Il terzo appuntamento

La prima volta concordarono di incontrarsi in un oscuro jazz bar del centro, uno dei tanti che si nascondono tra i seminterrati di Nicholson street. Lui arrivò leggermente in ritardo ma rimediò riconoscendola all’istante, seduta a uno dei mille tavolini circolari che galleggiavano tra le ombre. Si lasciò guidare dalle luci intermittenti rosse e blu che provenivano dal palco vuoto e la raggiunse sorridendo. Si scambiarono due baci veloci e cominciarono a parlare di futilità.

Lui era arrivato a piedi e ancora tremava vistosamente per il freddo intenso che regnava all’esterno. Si scusò di questo tra l’imbarazzato e il divertito, mentre metteva le mani a coppa sopra la piccola candela che si consumava al centro del tavolino. Non mi abituerò mai a questo freddo, disse.

Finchè continui a riscaldarti così ci credo, disse lei.

Non sottovalutare le storie che può raccontare una fiamma.

Lui le prese le mani e le congiunse alle sue sopra il timido calore. Si riscaldarono insieme così, sentendosi a loro agio. Continuarono a esprimersi mentre si guardavano attraverso le luci mobili della candela e del palco, che ora ospitava un solitario trombettista che spargeva con gentilezza note nell’aria. Lei non provava minimamente il nervosismo o l’impaccio che di solito accompagnavano i suoi primi appuntamenti e la cosa aveva un vago sapore di eccezionale. Chet Baker era una garanzia e l’atmosfera fece il resto. Smisero di parlare di futilità e si baciarono.

La seconda volta fecero una lunga passeggiata nel parco, scherzando e scambiandosi frammenti di informazioni sulle rispettive vite e cominciando a percepire inconsciamente che qualcosa non andava.

Non riesco a vederla, pensava lui. E’ gentile e carina e perfettamente normale e quando la guardo non vedo niente. E’ colpa mia. Ho fretta di innamorarmi e non le sto lasciando spazio e sto rovinando tutto.

Non riesco a toccarlo, pensava lei. E’ carino e divertente e mi fa sentire tranquilla eppure è come se non fosse davvero qui. Mi ascolta e mi guarda come non ha mai fatto nessuno, eppure è come se fosse distante mille miglia. Ho sbagliato qualcosa e sto rovinando tutto.

Dopo la passeggiata si fermarono in un bistrot affollato per una bevanda calda. Lui teneva viva la conversazione senza sforzi ma era evidente che le sue emozioni erano altrove. Lei si sentì improvvisavente e stupidamente spaventata dalla prospettiva di perdere qualcosa che non aveva ancora nemmeno trovato. Cominciò a sentirsi nervosa e si sforzò di discutere di qualcosa di interessante. Parlami dei tuoi difetti, sono curiosa.

Lui stava guardando fuori dalla finestra e la domanda sembrò colpirlo come uno schiaffo.

Ne ho tanti, rispose. Uno è che per quanto mi sforzi, tendo ad essere brutalmente sincero.

Non mi sembra poi un gran difetto, anzi.

Se lo pensi davvero sei un’ingenua.

La risposta aveva perfettamente senso e non c’era traccia di astio o scherno nella sua voce, ma lei non potè fare a meno di sentirsi umiliata. Finirono le rispettive tisane in silenzio. Vedi? Spero di non averti offeso. Ma no, figurati, però ora è meglio che vada, è stato un piacere, ciao.

Decisero di incontrarsi una terza volta, nonostante nessuno dei due ne avesse troppa voglia. La scintilla che sognavano non c’era stata, succede, ma entrambi si sentivano soli e avevano paura di sprecare un’occasione tutto sommato invitante sulla base di poche sensazioni fondate sul nulla. Quando hai più di trent’anni in fondo non puoi fare tanto l’incontentabile. Le notti sono lunghe e fredde e insignificanti. Vale la pena di sforzarsi per un po’ d’affetto. Un rapporto richiede compromessi. La panchina sulla riva del fiume era dura, e la neve che stava iniziando a cadere in quell’esatto momento non aveva nulla di romantico. Lui stava guardando la superficie dell’acqua e parlò.

Pensi che l’amore sia una cosa semplice?

Lei si strinse nelle sue stesse braccia, improvvisamente paralizzata da un gelo che forse veniva da fuori o forse veniva da dentro. Appoggiò la testa alla spalla di lui e rispose che non lo sapeva.

