Un grazioso piccolo topo

Era un periodo d’ispirazione, il foglio di Open Office di un bianco lindo aspettava me.
Solo che avevo voglia di qualcosa di diverso; basta con le trite ambientazioni urbane, squallide, drogate e dedite al vizio. Basta con personaggi afflitti, privi di qualsiasi inibizione, colmi di cinismo e stereotipati.
Volevo qualcosa di diverso e qualcosa volle che capitassi bloccato nel traffico delle 13:30 davanti una scuola elementare. Stranamente non mi incazzai durante quel quarto d’ora di embolo stradale sotto la pioggia ma anzi, fui lieto nel vedere i genitori armati di ombrello rincorrere i loro marmocchi e inventarsi parcheggi assurdi per evitare che nemmeno una singola goccia toccasse la loro fronte. Quelle punte di amore materno e paterno toccarono anche me e l’ispirazione venne con un suggerimento: scrivi un racconto per bimbi!

Così mi ritrovavo davanti al foglio virtuale di Open Office a buttare le basi.
Dopo venti minuti decisi di scrivere qualcosa con degli animali parlanti a cui capitano cose inusuali.
Il primo passo fu scegliere la bestia in questione, all’inizio pensai ad un gatto ma l’idea di un animale sì grazioso ma pieno di malizia e furbizia non mi convinceva in pieno. Nemmeno il cane passò l’audizione, carino sì ma forse dava troppa aria di ingenuità.
Alla fine la spuntò un animale spesso sottovalutato: un grazioso piccolo topo.
Dovevo dargli un contesto credibile, un lavoro che potesse facilmente sfociare in un’avventura. L’occhio mi cadde su Cuore di Tenebra di Conrad, lo uso come libro da tenere sul comodino per darmi un tono, e l’ispirazione colse il momento facendomi piazzare il mio topo alla guida di un battello navigante su un torrente circondato da vegetazione.
Ora toccava creare personaggi a fargli da spalla. Ero pronto, qualcosa si stava formando ma un tonfo secco strappandomi dalla fantasia mi riporto nel mio bilocale: quattro bestioni vestiti con nere tutine aderenti sfondarono la porta e mi saltarono addosso prima che potessi dire qualcosa, mi ritrovai a terra a ricevere i loro calci, a sentire le mie costole incrinarsi e la mia bocca riempirsi di sangue e denti vaganti.
Quando il pestaggio finì ero tutto disossato, uno degli energumeni strappò con foga il mio poster de Il Ritorno dello Jedi dalla parete e colpendomi con un calcione in faccia disse tutto serio: Ora anche questo appartiene a noi.

Mi risvegliai tre ore dopo a giudicare dal simpatico orologio di Paperino lasciatomi sul pavimento dai picchiatori come omaggio. O come monito.
Comunque andandosene non richiusero la porta e quelle tre ore di entrata spalancata furono sufficienti a far occupare il mio bilocale dagli zingari.
Musica di organetti e violini accompagnò il ritorno dei sensi. C’erano tre rom seduti al tavolo a discutere, bere e fumare.
Per fortuna tengo da sempre un filo di rame in casa per evenienze del genere, andai al cassetto del comò e lo presi, tenendo una distanza di sicurezza rapportata in due metri e sessantatré lanciai il filo al centro del tavolo. I tre si fissarono dritto negli occhi per venti minuti come nel più Leoniano dei trielli, sul culmine sfoderarono i loro coltelli e cominciarono a colpirsi a vicenda contendendosi il prezioso rame annullandosi e cadendo simultaneamente morti.

Ora avevo bisogno di due emuli di Burke e Hare. Contattai diversi atenei informandoli che avevo tre corpi da donare alla scienza, ci vollero tre settimane per vedere un furgone dell’università di Edimburgo arrivare.

Nel frattempo casa si era riempita di mosche e altre bestiacce attirate dalla decomposizione.
Fui costretto a contattare una onlus e affittare un bambino africano. Con spedizione in raccomandata ci mise cinque giorni ad arrivare ma una volta in casa, parcheggiato nell’angolo attirava le mosche che era una meraviglia e l’ambiente ritorno vivibile in attesa dell’inverno che avrebbe ucciso gli insettacci.

Col mio nuovo pezzo d’arredamento in vista crollai sul divano ad aspettare.

Slon

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