Settembre

Erano giorni di polverosa solitudine, e non poteva farci niente. Per distrarsi -impresa disperata se non apertamente impossibile- si spingeva pedalando lungo passeggiate non euclidee, cosa che gli richiedeva di inforcare biciclette alla cui vista sarebbero rimasti perplessi gli stessi Escher, De Chirico o Piranesi. I viaggi duravano esattamente quanto glielo consentiva il sopraggiungere della noia (erano periodi non calcolabili su una scala temporale comune) e terminavano inderogabilmente nello stesso modo e nello stesso punto: con lui esausto, madido e sul punto di svenire, in fondo alla strada di casa (senza sapere assolutamente come ci fosse arrivato), che attraverso le nebbie della fatica guardava sé stesso partire proprio per la scampagnata da cui stava tornando.

 

Opossum

Madrugada

I protratti periodi privi di idee e creatività imponevano su di lui quella malinconia a buon mercato che prende sempre la gente nei momenti in cui finisce qualcosa di bello e atteso. Come quando durante la notte si scioglie la compagnia degli amici, o quando nelle sere di tardo agosto ci si accorge all’improvviso che l’estate se ne è andata, e i presagi dell’autunno attirano sempre più presto il buio. Sulla spiaggia deserta, coi piedi a mollo nei primi metri di mare osservava l’alba, nella vacua ed orrendamente pigra speranza che il sole oltre al caldo infernale gli elargisse anche qualche colpo di genio; se si rendesse conto che affidare la propria ispirazione a un astro lontano e indifferente non era la migliore delle scommesse, non lo sapremo mai.

 

Opossum

Strade di ghiaia

Quando finalmente il clima prese la forma e la consistenza dell’autunno, terminarono, inaspettatamente come erano iniziati, i fine settimana in cui lei aveva deciso di usare parte del proprio prezioso tempo libero per allietare il suo. Quei luminosi sabati e domeniche avevano lasciato spazio a vecchie abitudini, a weekend tornati vuoti come prima se non di più. Poiché come Bernardo Soares “não tendo para onde ir nem que fazer, nem amigos que visitasse, nem interesse em ler livros” -o quasi-, passava non poca parte delle giornate sdraiato sul letto fissando il soffitto, sforzando ogni fibra nel tentativo perennemente frustrato di non pensare a niente, proprio a niente, assolutamente a niente.

 

Opossum

L’Aleph

Riteneva che Google Street View fosse una delle più grandi invenzioni nella storia recente dell’umanità; un software che consentiva di passeggiare per una riproduzione sostanzialmente fedele del mondo rappresentava il connubio ideale tra la sua bramosia di visitare posti remoti e la comodità di potersene tornare a dormire nel proprio letto e cagare nel proprio gabinetto. Era un surrogato piatto e tutto sommato insapore di ciò che il pianeta aveva da offrirgli, che non gli lasciava di toccare con mano le cose e il terreno, ma che d’altronde gli permetteva di non dover temere rapinatori, malaria e acquazzoni. E poteva andar bene anche così.
Gli piaceva in particolare perdersi per ore nelle labirintiche avenidas brasiliane, fossero quelle lungo le spiagge carioca o quelle nelle periferie di Campina Grande, disperse nell’entroterra paraibano. Paragonava la sua conoscenza diretta della quotidiana esperienza urbana, pienamente europea, con quella che gli restituivano le istantanee di quell’assurda nazione, troppo grande per immaginarsela interamente, piena di grattacieli coi muri scrostati e case fatiscenti costruite a metà, umide, oscurate dalle ringhiere più antiestetiche che i fabbri di turno fossero in grado di modellare. Riemergeva dal monitor a fatica, ancora invaso da un misto di repulsione latente e di torbida fascinazione, che gli restavano attaccate per parecchi minuti e che aveva ormai imparato ad apprezzare, in un qualche strano modo; dopo qualche ora ne avrebbe anzi sentito la mancanza, e sarebbe tornato sotto quell’illusorio sole elettronico a guardare le strade altrui dalla tranquilla sicurezza di una scrivania, confrontando la sua realtà con quella che scrutava dietro uno schermo, in mezzo alla polvere ma lontano da tutto, rapito, incolume, indifferente.