Kire

Il terzo appuntamento - by Anna (thannuz@gmail.com)

Il terzo appuntamento – by Anna ([email protected])

L’empireo

Nell’anno del Signore millenovecentonovantasette, in un dì di un nevoso gennaio, Albrecht abbandonò l’impronta della sua consueta passeggiata spingendosi lungo versanti sconosciuti, lasciando che le sue preoccupazioni esistenziali lo guidassero verso l’oblio. Camminò pieno di dubbi per quarti d’ora o decenni interi, finché quasi per caso lo sguardo tornò ad abbracciare il mondo reale. La serata era cattiva, l’aria scura lambita dalla tramontana; e quella che dopotutto era un semplice casualità -la sua presenza su quella collina in un giorno di ordinario maltempo- si rivelò ad Albrecht come un atto irrevocabile: la pelle mangiata del vento e i piedi immersi nella neve, si rese conto che non sarebbe più riuscito a tornare indietro.

Opossum

Gli occhi nudi

Un certo numero di primavere fa, quando ero giovane e non ancora schiavo di un futuro qualunque, ricordo che mi trovavo sopra un tetto, impegnato in alcuni semplici lavoretti. Stavo pulendo una delle grondaie quando, come si dice all’improvviso, incappai in un uccellino nato da poco, abbandonato a sé stesso in quelli che sembravano i resti di un nido d’erba tra i detriti. Non so che tipo di uccello fosse, so che era profondamente brutto. Aveva un corpicino rosa e minuscolo, sproporzionato, con un becco assurdamente ricurvo e questi occhioni enormi, spalancati, eterni. Si agitava flebilmente urlando senza una voce e senza sapere bene perchè, lo presi in simpatia. Con un amore e una cura che non mi appartenevano costruii per lui un giaciglio dentro il mio cappello, poi lo spostai in un angolino sicuro del cantiere, vicino a degli alberi in fiore che si godevano il vento. Il pomeriggio di lavoro continuava e io di tanto in tanto tornavo dall’uccellino per controllare come stesse. Non avevo idea di come ci si prendesse cura di una creatura simile. Con una certa goffaggine tentai di nutrirlo con delle ciliege, che sembrò apprezzare molto. Si muoveva freneticamente ora e sembrava ingrassare di vita ad ogni beccata. Quando arrivarono le cinque, misi via gli attrezzi e tornai dal mio nuovo amico. Rimasi per un po’ a guardarlo e poi lo lasciai cadere dentro un canale di scolo. Spolverai il cappello e me ne tornai a casa.

Nei dodici anni che separano quel pomeriggio dal giorno in cui scaricai il cadavere di Madeira nelle acque nere del Clyde, non avevo mai ripensato una sola volta a quegli occhi nudi che urlavano. Ora non riesco a togliermeli dalla testa e non riesco a fare a meno di pensare che avrei potuto fare di più, anche se probabilmente era meglio di no, anche se poi non sarebbe cambiato niente.

Avrei potuto fare di più, anche se forse era meglio di no, anche se poi non sarebbe cambiato niente.

(Frammento tratto da: La legge dei cani)

Kire

Lo Scrittore

Era surreale, avevano sentito del deserto che avanza ma era difficile crederci prima di averlo visto. Solo ora camminando tra la tempesta di polvere riuscivano a realizzare.
I cavalli erano indisposti, granelli di sabbia in ogni orifizio, il solo soffio del vento come unico suono, radi alberi spogli e morti e niente acqua per miglia e miglia. E pensare che solo due anni prima il verde era il colore dominante in quei luoghi.
Non c’erano dubbi che questa fosse la fine del mondo.
E nell’attesa di morire i sei cavalieri avevano rifiutato la sedentarietà, come altri del resto.
Arrivavano voci di atti inqualificabili da ogni parte del Regno, dal disgustoso all’orribile.
A Saint Peter era ormai pratica comune il cannibalismo, il Borgomastro una volta perso ogni sostegno dalla terra aveva trovato un’altra fonte di sostentamento. Non si limitava solo ai cadaveri, si diceva che ci fossero dei veri e propri macelli dove uomini venivano “allevati”. Questo non aveva fatto altro che favorire il diffondersi dell’Epidemia, non solo tra la gente comune ma anche nella piccola corte dei nobili.
Dal sud provenivano voci della Milizia, una volta che il potere centrale decadde abbondarono i loro doveri ma non le loro armi e si diedero al saccheggio e ad ogni tipo di violenza, dove c’era ancora qualcosa da saccheggiare e violentare.

Come prevedibile, sull’orlo della fine, ogni uomo aveva abbandonato la civiltà per regredire ad uno stato che solo una morte certa e vicina può portare.
Ma non per I Sei.
Sebbene non ci fosse più alcuna motivazione per continuare a sostenere i loro giuramenti, loro avevano sellato i loro cavalli ed erano partiti alla ricerca di un mito, un’unica speranza.

