeno se la figura era ancora là, uscii dalla casa correndo e camminai qualche minuto nei campi per calmarmi. Pisciai contro un albero. Ero fuori di me.

Quando mi ricomposi, tornai a prendere Laura, salutando frettolosamente la zia. Nel viaggio di ritorno non parlai, nè lei mi chiese nulla. Mi rifeci i soliti discorsi mentali e mi diedi le solite spiegazioni, ma stavolta non avrei potuto dimenticare. Per la prima volta, collegai Laura a tutte le sensazioni e gli avvenimenti che mi stavano capitando. Continuai a comportarmi come se nulla fosse, ma dentro di me cominciavo a fantasticare su un esperimento.

K

3 thoughts on “L’Intersecatrice (II)

  1. Ma nei tuoi sogni c’è anche il trafiletto che scorre sotto (alle 19:45 Ghost Whisperer, 21:15 Criminals Mind) ?

    Bello, angoscia.

    Slon

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.