Nemmeno George Harrison risolleva l’atmosfera

Nemmeno George Harrison risolleva l’atmosfera.
Principalmente la colpa è della sua casa, un concentrato di umidità come poche cose, immagino le mie ossa piene di condensa appena supero l’uscio. È difficile indovinare il colore originale di queste mura, tra muffe di vario genere e colore e poster male appesi per coprire muffe di vario genere e colore. Azzardando un’ipotesi direi un verde pisello.
Il pavimento su cui sono seduto è una lastra di ghiaccio, probabilmente mi ci ritroverò il culo appiccicato una volta che deciderò di alzarmi.
Scansando uno scarafaggio grosso come un paio di Nike messe una sopra l’altra ho tirato fuori i suoi vecchi dischi, stavano già qua al tempo del trasloco ha detto. Non sono molti, giusto nove, li conosco tutti eccetto uno dove ci sono tre negre sorridenti in copertina.
Quando ho messo The Concert for Bangladesh su quel pessimo giradischi sono stato sorpreso dal suono uscito dai due piccoli amplificatori, quasi paura, questo ferro è uno zombie del comparto audio, dovrebbe essere morto ma cammina ancora.
Lp 2 gira e rigira e lei è sempre lì stesa a pancia in giù sul lato sinistro, con un braccio abbandonato al suo destino giù per il letto. Dorme profondamente su quel lenzuolo bucherellato dalle sigarette, coperta da una sottile coperta bianca.
Quando, finalmente, parte While my guitare gently weeps sto ancora fissando l’assestarsi del suo stato d’incoscienza, evidentemente quando è stata al bagno per la pipì ha fatto altro e senza condividere.
D’improvviso mi chiedo come sia menarsi un cadavere, sicuramente dovrei munirmi di qualcosa prima per via della lubrificazione e se proprio volessi potrei togliermi lo sfizio proprio ora.
Ma lo stato di noia e torpore è troppo forte.
Svolto gli occhi verso una macchia di muffa, con una nemmeno tanto abile dialettica sono sicuro di poter convincere un centinaio di persone che in quella macchia si riconosce l’immagine della Vergine Maria. Partirebbero viaggi organizzati e servizi televisivi sul fenomeno della Madonna che appare in uno squallido monolocale portando i soldi dei network e degli stupidi alla sventurata proprietaria, una prova tangibile dell’esistenza divina. L’enorme benedizione riguarderà i trentacinque chili sul letto e gran parte degli spacciatori in zona e Dio avrà operato ancora una volta per vie misteriose.

Con uno sforzo mi alzo, nel frattempo un poster umidiccio abbandona la presa e mi frana in testa.
Lo srotolo, rappresenta un paesaggio rurale. L’umidità ne ha rovinato i colori, ora sono di un bluastro elettrico: cielo, erba e torrente un unico colore.
Lo lascio cadere, vado verso il letto prendo la mia camicia e mentre la abbottono le do un ultimo sguardo disinteressato.
È cominciata Here comes te sun ma nemmeno George Harrison risolleva l’atmosfera.

Slon

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