Le voci sullo Scrittore erano affascinanti.
Si diceva che questo uomo, vecchio e sudicio, vagasse per il Regno di città in città, di villaggio in villaggio. Si diceva che fosse immune al Morbo, sul suo corpo non apparivano macchie, non si aprivano squarci sulla sua pelle, non vomitava o espelleva schifezze dal suo corpo.
Nel suo vagare aveva toccato migliaia di malati morenti e alcuni di questi si erano alzati dal letto di morte e avevano cominciato a seguirlo.
Alcuni dicevano che fosse un uomo di Dio. Alcuni dicevano che fosse Dio.
E in tempi disperati bastavano voci del genere per spingere I Sei in questa missione.
Nessuno di loro credeva che ci fosse realmente uno Scrittore, un uomo miracoloso che camminava nel bel mezzo della fine del mondo ma come tutti gli altri, tra cannibalismo e violenza, nell’attesa della morte loro avevano scelto qualcosa di nobile: salvare il Regno.
Seguendo chiacchiere popolane.

All’entrata di Chester vennero accolti da sei corpi impiccati, disposti tre per tre ai lati dei cancelli.
Erano lì da molto, il collo del secondo dal lato destro aveva ceduto, il corpo era a terra in una innaturale posa e la testa per qualche divertente ragione era ancora lì in alto abbracciata dal cappio.
UNTORI, diceva il cartello posto davanti ai morti.
Il fetore era insopportabile, quei corpi esposti al sole erano gonfi, pronti ad esplodere.
Gli animali erano spariti, nessun spazzino naturale tentava di ripulire quel putrido disastro organico. Conseguenze come queste erano comuni, un corpo avrebbe potuto stare tranquillamente a marcire al sole finché la terra stessa non l’avesse inghiottito.
Il fetore venne ben preso coperto da qualcosa di peggiore una volta che I Sei entrano in città.
Il Morbo era presente, quel nauseabondo odore aleggiava in ogni strada e vicolo, i cadaveri dei sei all’entrata erano solo una magra anticipazione del mare di morti che inondava ogni angolo di Chester.
Copritevi il volto. Disse il più anziano dei sei.
I cavalli diventavano più inquieti ad ogni passo, anche loro sentivano la presenza della morte e anche loro ne erano spaventati.

Un filo di fumo si alzava in direzione est, si diressero lì.

Uno smilzo prete con una unta tonaca, inginocchiato guardava la sua chiesa bruciare.
Gli occhi fissi sulle fiamma crescenti che divoravano ogni angolo del sacro luogo; non badò ai sei nemmeno quando lo circondarono.

Cosa è successo alla tua chiesa, Prete ? Chiese il più anziano dei Sei.
L’ho consegnata alle fiamme.
Tu hai fatto questo ?
Sì ?
Perché ?
Perché non c’è un Dio misericordioso, non c’è mai stato un Dio misericordioso.
Come puoi parlare così e indossare ancora quell’abito ?
L’ho visto, con i miei occhi… non c’è amore in Dio.
Blateri. Tu avresti visto Dio ?
Sì, Lui era qui per deriderci nell’ora della nostra morte.
E come era questo Dio ?
Non molto diverso da voi, signore. Di sicuro più anziano e molto meno curato nell’apparenza. Ha detto di avere un nome, lo Scrittore.

Ognuno dei Sei ebbe un sussulto, il fantasma, l’illusione, l’ultimo senso della loro esistenza non era forse solo una cosa astratta ma reale ?

Sei un pazzo. Girano voci di questo Scrittore in ogni dove del Regno ma nessuno ha mai fornito una prova della sua esistenza.
Non sono pazzo, lo sono stato per tutta la mia vita ma ora non più. Vi giuro… su niente, non posso giurare su niente di caro perché non ho nulla di ciò ma vi giuro che Lui era qui e ho visto la sua opera e posso giurarvi che quello non è un uomo.
E cosa sarebbe ?
Un Dio e un Diavolo in uno. Prima del suo arrivo l’epidemia non aveva nemmeno sfiorato questa città ma dopo oh… è bastata solo una settimana per dimezzare la popolazione.
Parlava con carisma, indicava colpevoli e noi ubbidivamo. Ha giocato con noi, prima ci ha infettati e dopo ha giocato con noi. Ogni sorta di violenza è avvenuta in questa città solo per il suo divertimento. E sei giorni fa Lui venne da me, con una strana richiesta: cinque cadaveri, bambini, maschi, non più giovani di quattro non più vecchi di otto. Ho obbedito come ho sempre fatto e lui l’ha fatto davanti ai miei occhi.
Cosa ?
Gli ha ridato la vita. Ma non una vita vera e propria, gli ha ridato il respiro, la forza per muovere le loro membra ma loro non erano tanto diversi dai vostri cavalli che vi seguirebbero in silenzio e senza fiatare perché è loro natura fare ciò. Succubi.
Succubi per cosa ?
Non lo so.
Dov’è ora ?
Andato, tre giorni fa diretto ad est con i bambini al suo seguito.
C’erano altre persone con lui ?
No, è arrivato da solo ed è andato via da solo, eccetto per quelle creature.