 

Opossum

La felicità è un costrutto ligure

Ed era di Genova, Italia, e abitava a Genoa, Nevada. Questo, dal suo punto di vista, riassumeva buona parte della sua esistenza. A Genova ci era nato -col nome di Edoardo- e a Genoa ci era finito un quarto di secolo abbondante dopo quel prodigioso evento. Nel trasloco aveva rinunciato, sebbene non legalmente, a cinque settimi del nome proprio. Gli americani lo chiamavano, appunto, Ed. Era un nome decisamente comodo.
A Genoa non c’era un cazzo. Mille anime scarse sul bordo sbrindellato del Nevada occidentale, dove il confine con la California faceva un angolo di 120 gradi (quelle frontiere surreali che solo i deserti sapevano generare). Tre ore di auto da Sacramento, dieci da quella Los Angeles da cui era fuggito dopo aver inseguito il vano sogno di diventare sceneggiatore, ottenendone solo pesci in faccia. A spingerlo sul bordo del lago Tahoe era stato il nome di quella città, che rievocava generiche nostalgie del mar Ligure, del quartiere Sturla, delle partite del Camogli. Di una vita precedente. Ma a Genoa non c’era un cazzo. Una Los Angeles in negativo. Non che gli piacesse poi molto, ma non aveva un altro posto dove andare.

Anche se ogni tanto tornava dagli Angeli e dai pochi amici che ci aveva lasciato. Una sera gli presentarono un’altra genovese: in quasi dieci anni di vita negli USA non aveva ancora mai incontrato una concittadina e si chiedeva spesso come fosse possibile. “Ed vive nella Flyover Country” le dissero presentandoli.
Il concetto le era sconosciuto. Glielo spiegò quella sera, mentre cenavano.
“Negli Stati Uniti vivono trecentoventi milioni di persone. Però la maggior parte degli statunitensi (Ed non diceva mai ‘americani’, notò lei. Lo considerava una barbarie lessicale, le disse) vive nell’area urbana di Los Angeles, nel sudovest, o di New York, nel nordest. Circa una persona su dieci abita lì, e in moltissimi vivono passando da LA a NY, o viceversa. La nazione in mezzo per loro non esiste, la vedono solo dai finestrini dell’aereo quando ci volano sopra per fare coast to coast. Dall’alto non appare altro che terra insignificante e disabitata, e io sono uno dei fantasmi che ci vive. Non è la fine del mondo, per carità. Ci sono grandi città anche all’interno, come Chicago o Dallas. Ma perlopiù è puro nulla e decidere di viverci è spesso un’idea coraggiosa.”
“Tu per esempio: sei finito nel Nevada. Perché quest’idea assurda?”
“Non avevo un altro posto dove andare.”
E riuscì a farla sorridere.

Opossum

A loucura

Sul comodino accanto a lei, nel buio, giaceva un lungo coltello da macellaio, che nelle ore di luce affilava e lucidava con cadenza ossessiva. Il tenerlo sempre vicino era un’abitudine che aveva preso da anni, ma non l’aveva mai usato. La notte la trascorreva quasi tutta sveglia, con gli occhi sbarrati e i tendini tesi, le orecchie bene aperte, le ossa pronte a scattare verso l’arma. Il silenzio e il buio per compagni, seduta nel letto fissava il vuoto per ore, in attese sempre vane di un pericolo che forse non sarebbe arrivato mai. Aspettava. Solo con l’apparire dei primi bagliori dell’alba sentiva venir meno ogni forza, e crollava in breve sonno gravido d’incubi, mentre già cresceva in lei il timore della prossima notte.

 

Opossum

L’empireo

Nell’anno del Signore millenovecentonovantasette, in un dì di un nevoso gennaio, Albrecht abbandonò l’impronta della sua consueta passeggiata spingendosi lungo versanti sconosciuti, lasciando che le sue preoccupazioni esistenziali lo guidassero verso l’oblio. Camminò pieno di dubbi per quarti d’ora o decenni interi, finché quasi per caso lo sguardo tornò ad abbracciare il mondo reale. La serata era cattiva, l’aria scura lambita dalla tramontana; e quella che dopotutto era un semplice casualità -la sua presenza su quella collina in un giorno di ordinario maltempo- si rivelò ad Albrecht come un atto irrevocabile: la pelle mangiata del vento e i piedi immersi nella neve, si rese conto che non sarebbe più riuscito a tornare indietro.

