Ne

Ne si svegliò all’improvviso, preoccupato ed ansimante, senza riuscire a capirne il motivo. Era una mattina presto come tante altre, e la notte era stata tranquilla, non ricordava incubi o stranezze di sorta. Rimase così per un po’, seduto sul letto. Piccole gocce di sudore calavano lentamente giù per le sue tempie, e sembravano andare a ritmo con quelle della pioggia sottile di novembre, che scivolava discreta lungo il vetro della finestra.

Tranquillo, Ne. E’ solo un po’ d’inquietudine. Niente di cui preoccuparsi.

Si alzò e si vestì con calma, poi si concesse qualche minuto nella biblioteca. Sorseggiava del rum caldo e sfogliava libri antichi a caso, così, più per rilassarsi che per un reale motivo. Ma la sensazione strana non lo abbandonava, anzi sembrava crescere, lentamente, come peli sottili su braccia infreddolite.
Si stava facendo tardi. Le lancette sotto il suo occhio sinistro ticchettavano sempre più veloci. Mise il mantello e uscì, rabbrividendo nell’aria pungente e sbarazzina di febbraio. Si diresse su, fino a un’uscita secondaria dei tunnel, e poi puntò a est, diretto verso la

Polvere.

Esistevano solo calcoli approssimativi su quanto si estendesse l’enorme, perenne tempesta di sabbia. Si conosceva il punto in cui iniziava, ma nessuno era sicuro di dove finisse.
Nessuno aveva mai esplorato a fondo il suo stomaco violentato, o perlomeno nessuno era mai tornato per condividere le proprie conoscenze. Al suo interno, intere città dai nomi dimenticati gareggiavano a chi si sgretolasse più rapidamente. Il vento soffiava senza sosta su ogni cosa, con la delicatezza e la precisione di una colonna di carri armati guidati da scoiattoli sotto anfetamine. Anche con la migliore preparazione ed esperienza, pure una semplice passeggiata nella Polvere poteva rivelarsi fatale.
Ne lo sapeva bene, e decise di non sfidare la sorte, non oggi almeno. Legò la solita corda alla solita vecchia quercia rinsecchita che ormai conosceva bene e, dopo averci scambiato qualche chiacchiera frivola e frettolosa, si immerse nel magicomico turbinio.
Restò ancorato ad un sentiero a sei corsie che aveva percorso già molte volte e, con il grosso cappello a tubo calato giù fino alle spalle, si diresse verso un punto che si era ripromesso di controllare meglio l’ultima volta, una piccola radura d’asfalto seminascosta dietro le macerie di un grattacielo crollato. Il luogo era stato nel frattempo setacciato e depredato, ma qualcosa ancora rimaneva. Ne costruì un carretto improvvisato di ossa umane, due tombini di metallo come ruote, e ci caricò sopra un vecchio motore a pompa che sembrava ancora in buono stato. Poi tornò indietro. Poche ore dopo, era uscito dalla tormenta e si trovava nel quartiere delle Piazze di

Meralosca,

l’ultima città di confine prima della Polvere. Senza troppi problemi riuscì a piazzare il motore, barattandolo con alcuni sacchetti di respiro e un piatto di zuppa, condita con i capelli strappati di un’innamorata delusa. Mangiò di gusto e poi si rilassò fumando lentamente una sigaretta di tabacco stantio, osservando le genti vive e quelle morte, che indaffarate trotterellavano e macchineggiavano su e giù per i mercati all’aperto. Da una parte si sentiva sollevato, anche per oggi era riuscito a portare a casa la giornata; eppure, quella sottile sensazione di timida inquietudine lo accompagnava ancora, grattava alla porta dei suoi sensi come un cane chiuso fuori al freddo, smanioso di entrare per scaldarsi e fare le feste al suo padrone. Una lacrima scese solitaria sotto l’occhio destro di Ne, scolorendo leggermente il vivace bosco a tempera che un bambino sconosciuto gli aveva disegnato lì molti anni anni prima.

Ormai era quasi sera: il sole splendeva alto e rigoglioso nel cielo limpido di giugno. Ne si diresse verso la via carovaniera più vicina per fare un po’ di autostop, e quasi subito trovò un passaggio in un’antica gabbia a vapore, trainata da rimpianti vecchi e stanchi. Il cocchiere era un ometto piccino e barbuto, dai capelli arcigni e dallo sguardo folto, che mise in chiaro fin da subito di non aver voglia di ciarlare. A Ne la cosa andava benissimo, e in silenzio viaggiarono verso l’entrata dei tunnel, la soglia incustodita del mondo sotterraneo. Erano quasi arrivati quando la gabbia dovette rallentare, per lasciare il passo ad un vecchietto ciondolante, che stava attraversando la strada lentissimamente, leggendo un quotidiano completamente bianco. Si fermò giusto un secondo in mezzo alla via, accarezzò sorridendo uno dei rimpianti che trainavano la gabbia. Il rimpianto guaì, il vecchio proseguì, la gabbia cigolò, il cocchiere bestemmiò, e Ne fu finalmente a casa, libero di rilassarsi e

sognare.

Passò il resto della serata stravaccato nella sua poltrona preferita, nella terrazza capovolta. Guardava affascinato il sottosuolo al contrario, tratteggiandone i contorni su un foglio di carta bagnata, e canticchiava. Aveva infine aperto la porta all’inquietudine, che ora dormiva tranquilla al suo fianco, svegliandosi ogni tanto per leccargli velocemente la mano e poi tornare a sonnecchiare. Il mare in tempesta tatuato sulla sua nuca si gonfiava e si abbatteva su sé stesso, costringendo Ne a cambiare posizione ogni tanto, per lasciar fluire libere le onde. Fissò le stelle, attraverso la consistenza flebile del terreno. Erano tante e splendenti, erano le costellazioni orgogliose di una notte d’agosto.

Sorrise.

Come passa in fretta il tempo, quando ti diverti.

 

Kire

2 thoughts on “Ne

  1. novembre …… febbraio …. giugno …… bisogna arrivare alla fine per capire che il tempo passa velocemente quando ci si diverte
    Eccellente, come sempre

  2. Da inquietanti paesaggi preapocalittici a “carri armati guidati da scoiattoli sotto anfetamine”, da sobbalzi cronologici a suggestioni [forse inconsapevolmente] kubiniane. Cosa sei riuscito a non infilare in questo brano? Grandioso.

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