Il più vecchio dei sei si raccolse in pensiero per qualche secondo, squadrò la città da ogni punto cardinale e finalmente fece la domanda che pulsava nella mente dei suoi cinque compagni.

Dove sono tutti ?
Li avete davanti ai vostri occhi, i cadaveri sono gli abitanti di Chester.
Tu sei l’unico ancora in vita ?
Non per molto.

Il prete mosse la tonaca scoprendo le sua gambe, grosse piaghe nere avevano squarciato la sua pelle fino all’osso, un terribile odore si libero nell’aria.
I Sei indietreggiarono.

Non fare un passo, resta lì immobile. Disse con voce ferma il più vecchio.
Anche se volessi, non potrei.
Tre giorni fa ?
Tre giorni fa ha lasciato la città. L’ho supplicato di guarirmi, di guarire tutti, di ridarci indietro le nostre vita ma lui ha semplicemente detto “No”. Ed è andato.

Non era del tutto una buona notizia. La maggioranza dei Sei avrebbe preferito che quell’ipotesi di Dio a cui stavano dando la caccia fosse, appunto, solo un’ipotesi ma ora c’era qualcosa di concreto. E quel concreto malvagio e inquietante, diverso dalle loro fantasie, portò la paura.

Ma la curiosità nell’animo umano è ben più forte della paura.
Lasciarono il prete alla sua chiesa in fiamme e al morbo.
Diretti verso est.

Slon

La paura dei colori

L’orologio analogico da due soldi appeso alla parete ovest affermava fossero le ventitrè e trentasette, e non c’erano motivi particolari per non credergli. Sotto di lui, seduti tutto fuorchè comodamente in striminzite sedie di plastica bianche, si trovavano quattro sconosciuti dai nomi qualsiasi.

Per ognuno di loro era la prima volta. Ognuno di loro aveva sentito storie. Ognuno di loro si muoveva in turni inconsapevoli, spostando lo sguardo dal pavimento lurido alla parete est, dove una malandata porta di compensato spiccava come un ascesso da un muro di mattoni grezzi.

Ognuno di loro era profondamente simile agli altri in almeno un aspetto: la confusione. Ognuno di loro riusciva a vedere l’ombra delle cose nascoste dietro le cose, ma senza poterle afferrare o capire, né attraverso la ragione, né attraverso i sensi. Avevano imparato a mistificare, ognuno secondo le proprie capacità, con gli altri e con sé stessi, ignorarando il perenne cuore pulsante di rumore statico che li avrebbe altrimenti imprigionati dietro i colori vivaci di un’esistenza balbettante e vagabonda. La monocromia era una fede, che ognuno di loro stava perdendo.

C’era una quinta persona nella stanza. La stessa che, dopo le dovute formalità, aveva scortato i quattro sconosciuti fino alle soglie del Segreto. Era un omino basso e minuto, di origine asiatica, con dei vestiti talmente vecchi e sporchi che a strapparglieli si sarebbero tenuti la pelle. Sedeva silenzioso alla parete nord, concentrato in un rotocalco che aveva raccolto dall’immondizia sparsa al suolo. L’umidità aveva fatto gonfiare e strappare le pagine, e le celebrità in copertina apparivano ora più deformate di quanto non fossero già state, i sorrisi mutati in pallide anguille di perfetta menzogna, gli sguardi dssolti dentro pozze di parole miserabili.

Il tempo e il silenzio passeggiavano insieme con calma, borbottando nelle loro lingue incomprensibili, ma si fermarono quando un rumore cominciò a squittire oltre la porta di compensato. Un rumore mai sentito prima, dal tono interrogativo, che in qualche modo cigolava avvicinandosi all’uscio. L’omino minutosi alzò e cominciò a parlare rivolto alla porta: le sue labbra si muovevano senza alcun suono ma la sua risposta sembrò gradita al cigolio curioso, che si spense in una nota finale di soddisfazione. Dopo questo scambio, senza ulteriori frivolezze, l’omino uscì dalla stanza attraverso la porta nella parete sud dalla quale erano arrivati.