Opossum

Bassa fedeltà

Franco era nato al tramonto del 1975, e dovette accettare quello che ne conseguiva, ovvero l’affrontare la propria crescita e maturazione attraversando l’orrida cornice degli anni ottanta. Refrattario alle mode chiassose e multicolori, trovò un proprio equilibrio dedicandosi anima e corpo alle tecnologie di quei tempi, perché incapace di provare vero amore per i corpi viventi con cui interagiva. Faticava a capacitarsi di quanto avanzasse rapida l’obsolescenza degli amati oggetti inanimati. Accolse con cupa rassegnazione gli anni duemila, assistendo all’oblio di tutto quello che gli era sempre stato amico: le musicassette, i videoregistratori, la televisione analogica; sapeva che il suo tempo si avvicinava alla fine, la morte dei vecchi compagni a bassa fedeltà scandiva le ultime ore del mondo che aveva abitato. Il momento cruciale che aspettava arrivò infine quando, in un anonimo febbraio, si ruppe il suo ultimo monitor a tubo catodico; lo schermo si ostinava a non mostrare altro che il suo impalpabile riflesso. Per la prima volta in vita sua si mise a piangere.

 

Opossum

 

Sangue degli empi

Quando era tutto perfettamente buio e silenzioso ci alzavamo dal letto e ci armavamo senza dire una parola. Potrebbero essere state le tre del mattino. In genere lo erano. Mio padre e mio zio usavano fucili da caccia: non erano cacciatori, usavano quelle armi per un solo compito, quello di quelle notti. Io avevo una spranga, perchè un fucile non avrei comunque saputo usarlo. non era un granchè, ma qualche volta si era dimostrata utile.
La strada al culmine dell’estate, era sempre ancora impregnata di buona parte del calore del giorno. Alla luce dei lampioni passeggiavamo, sempre muti sebbene non ce ne fosse bisogno, fino al limitare del bosco. Capitava, ma era rarissimo, che si incrociasse qualche auto o moto che risaliva la strada; quel primo tratto di percorso era illuminato dai lampioni, ma i nottambuli alla guida erano invariabilmente troppo assonnati o troppo sbronzi per badare a noi tre.
Nel bosco era più difficile procedere, anche con la luna piena, ma non era troppo folto e comunque quel posto lo conoscevamo bene. Camminavamo per qualche minuto fino ad arrivare al ciglio di uno strapiombo. Sotto, dopo un salto di qualche decina di metri, assurdamente illuminati da un falò,
loro erano raccolti in cerchio. Come di consueto. C’era una ragazza legata tra loro, completamente immobile.
I satanisti si radunavano spesso lì, ed erano per noi un problema importante. E avevamo deciso che dovevamo essere la soluzione. Quando un paio di
loro presero la ragazza legata e la spinsero nel centro del cerchio, mio zio caricò il fucile, portò il mirino all’occhio e prese cautamente la mira.

Opossum

Perimetri

Una cosa che la divertiva era entrare nelle proprietà private altrui e scorrazzarvi in lungo e in largo, quando la vita che percorreva solitamente quei luoghi -se esisteva- era altrove e nessuno poteva vederla. Trovava varchi nei recinti con un sesto senso che più di un ladro esperto le avrebbe invidiato, sovente si infilava nelle pieghe di una rete o nella crepa di un muro contorcendo abilmente il suo corpo minuto. Sapeva dell’esistenza di quelli che si divertivano a correre e arrampicarsi per le strutture della città (uno di loro, nel breve volgere di una effimera relazione che ora ricordava con disagio, le aveva insegnato il termine, “parkour”), ma lei non cercava quello che cercavano loro. Né le interessavano i beni materiali che qualche volta i proprietari arrivavano a proteggere con cartelli di “Attenti al cane” (e ogni tanto i cani c’erano davvero). E neanche il vago brivido illegale della violazione di proprietà privata.
Quello che la interessava in quei luoghi di silenzio, fossero case cantieri discariche o che altro -cartoline verdi e grigie da videogioco postatomico-, non l’aveva ancora capito nemmeno lei. Forse era un banale piacere terreno, un poco infantile, cui non sapeva dare un nome preciso. Ma non era importante. Si rialzò da terra dopo aver strisciato sotto metri di filo spinato, e scrollandosi di dosso la polvere ricominciò, in un appezzamento da poco scoperto, quel suo eterno gioco senza risposte.

Opossum