I quattro sconosciuti che non capivano i colori osservarono il buio che sgorgava copioso dall’ascesso a est, ora esploso. Guardarono in quello che era ignoto. L’Ignoto guardò in loro, e il suo ruggito fu maestoso. Ciò che era reale trattenne il respiro e il segreto ballò per poco meno di mille anni.

Poi la fragile porta si richiuse.

L’orologio analogico da due soldi affermava fosse mezzanotte in punto, ma nella stanza non c’era più nessuno interessato alle sue opinioni.

 

Kire

Crossover

Il tram bloccato fa smuovere le mia viscere peggio dell’intera situazione Israelo-Palestinese.
E se a bloccare il tram è una manifestazione pro-Palestina comincio subito a pendere dal lato d’Israele. Israele non m’ha mai bloccato il tram tre fermate prima della destinazione.

Residuati hippy cinquantennali, wannabe militanti di sinistra e una grossa crew di Tusken Raiders con famiglia dietro (deve essere il loro equivalente della Pasquetta) marciano scortati dalla polizia, scandendo per bene ogni coro e sventolando la bandiera palestinese. Nel raggio di seicento metri il consenso per l’UKIP sale del 6%.
L’odio per Israele accomuna ogni diversità, non importa se dopo questa manifestazione ognuno tornerà nelle proprie case a sorseggiare Asda Beaujolais, non depilarsi le ascelle o sopprimere la figura della donna, no! Ora sono tutti uniti, qui, contro il male comune: Israele.
Israele sta un po’ sul cazzo a tutti, i francesi in confronto sono Jim Carrey.

Superata la manifestazione mi dirigo allo Starbucks incazzato per il disagio che la situazione Israelo-Palestinese mi ha creato. Al pensiero del caffè dello Starbucks l’incazzatura cresce. Il problema non è quanto faccia schifo, non è quanto costi, il vero problema è perché continuo a tornarci ?
Per la wifi ovviamente.

Una volta seduto con la tazza di piscia nera fumante evito di guardare la fauna locale, sono già stato abbastanza qualunquista e incline a facili stereotipi in questo pezzo.
Collego il rappezzato Galaxy alla wifi e scorro le amicizie di Facebook.
La maggioranza di quella gente non la vedo da due anni o più, compreso Roddo il mio migliore amico ai tempi.
È ormai caduto in quel vortice porno in cui aveva navigato ai margini da quando le linee a connessione veloci arrivarono nel nostro paesetto.
L’ultimo messaggio ricevuto da lui è di sei mesi fa, solo un link e se ricordo bene doveva essere un uomo di colore che si incula da solo. E’ un peccato assuefarsi a queste robe, provate a pensare nel 1995 che effetto avrebbe fatto un video del genere. Oramai tutti guardano 2 Girls vs 1 Cup con il sopracciglio alzato.
Roddo non lo vedo da due anni ma sono sicuro che stia ancora lì in camera sua inclinato davanti al pc e non a fare qualcosa di utile come giocare a World of Warcraft. Dal lato Orda.

Di Aceto (cominciarono a chiamarlo così dopo uno sfortunato incidente con dell’aceto in una bottiglia non d’aceto) non so che fine abbia fatto… o meglio lo so ma faccio finta di non saperlo.
I link che condivide tutti inneggianti al nostro Salvatore Gesù Cristo dovrebbero essere abbastanza chiari.
Quel periodo in comunità, dopo il furto notturno al cantiere, lo ha rovinato. Sono lontani i tempi in cui era metà uomo e metà bottiglia di J&B.

Preso dallo sconforto ne guardo un altro e giuro che sia l’ultimo.
Non ricordo il suo vero nome, su Facebook ne ha uno inventato, Snootie Thug, lo cambiò dopo quel fattaccio con la Disney.
Era un bravo scrittore ma un giorno decise di entrare nel campo dell’infanzia e il primo personaggio che creò fu un grazioso piccolo topo.
I picchiatori della Disney gli lasciarono diversi segni permanenti.
Ma il lato psicologico ne uscì peggio, si stava giusto riprendendo quando guardando una fail compilation su YouTube lo script all’apice del suo masochismo fece apparire una clip di Fantasia tra i correlati. Si cavò gli occhi con le mani.
Scrivere divenne complicato a quel punto ma lui persistette con l’idea di un nuovo romanzo, una road story dove due vecchi killer viaggiano fino al deserto del Nevada e lì uno dei due due dovrà uccidere l’altro come ordinatogli dal suo boss.
Plot interessante fino a quando quell’obbrobrio di Stand Up Guys uscì al cinema uccidendo l’entusiasmo del pover’uomo.
Nemmeno Gesù può aiutarlo a questo punto.

Fischi e un forte vociare vengono dall’esterno, la mia mente parte in un trip di pensieri, un frullato d’idee pronte a diventare opinioni.
Comincio a sentirmi euro-scettico e avvolto in un soffice e caldo manto di nazionalismo liberale, desidero il ritorno di un’identità etnica e religiosa figlia del mio background.
Di conseguenza comincio a credere che la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali non sia una così buona idea.

Sui vetri dello Starbucks si riflettono i manifestanti.
E’ troppo tardi per fuggire via dal fatidico raggio del corteo, ho già creato un account su Rule Britannia Forum.

Slon

#PILLOLELDCDS 7

Suppongo e auspico che in futuro verranno tempi felici in cui una civiltà progredita condurrà studi archeologici e antropologici sui fossili delle nostre generazioni ed arriverà a stabilire con buona approssimazione quali sono le cause che hanno portato a inesprimibili livelli di delirio la pratica e l’osservazione di uno sport che in condizioni normali sarebbe stato tutto sommato incruento e gradevole.

Opossum

Con tutta la gentilezza (IV)

(Prima, durante, forse dopo, in ogni caso mai)

 (O, detta meno da stronzi, uno sguardo alle “puntate” precedenti)

 – Il Legale e il Randagio

(Frammento di interrogatorio. Origine: sconosciuta. Dagli archivi della prefettura contro i Crimini Universali, sezione: Uso improprio della ragione)

GRANTON: “Quindi…anche se non mi vuoi dire da chi, si può affermare che la cosa fosse stata organizzata.”

D: “Sì, direi, assolutamente, perlomeno nei primi stadi. Che poi la situazione sia sfuggita di mano…e poi conclusa in un modo così improbabile…intendo, è un altro discorso. Un discorso impegnativo, se mi capisci. Ma tutti noi eravamo lì per un motivo ben preciso.”

G.: “Lavoro.”

D. (alza le spalle e fa una smorfia, come se non gli piacesse la parola) “Come ti pare.” (pausa) “Sì, puoi scrivere così. Non è completamente esatto, ma non abbiamo tempo per fermarci su ogni parola. La vostra lingua è facile da imparare in sè, ma voi usate le parole in modo strano, cambiate il loro peso di volta in volta per motivi che non comprendo. Lavoro. Andiamo avanti.”

G.”Dove si è svolto esattamente lo scambio, e come?”

D.:”In una città chiamata Praga. Non ne avevo mai sentito parlare, prima. So che c’erano dei problemi in quel periodo…una specie di…” (gesticola in modo interrogativo)

G.: “Certo. La crisi, i disordini. Il ventidue fu proprio l’anno in cui il primo Default fu ufficializzato in quasi tutta Europa. Non ricordo scontri particolarmente duri a Praga, ma la situazione non doveva essere di certo rilassata…”

D.:”In realtà la città era abbastanza tranquilla, e non avemmo problemi di nessun tipo sul piano convenzionale. Lo scambio avvenne in una zona povera fuori città, con molte case alte tutte uguali. Pare che non ci fossero più…risorse…risorse?.”

G.:”Vuoi dire servizi. Probabilmente avevano già interrotto luce e acqua, in periferia.”

D.:”…Sì. Credo. In ogni caso per questo molti avevano abbandonato le loro case. La zona era quasi totalmente disabitata, fatta eccezione per un po’ di vagabondi qua e là. Quasi tutta la mia squadra attendeva in una di quelle case alte e vuote.”

G.:”Quanti eravate?”

D.:”Cinque.  Anche troppi per una…per un lavoro così semplice. Non farò nomi. Io, un canefinto e un temporaneo eravamo di scorta, dovevamo solo assicurarci che nessun estraneo intervenisse. Un uomo, uno dei vostri, faceva da interprete. Un Sicaridaee era incaricato di contattare discretamente il passeggero e portarlo da noi. Ci riuscì. Ci riescono quasi sempre. Aspettavamo loro.”

G.:”Chi era il passeggero?”

D.:”Non ne ho idea. Uno scrittore di qualche tipo, nessuno di importante, all’apparenza. Dovresti chiedere a qualcun altro, io non mi interessavo mai dell’identità dei passeggeri.”

G.:”L’avevate fatto molte altre volte?”

D.:”Sì, certo. Abbastanza da farmi venire tutto a noia e abbassare la guardia. Questo fu forse uno dei motivi per cui non reagii prontamente come avrei dovuto, anche se in fondo non avrebbe fatto nessuna differenza.”

G.:”Cosa andò storto, esattamente?”

D.:”Ecco…come ho già detto, qui la storia diventa complicata. Se mi capisci.”

(Il resto del documento è occultato.)

– Lo Scrittore e il Sicaridaee

Dopo la nostra conversazione in auto, dal mio strano accompagnatore non uscirono più parole nè suoni. Del fatto dei suoni, mi accorsi solo più tardi. Eravamo nell’atrio della palazzina. Non c’era illuminazione ma la tracotante luna piena, i frequenti lampi e il fatto che molte finestre fossero infrante o solo rimaste aperte facevano sì che potessi vedere e muovermi senza problemi. Il canto rauco della pioggia nascondeva sotto di sè un silenzio assoluto che da solo sarebbe stato più che inquietante. Lo strano uomo dal vestito impeccabile e dalla pelle quasi bianca mi precedeva salendo le scale strette, e fu solo allora che mi accorsi che non portava scarpe, e che muovendosi non produceva il benchè minimo rumore, nemmeno quando i suoi piedi quasi bianchi si immergevano in una pozza d’acqua sotto una finestra o spostavano qualcuno dei rifiuti umidi che rivestivano gli scalini. Del sarcasmo sprezzante che avevo sfoggiato in auto non c’era più nessuna traccia, mi trovavo ora preda di una sensazione di dormiveglia, di distratta, tiepida irrealtà. Salendo, cominciai a vedere, o meglio immaginare, delle cose. Non vere e proprie e normali allucinazioni; era qualcosa più come delle immagini estranee, velocissime, infilate a forza nel normale corso dei miei pensieri, talmente rapide che non riuscivo nemmeno ad afferrarne i contorni. I miei ultimi ricordi chiari si fermano su un pianerottolo forse a metà salita. Ricordo di aver sentito delle voci provenire da uno dei corridoi. Ricordo che lo strano uomo si fermò di colpo, ricordo di aver pensato con ironia che a volte anche il diavolo può stupirsi. Poi la vecchia malattia tornò (da) dentro me, senza tante cerimonie, fregandosene di uomini e demoni, e caddi semplicemente addormentato al suolo bagnato..

– L’Esule e la comparsa

Ne era completamente terrorizzato. Aveva viaggiato Altrove in passato, ma mai si era ritrovato in un luogo tanto sterile ed opprimente come quella stanza.

L’uomo vuoto, l’assurdo esemplare di vita senza la vita che si trovava nella squallida stanza dove Ne si era risvegliato senza sapere come, guardava ancora fuori dalla finestra sfondata, offrendo il viso alla pioggia e parlottando di cose incomprensibili tra sè e sè.

“Non è la polizia. Non sono nemmeno i ridicoli rincoglioniti del cazzo. Chi sono? Sono due. Sembrano ben vestiti. Sembrano galli. Galli grassi. Qè-qè-qè. Chi sono? Li conosci? E a proposito, chi cazzo saresti tu? Da dove sei sbucato?”

Ne si rese conto all’improvviso che l’unico modo per sconfiggere la confusione era smettere di combatterla. O si adattava, o sarebbe impazzito nel giro di pochi secondi. Per la prima volta in vita sua, parlò utilizzando solamente le parole. Fu spaventosamente facile, meno traumatico di quanto aveva immaginato, ma non fu meno SBAGLIATO. 

“Non..non sono nessuno. Cercavo solo un riparo dalla pioggia e mi sono perso. Non conosco quei due.”

“Mh. Vabè. Comunque sembrano dei galli, e cosa mai ci faranno qua? Forse cercano qualcuno che prima viveva qui, ma qui non è rimasto nessuno. Ehi, senti un po’…”

L’uomo vuoto rovista nel piccolo cumulo di ciarpame affianco al materasso dove siede. Estrae un grosso coltello da cucina, con il manico in legno e la lama leggermente arruginita.

“Facciamoli cantare questi galli, eh? Che ne dici? Vuoi vedere che stasera si mangia? Dai dai. Su. Vieni!”

L’uomo vuoto esce dalla stanza, continuando a parlottare. Ne non è sicuro delle sue intenzioni, non ha idea di cosa sta per succedere, ma decide di abbandonarsi completamente al delirio e comincia a seguirlo.

Ne si alzò, sorretto dai propri stessi brividi,, e ando incontrò alla sua sorte con tutta la gentilezza di cui disponeva.

 

(Sigue. Kire)

La logica della finzione

La sento rientrare.

So che è lei prima ancora di vederla, riconosco i passi calmi e scanzonati, quel suo modo particolare di sbattere le porta, ma senza fare troppo rumore. Quasi due settimane da quando è uscita, nella norma, capita resti via molto più a lungo. Azzero il volume del portatile, i personaggi della stupida commedia cinese che non stavo guardando si ammutoliscono all’istante. Una volta un coinquilino mi chiese con genuina curiosità perchè passassi così tanto tempo a vedere certa immondizia.

E’ che sto cacciando, fu la risposta. A guardare e assimilare solo capolavori si diventa arroganti senza volerlo, si perde la logica della finzione. L’ispirazione sa nascondersi nei posti peggiori.

Bisogna sempre cercare nuovi modi per essere banali.”

Come?”

Con un singolo, soprannaturale movimento lei si scioglie i capelli e lancia via le scarpe, poi sposta i miei vestiti accartocciati dalla poltrona e ci si lascia sprofondare dentro. Mi sorride, non ricambio. C’è una sensazione strana nell’aria, come se un milione di invisibili piccole stelle di plastica si preparassero ad esplodere contemporaneamente. Lascia perdere, sussurro, quasi senza fiato. Sono malato, non so cosa dico.

Non sei malato. Stai solo male.”

E’ lo stesso.”

No, non lo è. Come crescono i tuoi progetti?”

Non crescono. Invecchiano.”

Senti, se vuoi parlare, parliamo. Se vuoi giocare a chi dice la battuta più pirotecnica, ho di meglio da fare.”

E’ incredibile il numero di arie che ha preso a darsi, attraverso il tempo. Si comporta davvero come se fosse una persona reale, e non solo un’allucinazione evocata dalla mia mente spossata, con le mutevoli sembianze e personalità di tutte le donne che mi hanno lasciato nuotare dentro di loro. Come Frankestein emotivo ha indubbiamente il suo fascino, il problema è quando si convince di essere qualcosa di più, qualcosa con il diritto di curiosare nelle mie pagine nascoste. Guardarla è come guardare una manciata di fotografie sbiadite mosse dal vento. Mi accarezza senza nemmeno sfiorarmi. E questo benessere che mi invade? Non so da dove arrivi, non so nemmeno se è reale.

Posso fidarmi, o sto semplicemente impazzendo? Chi delinea il confine tra fervida immaginazione e ospedale psichiatrico?

Le fotografie non parlano.”

E’ questo che vuoi che sia? Una fotografia?”

Ecco, brava. Siediti sopra un comodino, sorridi e stai zitta.”

Ma piantala. Se non mi vuoi attorno perchè mi hai creato?”

Ti ho…creato per aiutarmi a ricordare cosa significa amare. Ti ho creato perchè mi piaceva l’idea di una faccia amica che mi consigliasse, che mi salvasse, dato che salvarmi sempre da solo cominciava a sembrarmi triste. Tu vai, sparisci per mesi, torni, ficchi il naso, mi fai la morale. Giudichi la mia apatia senza interessarti delle sue cause. Ou! Mangiati una merda.”

Senti un po’…”

Ma senti un cazzo! Sparisci!”

E’ qui che, senza molta originalità, le stelle di plastica esplodono. Lo fanno silenziosamente, come se non volessero disturbare le stelle vere, quelle che in questo esatto momento stanno esplodendo per davvero chissà dove, dando un senso all’universo. Cominciamo ad alzarci nello stesso momento, ma in mezzo secondo lei è di fronte a me e mi risbatte a sedere sul divano. Mi sale sopra mentre un’ondata di morsi elettrici mi paralizzano la schiena. Appoggia le labbra sulle mie orecchie, i suoi capelli di odori e colori diversi creano un meraviglioso groviglio di brividi, e io non riesco, non voglio muovermi.

Senti un po’. Mi avrai anche creato, ma io non sono te. E non mi interessa capire il dolore come fai tu. Non mi interessa farti da balia, portarti a passeggio tra i ricordi. I tuoi dubbi, le tue ansie, a me fanno schifo. Capisci? Mi hai creato per impedirti di affogare nella tua confusione, perchè rappresento tutto quello che hai perso a causa sua. Datti una cazzo di svegliata.”

Mi lascia e si alza di scatto, lasciandomi stordito. Cammina un po’ in tondo nella stanza e la sua rabbia adesso sembra completamente svanita, ora è come se fosse imbarazzata, è buffa, ed è bella.

Ora prendi il telefono e rispondi a quella troietta che stai schivando da due settimane, fatti una scopata come cristo comanda. Quando sarai tornato un essere umano…forse parleremo ancora.”

Esce sbattendo la porta, ma senza fare rumore. Sullo schermo, Chow Yun Fat rincorre silenziosamente un nanetto cinese nudo che molesta le donne nel parco.

Mi asciugo i brividi, prendo il telefono, e fanculo tutto.

Kirez